Peter Horvath e il suo linguaggio
[Ricerca presentata per l’esame del Corso di Produzione Multimediale (prof. Pier Luigi Capucci),
Laurea Specialistica in Cinema, televisione e produzione multimediale
Università di Bologna, A.A. 2006/2007 – Programma del corso (pdf, 76 Kb)]
Introduzione
Che cos’è la net-art1? Che cos’è realmente il webcinema2? Ciò che desidero fare è provare a rispondere a queste domande, senza avvalermi di teorie e ipotesi fatte soltanto di parole, ma attraverso l’osservazione e l’analisi dei lavori di un vero e proprio artista del Web. Un artista che lavora con le foto, i suoni, i video, i nuovi media, in una sperimentale connessione che emerge attraverso le pagine della rete. Ma desidero anche soffermarmi, non soltanto su tecniche e modalità di realizzazione, ma anche, e in particolar modo, sui temi affrontati e sulle sensazioni che questi new media objects3, come a livello più ampio forse li denominerebbe Lev Manovich, sono in grado di suscitare sugli spettatori.
L’idea mi è nata in seguito della lettura del libro di Luca Barbeni, Webcinema, L’immagine cibernetica. E stanca di leggere quello che gli artisti del web realizzavano, desideravo vedere con i miei occhi, esplorare davvero quello che avevano prodotto questi “nuovi” artisti. Per la realizzazione di questo lavoro sono andata così a toccare con “occhi” la net-art. Ho visitato i siti e le installazioni dei vari artisti, soffermandomi su uno di questi, Peter Horvath, che con il suo webcinema lineare, fatto di immagini create su più livelli è riuscito a creare un vero e proprio linguaggio personale.
La Prima parte del mio elaborato esamina la vita e l’esperienza di questo artista mentre la Seconda parte si sofferma maggiormente sull’osservazione vera e propria delle su opere e installazioni più importanti, nonchè dense di significato. Desidero scoprire chi è quest’artista, qual è la sua arte e quali sono i suoi temi; e questo attraverso ciò che ha realizzato.
In Appendice riporto l’elenco di tutti i lavori dell’artista, ricavati dal suo sito web. Le informazioni basilari riguardo le opere sono a loro volta tratte dal sito di Horvath.
Chi è Peter Horvath?
Quest’artista, di provenienza canadese, prende tra le mani la macchina fotografica già a sei anni e, da quel momento, non fa altro che passare di tecnologia in tecnologia, sino a giungere a fare parte dei cosiddetti web-artisti, i quali si occupano appunto della commistione tra arte e nuovi media.
Il lavoro di quest’uomo oscilla tra le immagini statiche, i video e i suoni, e si ingegna tra questi attraverso l’utilizzo dei nuovi media. Quando la rete era ancora alle sue origini, Horvath impegnava già le sue forze nell’impiego delle tecnologie digitali. Un momento fondamentale della sua “carriera”come artista web è la fondazione di 6168.org, un importante sito di net-art. Inoltre è uno dei membri fondatori del collettivo net-art Hell.com4. Le sue esposizioni comprendono il Whitney Museum Of American Art’s Artport, il 17th Stuttgarter Filmwinter (Stuttgart, Germany), FILE 2003 (Sâo Paulo, Brazil), il Chiang Mai New Media Art Festival (Chiang Mai, Thailand), il Musée national des beaux-arts du Québec (Québec City, Canada) e le strade di New York, Tokyo, Londra, nonchè numerose manifestazioni di net.art .
I suoi lavori possono essere fruiti interamente sul sito web www.6168.org.
Quello che, anche attraverso un’approfondita ricerca, si riesce a scoprire della vita di quest’uomo, è molto scarno; tuttavia è sufficiente avvicinarsi alle sue opere per capire e scoprire qualcosa di più di quest’artista.
Horvath è cresciuto all’interno di una “camera oscura”, di fronte a un monitor, sognando un mondo dove la banda larga possa essere gratuita, e dove ogni uomo abbia la possibilità di espandersi lungo lo sconfinato web, rompendo le attuali barriere. Lungo la sua carriera adotta svariate tecniche di fotomontaggio che utilizza anche nelle sue opere a due dimensioni; inoltre basa i suoi lavori su tecnologie digitali che abbracciano cinema e fotografia.
