Premessa introduttiva
In questi ultimi anni di grande evoluzione tecnologica si sente parlare sempre più spesso di realtà virtuale (…e “derivati”). Questo termine, però, sembra racchiudere una certa ambiguità semantica, se non proprio una contraddizione costitutiva. Tralasciando una perfetta ricostruzione etimologica, decido semplicemente di aprire la dodicesima edizione del dizionario Zingarelli per cercare il termine «virtuale»:
1(filos.) Che esiste solo in potenza e non è ancora in atto. 2(est.) Potenziale, possibile, quasi effettivo […] contr. Reale.
A questo punto mi viene da chiedere (forse un po’ capziosamente) cosa è possibile intendere con il termine, oggi così diffuso, di realtà virtuale. Sicuramente, oggigiorno, il termine potrebbe legarsi a tanti aspetti della vita di ognuno, ma mi verrebbe da chiedere subito se il sogno (anche, o forse soprattutto, quello ad “occhi aperti”) possa rientrare nella categoria; anzi mi verrebbe da chiedere se non sia proprio l’archetipo, il prototipo, o il generatore di tutto ciò che ha messo in moto una ricerca che sta dando vita a soluzioni in perenne sviluppo.
Già Freud, nel suo saggio del 1907 intitolato Il poeta e la fantasia, faceva il punto sulle connessioni tra sogno-arte-gioco. Senza addentrarsi troppo nel territorio della psicoanalisi, però, si potrebbe dire che la “triade” ha a che fare con l’insoddisfazione esistenziale e con la conseguente ricerca di evasione dalla realtà, in vista dell’appagamento del desiderio. Concentrando il discorso sull’arte, quindi, si potrà dire che quest’ultima è mediazione tra il principio di piacere e il principio di realtà: «L’arte perviene, per una strada sua particolare, a una conciliazione dei due principi. L’artista è originariamente un uomo che si distacca dalla realtà giacchè non riesce ad adattarsi alla rinuncia al soddisfacimento pulsionale che la realtà inizialmente esige, e lascia che i suoi desideri di amore e di gloria si realizzino nella vita della fantasia. Egli trova però la via per ritornare dal mondo della fantasia alla realtà, poiché grazie alle sue doti particolari trasfigura le sue fantasie in una nuova specie di cose “vere”, che vengono fatte valere dagli uomini come preziose immagini riflesse della realtà. Così in un certo modo egli diventa davvero l’eroe, il sovrano, il creatore, il prediletto che bramava diventare, e questo senza percorrere la faticosa e tortuosa via della trasformazione effettiva del mondo esterno.»1
E, come sintetizza Stefano Ferrari: « L’arte è sostanzialmente appagamento del desiderio, un modo per correggere la realtà ritenuta insoddisfacente e frustante; in ciò essa è omologa al gioco dei bambini, al fantasticare dell’adulto e in parte al sogno stesso. […] Bisogna tener conto inoltre che questa concezione dell’arte come appagamento sostitutivo funziona, nella prospettiva freudiana, sia per quanto riguarda il processo creativo che quello fruitivo, nella misura in cui i desideri dell’autore sono gli stessi del fruitore e consentono perciò un processo di identificazione.»2
Ricapitolando, quindi, il fruitore di un’opera d’arte (o di qualsiasi invenzione in grado di permettere l’accesso ad una realtà altra) è spinto a questa esperienza dal desiderio di “vivere” qualcosa che la propria realtà non gli fornisce; e ciò diventa possibile attraverso un processo di identificazione e di immedesimazione che si innesca a vari livelli di percezione.
Nell’epoca attuale è possibile avvalersi di sofisticate apparecchiature tecnologiche per raggiungere tale scopo, ma non bisogna dimenticare che le radici di questa ricerca si ritrovano in epoche ormai lontane e sono piantate in una necessità (forse primordiale) dell’uomo. Detto ciò, è necessario aggiungere che il termine, oggi così diffuso, di “realtà virtuale” (virtual reality, in inglese) è stato coniato di recente; e, per essere precisi, è stato coniato nel 1989 da Jaron Lanier, uno dei pionieri nel campo dei linguaggi di programmazione virtuale. Se si volesse fare una piccola ricerca del termine via Internet (tanto per essere metodologicamente più coerenti con l’oggetto della nostra analisi) si troverebbero definizioni di questo tipo: «Nell’uso corrente del termine la realtà virtuale è una rappresentazione elettronica interattiva e simultanea di un mondo reale o immaginario, attraverso la vista, il suono, il tatto (per ora), in cui l’utente ha l’impressione di divenire parte di ciò che è rappresentato»; definizione correlate, poi, da una miriade di piccoli e “imperfetti” esempi pratici.
In altre parole, la rete (che già di per sé può essere considerata un’esperienza di particolare virtualità e, allo stesso tempo, un medium che permette il reale coinvolgimento dell’utente) cerca di fornirci da subito un assaggio di realtà simulate, create attraverso l’uso del computer; mondi creati con sistemi complessi e sofisticati che permettono una pressoché totale illusione di realtà, mondi in cui il “visitatore” ha la possibilità di diventare soggetto attivo: smette di essere osservatore e diventa una sorte di attore in grado di muoversi e di interagire con l’ambiente circostante.
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