La realtà in camera oscura
Come anticipato, però, questa sempre più vera imitazione del reale ha radici storiche lontane. Infatti, volendo limitare i debiti di ciò al solo contesto delle arti visive, si dovrebbe risalire almeno al ‘400, quando fanno la loro comparsa la camera oscura e la rappresentazione prospettica. Questo per una duplice ragione: sia perché attraverso questa tecnica di rappresentazione dello spazio si perfeziona quella ricerca pittorica tesa alla verosimiglianza, sia perché i pittori cominciano a servirsi di un mezzo, di uno strumento di precisione, che segna una svolta in direzione di un aggiornamento tecnologico (Alberti, Brunelleschi, Leonardo e gli altri pittori del Rinascimento cercano di creare l’illusione della tridimensionalità ricostruendo la realtà su uno spazio bidimensionale attraverso questa tecnica di rappresentazione).
Il passaggio successivo (con le dovute omissioni circa particolari spettacoli medievali, pittura barocca, lanterne magiche ecc. ecc.) è rappresentato dalla nascita e dall’avvento della fotografia, nella prima metà del ‘800. Immagini totalmente realistiche possono essere create con un minimo intervento manuale e possono essere riprodotte in serie. Queste caratteristiche della fotografia introducono risvolti di enorme portata; ma, ai fini del nostro discorso, sarà necessario considerare solo le conseguenze che hanno avuto una certa rilevanza nella modificazione della percezione umana in virtù delle possibilità offerte dal mezzo. In altre parole, si cercherà di sottolineare le implicazioni dirette tra fotografia e realtà virtuale.
Si potrà parlare di macchina fotografica come di protesi della vista, sostituzione dell’occhio meccanico all’occhio naturale (a detta di molti fotografi che, asserendo la migliore fedeltà dell’obiettivo, hanno deciso di frapporre l’apparecchio tra loro e la realtà…in una sorta di scelta comportamentistica). Ma ciò che è più importante notare è che, sicuramente, la fotografia ha “allargato l’immagine del mondo”.
Fin dai suoi esordi, la fotografia ha offerto la possibilità di catturare, congelare, tradurre e diffondere in immagini un repertorio di realtà lontane dal quotidiano (i fotografi-viaggiatori da sempre ci offrono documenti visivi di paesaggi che forse noi non visiteremo personalmente, ma che diventano comunque realtà in grado di essere esperite esteticamente in una dimensione sensoriale). Reportage-fotografici paesaggistici, giornalistici, di moda, o altro ancora, ci informano e ci fanno fantasticare… e in qualche modo ci procurano esperienze extra-quotidiane nel salotto di casa.
Un’altra possibilità offerta dalla fotografia è quella di poter giocare con la propria identità, crearne di nuove in virtù dell’estrema realisticità e del particolare rapporto referenziale che offre: la credibilità della fotografia funge da “certificatore” di esistenza. Molti artisti (come Duchamp, ad esempio) si sono serviti del mezzo fotografico per creare alter-ego in grado, poi, di viver di vita propria1)… poiché «ogni fotografia è un certificato di presenza» e, ancora, «il noema della Foto è appunto che quello è stato»2.
Ognuno di noi, sicuramente, si sarà fatto scattare delle foto in pose (artificiali o artificiose) con o senza travestimenti, dando vita ad una sorta di nuove identità. D’altronde, già intorno al 1860, ai tempi della carte de visite di Disderi, si possono rintracciare le componenti teoriche di «micro-performance in bilico tra certificazione burocratica e travestimento straniante»3. Lo stesso Disderi, infatti, sembra abbia più volte detto che i modelli, anziché cercare di definire la propria rassomiglianza, cercassero di rassomigliare a qualcun altro4. La fotografia, strumento ideale per l’accertamento dell’identità, diventa occasione di fuga dalla realtà e dall’identità stessa.
Non bisogna, infine, dimenticare la caratteristica forse più evidente della fotografia, ossia quella di essere “presenza in assenza”; la sua capacità, quindi, di annullare in qualche modo lo spazio e il tempo, la sua proprietà di fungere da speciale supporto di memoria. Si pensi semplicemente alla fotografia della propria amata nel portafogli, oppure a quella dei propri cari appese al muro e così via. Queste sono in grado di richiamare ricordi e di rinnovare esperienze, nonché capaci di far fantasticare.
La fotografia, più di altre tecniche di rappresentazione figurative precedenti, è riuscita a rimpiazzare il mondo con il suo doppio, soddisfacendo completamente il nostro appetito di illusione, sconfiggendo la morte provocata dall’inesorabile scorrere del tempo. Secondo Andrè Bazin, il “complesso della mummia” trova la sua migliore soluzione attraverso la nascita della fotografia e del cinema: «Essa soddisfa con ciò un bisogno fondamentale della psicologia umana: la difesa contro il tempo. La morte non è che la vittoria del tempo. Fissare artificialmente le apparenze carnali dell’essere vuol dire strapparlo al flusso della durata: ricondurlo alla vita».5
- Si veda a tal proposito: Claudio Marra, Fotografia e pittura nel ‘900, Milano, Mondadori, 1999 (cap. “Dadaisticità intrinseca della fotografia” [↩]
- Roland Barthes, La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980 [↩]
- Federica Muzzarelli in AA.VV., Il battito della fotografia, Bologna, Clueb, 2000 [↩]
- Alphonse Disderi citato da Claudio Marra in Fotografia e pittura nel ‘900, Milano, Mondadori, 1999 [↩]
- André Bazin, Che cosa è il cinema?, Milano, Garzanti, 1973 [↩]
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