Costui ha esplorato la realtà umana nel suo senso più originario, con lucida sensibilità, attraverso un linguaggio fatto di più finestre aperte che simultaneamente si muovono attraverso lo schermo come le emozioni che suggeriscono.
Il pop-up5 è uno dei lati più “fastidiosi” e curiosi di internet. In realtà questi sono nati con un intento positivo. Infatti il loro scopo è segnalare in modo rapido ed efficace informazioni importanti agli utenti di un sito. Purtroppo, la pubblicità ha finito per impossessarsi di loro ed abusarne e questo ha provocato la perdita di un altro possibile utilizzo del pop-up, ovvero l’uso poetico ed espressivo. Ciò che fa Hovarth.
Ciò che accomuna tutte le opere mostrate è il fatto che sono video lineari e non interattivi. Viene richiesta solo l’attenzione dello spettatore, che è puramente tale, ed è proprio per questo che Hovarth è tra i web-artisti che più si avvicinano al cinema. Quello che c’è di nuovo è il contenitore delle narrazioni che è lo stesso browser. Ed è grazie alla tecnologia Java e a Quicktime che riesce a creare un “mondo”dove sono compresenti diversi filmati che appaiono e svaniscono, dando vita a un universo frammentato. Si creano così svariati punti di vista, nonostante permanga comunque un tempo di visione prestabilito, e un forte senso di raccoglimento, nonché di confidenza6. Infine il senso di intimità del linguaggio di Hovarth è dato anche dal fatto che tutto è spesso leggermente in penombra.
Il lavoro di un artista
Quello che voglio realizzare in questa seconda parte è l’osservazione, nonché una sorta di analisi di alcune delle sue opere più significative, che possono essere considerate undici e sono le seguenti: The Guide (1995), Three Times Removed (1996), Life is Like Water (2002), Either Side of an Empty Room (2002), Unexpected Launching of Heavy Objects (2003), The Presence of Absence (2003), Album (2004), Ten Seconds (2004), Intervals (2004), Tenderly Yours (2005), Triptych: Motion Stillness Resistance (2006).
Ma andiamo in ordine cronologico.
The Guide è una narrazione basata su immagini e testo. Vi si accede cliccando sull’immagine di una vecchia televisione, sulla quale compare una citazione di E.R.Murrow “The obscure we see eventually. The completly apparent takes a little longer”. Possiamo scegliere un canale, cliccando su dei numeri disposti in maniera disordinata (vi sono numeri casuali, né crescenti, né decrescenti, il quattro e il sei si ripetono due volte portando agli stessi ritagli). I visitatori vengono così condotti tra i ritagli di una guida tv. Questi pezzi decontestualizzati, privi di funzionalità per il medium che presentano, rendono quest’opera densa di umorismo. Inoltre nel momento in cui si clicca su di uno di questi, oltre al ritaglio, compaiono a sinistra l’opzione per tornare alla selezione dei ritagli e a destra l’immagine di una piccola tv, che se cliccata porta ad una serie di commenti anonimi, fatti da precedenti visitatori, riguardo cosa sia per loro la televisione. Così ritroviamo commenti quali “..a disease”, “..babysitter” e “..an emptiness filled with emptiness”.
Three Times Removed si costituisce a sua volta di una narrazione basata sulla combinazione di testo, animazioni ed immagini. Lo scopo per il quale viene utilizzato il medium digitale è la ricostruzione della storia di una famiglia di Budapest attraverso la memoria. Nel momento in cui si accede all’opera ci troviamo di fronte ad una scelta, possiamo cliccare su una di queste parole: entry, memory, family, self. Cliccando su una delle ultime tre si accede alla sezione dei commenti (riguardo appunto questi tre temi) dei visitatori. Cliccando su entry inizia il nostro “viaggio”. Inizia il racconto della storia di questa famiglia, tutto ciò tramite parole e fotografie su sfondo nero. Ciccando su immagini, parole o segni si attraversa la memoria. La narrazione consiste di frammenti lirici, scorci di un infanzia in tempo di guerra a Budapest. Le immagini digitalizzate sono color seppia, come fossero ricordi che si materializzano dal passato lentamente e gradualmente.
