Chi e Cosa nella Realtà Virtuale
Il più grande medium che abbia mai interessato la società, in tutte le sue sfaccettature, è la televisione.
La televisione ha avuto una indiscussa influenza nella realtà degli anni ’50, quando l’elettrodomestico è diventato a beneficio di molti. La sua struttura permetteva di vedere ciò che un tempo la popolazione poteva solo leggere e immaginare, ascoltare e fantasticare. La rivalsa delle immagini sulla scrittura ha dato ampio spazio al senso della vista, privilegiandolo sugli altri. Tra radio e televisione, il passo verso media più completi era d’obbligo, quindi siamo approdati al cinema e poi alla tecnologia elettronica; dai personal computer alle prime simulazioni virtuali.
Inizialmente non si poteva parlare propriamente di una realtà virtuale in quanto lo sviluppo tecnologico ha sempre usato come leva di progressione la mente, estraniando le sensazioni dall’involucro esterno, considerato solo un limite rispetto alle infinite possibilità che invece la stimolazione della mente permetteva.
Oggi la realtà virtuale è il medium che sta convertendo il computer in un “magazzino” di percezioni. La realtà virtuale è letta come l’esempio più chiaro dell’immediatezza trasparente, caratteristica che, unitamente all’ipermediazione e alla rimediazione, rappresenta la frontiera raggiunta in questi ultimi anni dalle tecnologie.
L’idea di immediatezza trasparente sottolinea lo scopo di immergere l’utente nella realtà ricreata in modo che riesca a viverla e percepirla come reale, dimenticandosi che per raggiungere questo stadio sta indossando, o è percorso, da innumerevoli ausili computerizzati.
Questa tecnica non è nuova in campo artistico, dove sia la pittura che la fotografia, per citare due esempi tra gli altri, hanno tentato con diversi approcci di rendere invisibile il supporto sul quale si ridisegna un mondo alternativo a quello nel quale si vive. La prospettiva, prima lineare poi angolare, è stata uno dei primi espedienti per convincere lo spettatore della nuova vista.
Unitamente all’immediatezza, l’ipermediazione, intesa come un modo per avere un “accesso casuale” senza giungere mai ad un inizio od a una fine, combinando tra loro diversi media, enfatizzando l’eterogeneità, favorendo in definitiva il processo che fa da ponte tra i vari frammenti, piuttosto che l’oggetto finale compiuto, caratterizza media digitali come il World Wide Web.
Difficilmente la frammentarietà può essere letta come sostegno per la realtà virtuale che si preoccupa di offrire un continuum, ma pensata nell’accezione di combinazione tra immagini, suoni, animazione e video può presentare meglio l’immagine di un collegamento tra i diversi ingredienti che, alla fine, creano un “mondo parallelo”, vissuto e percepito come reale.
L’ideazione di un mondo parallelo sottintende, per sua stessa natura, il riposizionamento di un contenuto originario all’interno di un altro schema. Nel caso della realtà virtuale, si ha un posizionamento di un qualunque immaginario, ad esempio di una situazione, da un supporto ad un altro. In altri termini assistiamo ad un medium incorporato all’interno di un altro. McLuhan illustra, in Understanding Media (1964), come ogni contenuto di un medium è sempre un altro medium. Infatti le rappresentazioni offerteci dalla ricreazione virtuale si appropriano di visioni e sensazioni derivate da altri contenuti precedentemente costruiti all’interno di altri sussidi. Questo procedimento è noto come rimediazione.
In definitiva il fine ultimo della realtà virtuale è quello di “esteriorizzare modelli mentali dando loro forma sensibile e socialmente condivisibile”, avvalorando la percezione fisica di ciò che inizialmente solo la mente poteva elaborare, fornendo, in questo modo, la possibilità di creare simulazioni materiali e fisiche dietro la stimolazione a 360 gradi dei sensi umani.
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