Il teatro multimediale canadese. The Andersen Project di Robert Lepage
The Andersen Project
Robert Lepage ha presentato il 27 ottobre 2006 a Roma, in prima nazionale, lo spettacolo The Andersen Project, commissionato nel 2005 dal governo danese per celebrare il bicentenario della nascita di Andersen. Prodotto da Ex Machina, la compagnia da lui fondata nel 1994 negli spazi del centro di produzione multidisciplinare Caserne Dalhousie (ex caserma dei pompieri), l’evento, dopo aver riscosso svariati successi in ambito internazionale, da Copenaghen a Londra a Parigi, è stato presentato all’interno del Romeuropa Festival.
Un giovane del Québec, Frederic Lapointe, si ritrova a Parigi per realizzare, su commissione dell’Opéra, un libretto per bambini basato sulle fiabe di Andersen. La trama narra le varie vicende e gli incontri del protagonista nella capitale francese. Nonostante l’incessante susseguirsi di situazioni, di ambienti (i telefoni pubblici, l’Opéra Garnier, i vagoni di un treno, il Bois du Boulogne, le salette di un “peep show”, l’Esposizione Universale del 1867, la discoteca, la stanza da letto), di personaggi (il direttore dell’Opéra, un giovane magrebino con la passione per i graffiti, un cane virtuale, i protagonisti delle favole anderseniane La driade e L’ombra) e di piani temporali (1867, 1967), il tema sottostante è la solitudine che si svela tra le righe delle traversie personali del protagonista e nella satira alle grandi strutture del sistema dello spettacolo.
Il problema del deserto affettivo è l’elemento che ha indotto Lepage ad assumersi l’onere del progetto, in precedenza scartato, dell’opera su Andersen, è il link che collega l’esperienza personale del grande scrittore danese del XIX secolo con quella dell’attuale regista canadese. Ciò è riscontrabile anche nella scelta di collocare temporalmente La driade all’Esposizione Universale del 1867, che Andersen visitò: un evento-simbolo dell’inizio della solitudine moderna. “Quell’Esposizione Universale – aggiunge il regista – ha segnato la fine del romanticismo e l’inizio del modernismo; un mondo di uomini macho, un mondo realista, matematico, che si basa su cose molto concrete, senza più spazio per gli eccessi e per le passioni”1.
In The Andersen Project, però, l’incontro con l’altro, nonostante il fallimento delle istanze iniziali, ovvero delle finalità del protagonista, si rivela, in ogni modo, proficuo: attraverso l’alterità Lapointe riesce a definire le sue motivazioni, i suoi ruoli e le sue direttive morali. La storia narrata, come in molte opere di Lepage, si intreccia con risvolti autobiografici, a partire dalla nazionalità del protagonista fino ad arrivare alla rappresentazione problematica dell’infanzia.
Due ore di spettacolo in cui l’unico attore-regista prospetta e interpreta, esclusivamente solo, una molteplice serie di personaggi. Lepage riesce, attraverso un magistrale lavoro d’interpretazione, a infondere forma, vita e caratteristiche ad ogni specificità rappresentata, delineandone di volta in volta le peculiarità. L’artista canadese è sceneggiatore, interprete e direttore della pièce teatrale. Questo atteggiamento gli proviene dalla sua formazione: si è plasmato presso la scuola teatrale di Alain Knapp di Parigi dove si seguivano le teorie di Jacques Lecoq: i “rudimenti dell’improvvisazione teatrale, della creazione collettiva e il concetto di attore-creatore. […] ‘He [Alain Knapp, secondo le parole del canadese] never distinguished what a director and an actor do. He worked mainly on improvisation’ ”2.