Life is Like Water7 è un lavoro che scandaglia la possibilità delle sequenze non lineari attraverso l’interfaccia web. Inizia con un piccolo schermo nero dove compaiono e subito svaniscono una serie di domande che dimostrano uno stato di dubbio dell’autore e conseguentemente lo innescano anche in chi guarda. Poi c’è un susseguirsi di lente sequenze mostrate in piccoli video che compaiono sullo schermo. Immagini leggermente sfocate che si alternano a brevissimi e rapidi loop8. L’impressione di confusione spazio temporale si accentua sempre più. Fanno pensare ad una situazione come potrebbe essere quella di un sogno, nel quale alcuni ricordi, forse rimossi, tornano. Una rappresentazione urbana con una particolare colonna sonora, alternata a momenti di silenzio. Uomini che camminano l’uno di fianco all’altro in metropolitana e, nonostante ciò, un grande senso di solitudine. Una narrazione fatta di impressioni e di attimi.
Riporto interamente un intervista fatta da Sylvie Parent9 a Peter Horvath tramite e-mail nell’ottobre del 2002 riguardo appunto a quest’opera10.
Sylvie Parent: Life is Like Water (LiLW) begins with questions that trigger a state of doubt. Then a series of videos contribute to deepen this impression of spatial and temporal confusion. It becomes difficult to properly identify the situation. It makes us think of a dream, of memories coming back, or of near-death experience stories. How did you become interested in creating this kind of experience for the web?
Peter Horvath: The web lends itself to this quite well, don’t you think? If you consider the average person sitting at their computer, insular, singular, surfing late at night – this is a prime situation to engage them in something experiential. It also interests me because this type of involvement is fairly uncommon on the net today, most of the time we are surfing for information and being bombarded by advertising.
Also, the web is so disjointed in its design it lends itself to the idea of something dreamlike. Dreams tend to be a jumble of non-interrelated imagery and the web is so non-linear, it seems a perfect match. I don’t think I could get the same effect using, say, straight video – unless I rebuilt everything and mimicked the look and placement that I achieve on the web.
SP: There is a reference to the 9/11 catastrophe in your work. Do people react strongly to this reference? Why did you decide to include this reference in this particular work?
PH: I think people are perhaps surprised by it. LiLW begins in a rather vague way, then develops into an observation of a very specific event. I was interested in examining the notion of how an ordinary, insignificant day can suddenly become hugely significant, in a global way. This was easily the most global event I’ve experienced in my lifetime. It may be somewhat of an assumption to say the entire planet has been affected by what happened, but I believe something has vastly changed.
It was not my intention to make LiLW about 9/11, although it became a central point to the piece. It was hard to ignore what was happening at the time, we were all so consumed by the impossibility of it all. In the larger context, looking beyond the event itself, I wanted to ask questions about the process of loss. Not just the loss of things material, which is fairly obvious, but the loss of “other”, that which remains enigmatic and hard to define.
Also, as a side note, because I have spent extended pockets of time in NYC, and my former partner’s place was 2 blocks from the towers, I felt a strange familiarity at seeing the images and media coverage at the time. It was all playing out in my “neighbourhood”, so to speak. I had been there for 8 weeks in the spring of 2001 filming and editing LiLW. So in hindsight, and under all of these circumstances, I am not surprised 9/11 plays such a significant role in the final outcome.
SP: What is your background as an artist? How is Life is Like Water related to previous works and similar concerns?
PH: I come from a photo-based background, I became interested in technology in ’95 at the birth of the web. Communicating ideas on the net is both personal and anonymous, it’s a unique dichotomy and I am drawn to that aspect of the medium. The newest work I’m doing for the upcoming show at Musée du Québec (www.mdq.org/ellipse) takes advantage of the photo-based aspect of my history. I have created animations using photo-montage images from previous works.
I’m not sure that LiLW relates in any specific way to anything I’ve done previously. I have an ongoing fascination with media, television in particular, and there is a portion of LiLW that attempts to observe, in an offhand way, the media saturation we’ve embraced in our lives. You could possibly connect this with The Guide, another media observing piece I did in ’95 available at: www.6168.org
SP: Does the notion of ‘soul’ apply to your work LiLW?
