L ‘OLOGRAFIA
L’olografia è un procedimento fotografico durante il quale le normali lastre o pellicole vengono impressionate mediante luce coerente, quale, ad esempio quella di un laser, per produrre immagini tridimensionali senza l’ausilio di una strumentazione ottica particolare. La lastra o la pellicola così prodotta viene detta ologramma. Per ottenere un ologramma, la luce coerente, che è quella in cui tutti i punti del fronte d’onda hanno la stessa fase, viene sdoppiata lungo il suo cammino tramite uno specchio semiargentato; uno dei due fasci luminosi così ottenuti viene orientato, mediante uno specchio, in modo da illuminare l’oggetto di cui si vuole ottenere l’ologramma. L’oggetto riflette quindi la luce che lo illumina dando origine ad onde secondarie di luce coerente che incidono su una lastra fotografica. L’altro fascio luminoso, detto fascio di riferimento per distinguerlo dal precedente chiamato fascio oggetto, viene orientato per mezzo di un altro specchio, in modo da illuminare direttamente la lastra fotografica (vedi figura 1).
In questo modo, sulla lastra fotografica si sovrappongono i fronti d’onda di due fasci luminosi che, essendo coerenti, danno luogo ad una figura di interferenza le cui caratteristiche dipendono dalla forma dell’oggetto e dalla sua posizione rispetto alla lastra e alle altre parti della strumentazione ottica. La figura di interferenza così ottenuta, a prima vista, non assomiglia all’oggetto originale. Quando però, dopo che la lastra è stata sviluppata, essa viene illuminata dal retro con luce coerente (vedi la figura 2) uguale a quella usata in fase di impressionamento, l’onda riflessa dall’oggetto viene ricostruita per diffrazione l’osservatore, attraverso la lastra, può quindi vedere un’immagine virtuale dell’oggetto del tutto simile all’originale, percependone la tridimensionalità e, spostando lo sguardo, la modificazione del punto di vista prospettico con cui l’oggetto viene visto (parallasse).
L’olografia, in una forma più semplice rispetto a quella descritta sopra, fu inventata dallo scienziato inglese Dennis Gabor alla fine degli anni Quaranta, ma, dal momento che la formazione di frange di interferenza richiede l’uso di una sorgente luminosa coerente, solo negli anni Sessanta, periodo in cui vennero costruiti i primi laser, la ricerca in campo olografico fece prodigiosi passi avanti. Per l’olografia, l’aspetto più importante delle onde coerenti risiede nel fatto che due o più treni di onde di questo tipo che si intersecano possono dar luogo a frange di interferenza. Quando due treni d’onde di luce coerente interferiscono in una data regione dello spazio, ci sono punti di quella regione in cui i valori del campo elettrico si sommano (dando origine ad un valore più grande di quello che si avrebbe considerando un solo treno d’onde) e punti in cui i valori del campo elettrico si sottraggono. Ciò è dovuto al fatto che, dove le due onde sono in fase, la loro interferenza dà luogo ad un’onda di intensità maggiore, dove invece sono in opposizione di fase, la somma delle loro intensità è nulla. La figura 3 illustra ciò che avviene in due dimensioni (per esempio, nel caso di due onde che si propagano sulla superficie di uno stagno).
Il caso di due onde luminose è simile, però, come abbiamo detto, esse sono tridimensionali e si propagano nello spazio. Esaminando in dettaglio la luminosità della luce nella regione in cui le due onde interferiscono, si osservano delle figure di interferenza ben definite, costituite da aree chiare e scure. Una caratteristica peculiare dell’interferenza di onde coerenti periodiche sta nel fatto che l’intensità luminosa di queste figure di interferenza spaziali rimane fissa e costante per tutto il tempo in cui le onde si sovrappongono. Questo fenomeno è noto con il nome di frangia di interferenza di un’onda stazionaria. In una situazione simile, ma con luce incoerente, non si può osservare o registrare alcuna figura di interferenza di intensità fissa, in quanto le fasi delle onde variano molto rapidamente. Di conseguenza, l’esposizione di una lastra fotografica nelle regioni di sovrapposizione di onde coerenti dà luogo ad un ologramma, mentre con onde incoerenti il risultato è semplicemente una lastra fotografica annebbiata. L’olografia che, come abbiamo visto, consiste essenzialmente nella registrazione di figure di interferenza, ha delle applicazioni molto importanti nel campo dell’interferometria, della quale ha notevolmente ampliato i tradizionali campi di indagine.