Il teatro di Lepage
La portata innovativa del teatro di Lepage non si ferma esclusivamente alla sorprendente capacità interpretativa e sintattica, ma investe anche, su un livello linguistico e formale, il suo rapporto con le altre forme di narrazione visiva come il cinema e la televisione. Abolisce la distinzione fra le arti e attinge, con grande disinvoltura, alle altre modalità di rappresentazione. Con estrema scioltezza le fonde una entro l’altra, senza mai disarticolarle dalla tradizione teatrale ma rinnovandone il supporto comunicativo e infondendo in esse nuovo vigore. “Il teatro è molto influenzato dai progressi dell’epoca in cui si vive: in questo momento ci troviamo di fronte ad un approccio narrativo cinematografico. Credo che il teatro debba rimanere teatro, non diventare cinema, ma credo anche debba accogliere altre forme narrative, mutate dalle altre arti”.3
Lepage restringe lo spazio scenico nelle sue componenti tridimensionali: altezza, larghezza e profondità. Ritaglia un piccolo schermo filmico poco profondo che diventa il campo visivo dell’osservatore. In questo stretto rettangolo l’attore si muove, interagisce, narra la sua storia, crea un ambiente vivibile dove esprimersi. Dopo aver appiattito lo spazio, lo sfonda, lo riconduce ad una matrice tridimensionale, interagisce illusionisticamente con esso. Un iter che parte da un processo di sintesi per poi trovarsi nuovamente ad essere analitico, descrittivo. Non abolisce le coordinate spaziali sceniche tipiche della rappresentazione tradizionale ma le ricrea con l’ausilio della tecnologia. Sorprende lo spettatore, lo trascina all’interno del suo mondo così mimetico ma allo stesso tempo visionario. Gli scenari da lui creati variano ecletticamente da situazioni realizzate sinteticamente, come l’evocazione del Bois du Boulogne, a scenografie più tradizionali, come la ricostruzione degli spazi delle cabine telefoniche o degli interni del “peep show”. La tecnologia non è mai preminente e fine a se stessa, bensì è sempre funzionale alla narrazione. Lo si può chiaramente intendere quando restringe lo spazio temporale per realizzare una fluidità narrativa fortemente comunicativa e psichedelica, come avviene quando le scene del treno e della discoteca confluiscono l’una entro l’altra, e nella sezione in cui viene narrata la storia de L’ombra, dove è possibile gustare la maestria con cui l’attore-regista gioca con la luce di una lampada, facendola diventare parte attiva e co-protagonista del racconto.
Tutto lo spettacolo è caratterizzato da una tecnica di montaggio degli eventi basata su una narrazione non lineare. Un susseguirsi di situazioni strutturate in una spiccata libertà sintattica, la cui l’unione fra le parti si evince nella globalità della narrazione. Si tratta di modalità costruttive in cui è possibile ritrovare la sintesi e gli scarti narrativi tipici del linguaggio video. Così come manipola il ritmo della narrazione, Lepage alterna il tragico al comico, varia dinamicamente il tono del racconto in un susseguirsi di ironia e dramma.
L’uso della lingua originale, il francese, sottotitolato, denota la sua costante attenzione alle problematiche del multiculturalismo e multilingismo, mostrando la volontà di poter sormontare le barriere culturali attraverso una comunicazione capillare e globale ma allo stesso tempo specifica e rispettosa delle intrinseche differenze.
The Andersen Project si è presentato quindi come un coagulo di semplicità e di laboriosità, di spontaneità e di manipolazione: la sobrietà e la raffinatezza permeano lo stile dell’opera, sempre calibrata, mai eccessiva né ridondante o violenta.
Note
- Paolo Cervone, “Andersen: i demoni sessuali del brutto anatroccolo”, Corriere della Sera, 11 febbraio 2006 rip. in azur, http://azur.altervista.org/modules.php?name=News&file=article&sid=2214 [↩]
- Anna Maria Monteverdi, “attore-specchio-macchina. Robert Lepage regista e interprete”, in ateatro, 46.8, http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro46.htm#46and8 [↩]
- Robert Lepage racconta, opuscolo dello spettacolo, Robert Lepage, The Andersen Project, Romaeuropa Festival, Fondazione Musica per Roma, Auditorim Parco della musica, Roma, 27-28-29 ottobre 2006, s.i.p. [↩]
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