PH: I think in this particular case I would answer yes, although I don’t know if I could say that about all the web pieces I’ve done, or, for that matter, about the net in general (that’s a whole other discussion). I filmed most of the footage in the subways of NY on the 4, 5 and 6 lines that run from Fulton street station, which is located 2 blocks from where the twin towers stood. It occurred to me that it was possible some of these people I photographed may have been in the towers when they fell. I think this notion, whether true or not, changed the essence of what I had captured, and perhaps brought it closer to the ethereal, closer to something connected more closely to the soul.
As far as the question of whether there is a soul on the internet – my definition of ‘soul’ would revolve around something that is ‘living’ but also organic. To me, the net is living in a technical sense, and in a communicative sense, but I’m not sure if I could say it is comparable to something that has to breathe to stay alive.
In Either Side of an Empty Room, progetto commissionato a Horvath dal Musèe National Des Beaux-Arts du Quèbec per la programmata installazione “Ellipse” la condizione di più finestre aperte è fondamentale. Anche in questo caso abbiamo parole, frasi che compaiono (“May I die of happiness”) e un piccolo riquadro che parla della fase rem del sonno e di quei momenti nei quali la pupilla si muove freneticamente11. Con momenti di accompagnamento sonoro, i video e le immagini si susseguono, alcune riconoscibili, altre indistinguibili. Le sequenze, che sono autobiografiche, si sdoppiano in diverse finestre ricoprendo lo schermo. Il tema è quello del sogno posto in contrapposizione/relazione con la realtà. È un ritratto frammentato in una sorta di rappresentazione di corpo e psiche che si confondono.
Unexpected Launching of Heavy Objects fa parte di un progetto denominato wartime, un esibizione collettiva di più di cinquanta artisti digitali che riflettono sul tema della guerra, riguardo passato, presente e futuro. Sfondo bordeaux (che sottolinea il tema della violenza) per la parte iniziale dove molte piccole finestre iniziano ad aprirsi e chiudersi freneticamente, spostandosi sul monitor in un movimento convulso. Proprio come suggerisce il titolo, quello che avviene è un inaspettato lancio di oggetti. Al centro compare poi un video accompagnato da un allegro sottofondo musicale. Uomini che marciano. Poi compaiono altre piccole finestre tutte intorno. Piccole immagini di guerra, bombe che esplodono distruggendo ogni cosa. E ad una ad una si chiudono le finestre, fino all’ultima che riporta questa frase: “We are not anonymous”.
The Presence of Absence è un opera commissionata per il Whitney Museum’s Artport. Una volta effettuato l’accesso ci troviamo di fronte ad uno schermo nero sul quale compare una finestra con il volto iconico di un uomo. Per accedere ai video e quindi alle informazioni dell’opera è necessario muovere il mouse sopra questo volto (questa la chiave del sito) e si noterà che l’immagine cambia. Cliccando su queste immagini alternative e su alcuni piccoli punti bianchi che compaiono nelle finestre, ecco che compaiono i video. Immagini di strade, finestre, una televisione, una donna che piega i panni, il volto di un uomo. Rivediamo poi quest’uomo in gabbia, la gabbia vuota di un uccello, simbolo dello stato di non libertà nel quale vive l’essere umano. Si vede un donna che sfiora con le sue labbra le sbarre quasi a cercare di baciare l’uomo. Tutto ciò accompagnato dalle malinconiche musiche di Broken Social Scene e Lenni Jabour.
Parte di un esposizione denominata “Pause”12 Album è un’opera che si schiude come la coscienza stessa. Sfondo bianco, sul quale compaiono due video uno accanto all’altro, un orologio dove vediamo scorrere le lancette e degli uomini seduti su di una panchina. Sfondo più scuro, si palesano piccole finestre con immagini sfocate, forse volti. In sottofondo un concerto di pianoforte di Lenni Jabour. Vediamo altre finestre e dettagli apparentemente incongruenti. Questo lavoro consiste così in una raccolta di immagini e suoni, ovvero pezzi di memoria che rivelano momenti ed esperienze della storia di un individuo.