Le tecniche di interferometria olografica sono sostanzialmente tre: 1) l’interferometria in tempo reale; 2) a intervallo di tempo; 3) in media temporale. Nell’interferometria in tempo reale, l’ologramma di un oggetto (ottenuto con il metodo precedentemente descritto) e l’oggetto stesso vengono posti nelle stesse posizioni che occupavano durante la fase di impressionamento e quindi illuminati, come in precedenza, dal fascio oggetto e da quello di riferimento (in pratica, la disposizione dell’oggetto e dell’ologramma è uguale a quella di figura 1, con la differenza che, in questo caso, al posto della lastra da impressionare vi è l’ologramma già sviluppato). In questo modo, il fronte d’onda riflesso dall’oggetto e quello diffratto dall’ologramma si sovrappongono e, trattandosi di onde coerenti, potranno interferire. Se, nel tempo intercorso tra la registrazione dell’ologramma e la ricostruzione dello stesso, l’oggetto ha subito qualche deformazione talmente piccola da essere invisibile ad occhio nudo, la distribuzione di fase della luci che da esso proviene avrà a sua volta subito delle variazioni e, interferendo con il fronte d’onda diffratto dall’ologramma, darà luogo a frange di interferenza chiare e scure le quali forniranno informazioni relative ai punti in cui l’oggetto ha subito deformazioni.
Tra le varie forme di olografia interferometrica quella in tempo reale è di difficile realizzazione, in quanto è molto difficoltoso riuscire a riallineare perfettamente l’immagine virtuale diffratta dall’ologramma e l’oggetto reale. L’olografia a intervallo di tempo o a doppia esposizione consiste essenzialmente nell’impressionare due volte la stessa lastra (con un tempo di esposizione totale pari a quello necessario per la riuscita di un buon ologramma), registrando, nella prima fase dell’esposizione, un oggetto prima che esso subisca una deformazione e, nella seconda fase, lo stesso a deformazione avvenuta. L’ologramma così ottenuto contiene tutte le informazioni riguardanti l’oggetto prima e dopo la deformazione. Quando l’ologramma, dopo essere stato sviluppato, viene illuminato con il solo fascio di riferimento vengono simultaneamente ricostruiti i fronti d’onda relativi ai due stati dell’oggetto, dalla cui interferenza è possibile rilevare le informazioni riguardanti le deformazioni subite dall’oggetto nell’intervallo di tempo intercorso tra la prima e la seconda esposizione. Per esempio, se si vuol vedere quali sono le deformazioni subite da un pneumatico d’automobile in seguito alle variazioni della pressione di gonfiatura, si procede ad una prima esposizione tenendo il pneumatico ad una data pressione e ad una seconda esposizione aumentandola. Nell’ologramma così ottenuto risultano visibili, sotto forma di figure di interferenza, le tensioni subite dal pneumatico in seguito al cambiamento di pressione. Dal momento che le figure di interferenza sono più accentuate nei punti di maggior deformazione, tramite l’ologramma è possibile individuare i punti di minor resistenza del pneumatico e quelli in cui sono presenti imperfezioni.
Il terzo tipo di olografia interferometrica, la cosiddetta interferometria in media temporale, viene usato soprattutto nei casi in cui su vuole studiare il comportamento di oggetti o superfici sottoposti a rapide vibrazioni. Consideriamo, ad esempio, la superficie di un tamburo. Quando essa è in rapida vibrazione, può essere divisa in varie regioni, ciascuna delle quali si muove in determinate direzioni. Esistono però punti appartenenti a queste regioni che sono stazionari e rappresentano gli estremi del movimento di ogni superficie: in essi infatti il moto diminuisce fino a fermarsi, per poi ricominciare in direzioni opposte. Questi punti rappresentano quindi gli estremi delle oscillazioni delle varie superfici e sono caratterizzati dal fatto che la superficie vibrante trascorre in essi più tempo che non nelle posizioni intermedie del moto. Se si fa un ologramma dell’oggetto in vibrazione usando un tempo di esposizione lungo rispetto al periodo di oscillazione delle parti che lo compongono, si ottiene una registrazione che mette in evidenza gli estremi di oscillazione del moto: in queste posizioni verrà infatti registrata una maggior densità di fonti d’onda. Analizzando le figure di interferenza così ottenute, si ricavano informazioni relative all’ampiezza delle vibrazioni dell’oggetto in movimento. Questa tecnica viene usata, per esempio, per conoscere i modi in cui vibra un altoparlante o per controllare e migliorare il suono prodotto dalla vibrazione delle corde di una chitarra. L’olografia resta, per il momento, una tecnica sperimentale il cui progresso è prima di tutto in funzione di quello del laser (benché sia possibile realizzare degli ologrammi a partire da qualsiasi sorgente di onde coerenti e in fase, ad esempio degli ultrasuoni). Ma proseguono attivamente le ricerche in vista dell’applicazione all’informatica, alla televisione, al campo industriale, alla medicina.
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