Ten Seconds si apre su uno sfondo nero dove viene brevemente spiegato il desiderio dell’autore di creare qualcosa della durata di dieci secondi, perché dieci secondi, secondo lui, possono bastare per fare svariate azioni. Intorno a questo concetto costruisce la narrazione. Per accedere alle nuove finestre si può scegliere di cliccare su cinque parole: end, future, oblivious, step aside, subway. Tramite questi termini accediamo appunto ai vari video, ovviamente di dieci secondi l’uno. Immagini autobiografiche e frenetiche composte di volti, scritte (compare ripetutamente il termine psiche) e immagini metropolitane, rappresentative della città e della modernità (tema più volte indagato dall’artista).
Intervals, opera commissionata per il portale turbulence.org, esplora una serie di caratteri umani che si interrogano su se stessi attraverso alcune sequenze. Lo sfondo è costituito da un cielo scuro, denso di nuvole. Compare una finestra centrale nella quale osserviamo un video. Vediamo nuvole in movimento e forme geometriche colorate. Poi compaiono quattro figure e lo sguardo si avvicina ad una ad una, osservando corpi, volti e personaggi. Una ricerca dell’identità lenta, malinconica e surreale, che traspare dalle espressioni dei volti. Compaiono altre finestre. Uno alla volta i personaggi parlano di sé attraverso dei sottotitoli, accompagnati in alto a destra da piccole immagini di vecchie pellicole (quasi degli alter-ego dei personaggi). Sono brevi episodi autobiografici che vanno ad illustrare piccoli momenti di perdita dell’innocenza, paure e dubbi. L’utilizzo delle finestre pop-up crea una sorta di collage virtuale di memorie, sentimenti e ansie fortemente umani.
L’opera che forse più si avvicina al cinema è Tenderly Yours. Lo sfondo è rosso, simbolo dell’amore e della passione ovviamente. Inizia un racconto, è la storia di una donna, narrata dalla voce di Joséphine Truffaut, accompagnata a sua volta da dei sottotitoli. La donna del racconto si chiama proprio Josèphine e sappiamo di lei mentre si muove lungo la città, con il suo amante. L’ostinata indipendenza di questa donna la porta a temere l’intimità. Così, consumata da questo sentimento, un giorno d’improvviso scompare e il suo amante rimane così perplesso, che inizia a porsi delle domande. Che lei fosse finzione? Che forse non sia mai esistita, se non nella sua mente? Il volto di lei riappare, unito a quello di un attrice, come a sottolineare il dubbio dell’amante. La storia scorre su di uno schermo centrale al quale ogni tanto si affianca un piccolo schermo a sinistra sul quale scorrono brevi video. Questo progetto esplora il tema dell’amore, della perdita e della memoria. L’opera si chiude suBlue Sunday dei Doors.
Triptych: Motion Stillness Resistance è l’ultima delle opere che andiamo ad osservare. Consiste di tre video in tre riquadri affiancati, denominati, rispettivamente: motion, stillness e resistance. Ognuno dei tre riquadri si focalizza su una dinamica, appunto moto, stasi e resistenza, e la utilizza come una sorta di metafora delle esperienze, delle sensazioni e dei sentimenti umani. I video sono scelti in modalità random, colti in modo casuale da un database centrale (o meglio da tre database ognuno collegato ad un riquadro). In questo modo la visualizzazione di quest’opera risulta ogni volta unica.
Conclusioni
Portata a termine questa ricerca cosa possiamo dire di quest’autore?
Peter Horvath è un artista sognatore che tramite un linguaggio molto semplice e lineare, fatto di fotomontaggi e finestre multiple, parla dell’uomo e del suo contesto, che è la metropoli. Usa internet come metafora della città e viceversa. Oscilla tra temi come il dubbio, l’amore, la paura, il sogno e la ricerca del sé. Non cerca di dare risposte ma forse solo di suscitare domande. Unendo spunti autobiografici all’elemento della casualità riesce a creare delle narrazioni che sono vere e proprie esperienze per lo spettatore.
Appendice
Peter Horvath Selected Exhibitions
SOLO
2007 Peter Horvath / Transient Passages, ACA Gallery of SCAD, Atlanta, Georgia, USA
2006 Inventory of Being, Art Gallery of Hamilton, Hamilton, Canada
2005 Tenderly Yours, 64 Steps Contemporary Art, Toronto, Canada
2004 4 Works For The Web, Pace Digital Gallery, New York City, USA
2003 Either Side of an Empty Room, Neutral Ground / SOIL Digital Media Gallery, Regina, Canada
2000 HeadOnCollision, SPIN Gallery, Toronto, Canada
1993 Colour Photographs II, Tanashima Gallery, Tokyo, Japan
1991 Colour Photographs I, Roschar Gallery, Toronto, Canada
1990 Black & White Objects, Roschar Gallery, Toronto, Canada
GROUP
2007
Lines of Flight, Hunter College, New York City, USA
2006
Pixel Pops C2C Gallery, Prague, Czech Republic
Rhizome Commissioned Works, New Museum Bookstore, New York City, USA
7th Seoul Net/Film Festival, Seoul, Korea
Reflections, La Galerie d’art Stewart Hall, Pointe-Claire, Canada
2005
II International Festival of Electronic Art 404, Rosario Argentina
Siggraph, Los Angeles, California, USA
Seoul Net Festival, Seoul, Korea
The International Digital Media and Arts Association (iDMAa), Orlando, Florida, USA
Subrealities, University of Texas, Dallas, USA
Festival Toshare, Torino, Italy
Japan Media Arts Festival, Tokyo Metropolitan Museum of Photograpy, Tokyo, Japan
18 Stuttgarter Filmwinter, Stuttgart, Germany
2004
CY NET ART_04 8th International Festival for Computer Based Art, Dresden, Germany
Festival International Nouveau Cinéma Nouveaux Médias Montreal, Montreal, Canada
FILE 2004 ELECTRONIC LANGUAGE INTERNATIONAL FESTIVAL, Såo Paulo, Brazil
New Forms Festival 2004, Vancouver, Canada
Video Zone International Video Art Biennial, Tel Aviv, Israel
9th Split Film Festival, Split, Croatia
VI SALON INTERNACIONAL DE ARTE DIGITAL, Havana, Cuba
, Interaccess Electronic Media Arts Centre, Toronto, Canada
, Oboro Gallery, Montreal, Canada
Thailand New Media Art Festival, Bangkok, Thailand
Little Stabs At Happiness, Clint Roenisch Gallery, Toronto, Canada
17. Stuttgarter Filmwinter, Stuttgart, Germany
2003
FILE 2003 ELECTRONIC LANGUAGE INTERNATIONAL FESTIVAL, Såo Paulo, Brazil
Chiang Mai First New Media Art Festival, ChiangMai, Thailand
>war timewar timewar time<
Unexpected Launching of Heavy Objects
Ellipse, Musée national des beaux-arts du Québec
Either Side of an Empty Room
Matter+Memory
Life Is Like Water
2000
Three Times Removed, Evil Films Digital Festival
1997
Arborescences, Le Mois de la Photo, Montreal, Canada
1996
Three Times Removed
1995
The Guide
Peter Horvath Selected Installations
ACA Gallery, Atlanta, GA, USA (2007)
NUIT BLANCHE, Toronto, Canada (2006)
64 STEPS CONTEMPORARY ART, Toronto, Canada (2005)
FILE ELECTRONIC LANGUAGE INTERNATIONAL FESTIVAL, Sao Paulo, Brazil (2004)
Musée national des beaux-arts du Québec, Québec City, Canada (2002)
Bibliografia
Barbeni L., WebCinema, L’immagine Cibernetica, Milano, Costa & Nolan, 2002.
Darley A., Videoculture digitali, Spettacolo e giochi di superficie nei nuovi media, Milano, FrancoAngeli, 2006.
Sitografia
http://csis.pace.edu/digitalgallery/horvath/peter_horvath.html
http://pigmotel.com/whaleword/2006/10/22/peter-horvath-interview-rhizome-web-cuts-news/#more-104
http://rhizome.org/member.php?1018253
http://video.saatchigallery.com/artist/profile/15034/Peter+Horvath/PeterHorvath.html
http://vv.arts.ucla.edu/AI_Society/manovich.html
Note
- La Net-Art è essenzialmente un espressione artistica che avviene sul Web. Se secondo alcuni è un vero e proprio movimento artistico, per altri si costituisce principalmente come un attitudine più o meno artistica che trova in Internet il luogo dove esibirsi. Questo termine nasce nel 1995 a quanto pare per una fortuita coincidenza. Pare, secondo una sorta di leggenda, che l’artista di origini slovene Vuk Cosic scaricò una mail di mittente ignoto, la quale conteneva un messaggio indecifrabile esclusi sette caratteri, appunto “net.art”. [↩]
- Il WebCinema nasce ufficialmente (la data è approssimativa) nel 1997 quando sono stati lanciati su internet gli strumenti per realizzare e distribuire video web (Quicktime, Flash 1.0, Realvideo 1.0). E’ un cinema creato apposta per essere visto su internet. [↩]
- “The new media object consists of one or more interfaces to a database of multimedia material.” [“Il new media object consiste in una o più interface di un database di materiale multimediale”] (Lev Manovich, Database as a Genre of New Media, http://vv.arts.ucla.edu/AI_Society/manovich.html). [↩]
- Hell.com è un sito web creato il 2 agosto del 1995 che funziona come piattaforma di lancio per i nuovi, nonché per i più importanti artisti del web. È conosciuto per essere un sito piuttosto semplice e povero. In un certo senso Hell.com è un esempio di net.art, nonostante ciò questa è solo una sezione del più vasto gruppo che è Hell.com. [↩]
- I banner pop-up sono una forma di pubblicità presente sul World Wide Web. Si ha un popup quando alcuni siti aprono una nuova finestra del browser contenente il messaggio pubblicitario. La finestra pop-up viene spesso generata da un JavaScript, ma esistono altri mezzi per ottenere lo stesso risultato. La pubblicità in finestre pop-up viene generalmente considerata più intrusiva e sgradevole rispetto ai banner, e diversi browser consentono all’utente di richiedere il blocco di questa funzionalità del browser. Una variante meno intrusiva del popup è il banner pop-under. Questo apre sempre una nuova finestra del proprio programma di navigazione, ma invece di apparire in primo piano questa resta posizionata dietro la pagina che si sta visitando, senza disturbare la lettura. [↩]
- Questa confidenza o intimità è data anche da i limiti della banda larga, contesto nel quale si è ritrovato a lavorare Horvath. Di fatto la non possibilità di proporre finestre-video grandi quanto l’interno schermo, e quindi al contempo l’obbligo/possibilità di crearne svariate ma maggiormente piccole, ha contribuito a definire il linguaggio di quest’autore. [↩]
- Una curiosità. Molte delle sequenze di questi video sono state girate a due passi dal World Trade Center nella primavera del 2001, lo stesso anno della tragedia dell’11 settembre. [↩]
- Il loop è un processo ricorsivo, un ciclo, ovvero una serie di operazioni che si ripetono. [↩]
- Sylvie Parent è una scrittrice free lance che vive a Montreal. Dal 2002 al 2004 è stata l’editrice francese di HorizonZero, una rivista online del Banff New Media Institute. Prima di tutto ciò è stata la principale editrice del CIAC’s Electronic Magazine (1997-2001). Ha scritto testi per molte pubblicazioni e ha contribuito a siti web quali Archée, MobileGaze, The Daniel Langlois Foundation for Art, Science and Technology, ZeroOne San Jose/ISEA 2006. Ha curato la parte di web art della Biennale de Montréal 2000. Con Valérie Lamontagne, ha curato Location / Dislocation per il New Museum of Contemporary Art di New York nel 2001. [↩]
- Quest’intervista è tratta dal sito web http://mobilegaze.org. Il sito web MobileGaze è un collettivo online di artisti, dedicato alla promozione, presentazione e discussione riguardo lavori creati con i media digitali. È stato fondato nel agosto del 1999 da Valerie Lamontagne, Brad Todd e altri collaboratori. [↩]
- Chiaro riferimento al tema del sogno, che porta lo spettatore a chiedersi se ciò che vede sia un sogno o realtà. [↩]
- A questo progetto hanno partecipato anche artisti come Yan Breuleux (Canada), Jonah Brucker-Cohen (USA), Grègory Chatonasky (Francia), David Clark (Canada), David Crawford (USA), Paul Devens (Olanda), Reynald Drouhin + Emilie Pitoiset (Francia), I8U (Canada) e MTAA (USA). Per quanto riguarda questa esposizione si possono trovare maggiori informazioni su mobilegaze.org. [↩]
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