Il Postmoderno sublime: dal cyberspazio alla realtà virtuale
Introduzione
1984. Creata dalla penna di William Gibson, la parola cyberspazio è destinata ad incarnare uno dei prodotti culturali più deliranti e ambiziosi dell’era postmoderna: un nuovo universo, un mondo parallelo generato e alimentato dalle reti globali di comunicazione via computer.
Una parola infelice però, se rimane legata alla disperata, apocalittica visione del prossimo futuro che si ritrova nelle pagine di Neuromancer in cui si prefigurano l’egemonia delle multinazionali e il degrado urbano, trapianti celebrali, innesti mnemonici e terrorismo informatico. Essa dà il via ad una fase di fatale ed inarrestabile progresso dell’elaborazione dell’economia e della natura umana, all’insegna di una tecnologia e una genetica impazzite, “alla ricerca di performance limite, a scapito della scoperta di una verità coerente e utile all’umanità”1.
La letteratura di fantascienza, prontamente coadiuvata dal cinema che le ha fornito un’efficace iconografia, ha captato prima di ogni altra sorgente culturale l’ambivalente rapporto dell’uomo di fronte alla sempre più crescente tecnologizazzione. Il “Postmoderno sublime” di cui parla Gibson stesso2 è appunto la fascinazione mista a terrore di fronte alle infinite possibilità di superamento dei limiti umani, del corpo come della mente, alla trasformazione totale dell’ambiente che accoglierà le future comunità umane. Le ambientazioni tipiche dell’immaginario cyberpunk sono infatti città sovraffollate, multirazziali, fatiscenti, popolate da identità ibride e mutanti dove la natura è definitivamente scomparsa.
E’ significativo come Osmose3, considerato il modello dell’installazione virtuale realizzata con finalità esclusivamente artistiche, sia un’estetizzante e pittoricamente suggestiva ricostruzione di un ambiente naturale, opalescente e cristallizzato, che si naviga alla maniera del subacqueo, calibrando i movimenti sul ritmo del proprio respiro. La navigazione è garantita dall’utilizzo dei classici apparati tecnici della realtà virtuale come l’HMD (Head Mounted Display) e i data gloves pensati già da Ivan Sutherland nel 1968 e perfezionati dalla VPL Research di Jaron Lanier nei primi anni Ottanta.
La Realtà virtuale
Il termine “Realtà virtuale” è oggi comunemente usato per ogni spazio creato o accessibile via computer, dal mondo tridimensionale di un videogioco ad Internet come comunità virtuale. Il significato originario ambiva riferirsi ad una realtà illusiva capace di immergere completamente i suoi utenti in uno spazio parallelo, a tre dimensioni, dove esisteva la possibilità di interagire con gli oggetti virtuali che lo occupavano. Ed è a questa volontà di simulazione totale della realtà che si rifanno gli artisti che hanno scelto come campo di sperimentazione la realizzazione del cyberspazio nella sua accezione fisico-sensoriale.
Appoggiandosi ad istituti tecnologici che hanno garantito supporti informatici ed economici essi hanno dato vita, lungo il corso degli anni Novanta, ad una serie di ambienti virtuali, contribuendo direttamente allo sviluppo della ricerca sul campo. Nel 1991 il BANFF Centre del Canada finanzia la realizzazione di nove progetti di realtà virtuale tra cui Placeholder, Dancing with the virtual dervish e Archeology of a mother tongue.
Per il primo ambiente l’artista Brenda Laurel si ispira al concetto di natura “ritrovata” e ricrea sinteticamente il bel paesaggio che circonda il BANFF aggiungendo delle figure di animali graficizzate e una voce guida. In Dancing with the virtual Dervish Toni Dove approfondisce il tema del corpo nel cyberspazio, facendo dell’interno un torace umano lo spazio navigabile e includendovi una performance di danza eseguita in tempo reale dal ballerino-coreografo Jacob Shavir, mentre Archeology of a mother tongue si basa sull’interattività di un racconto teatrale che presenta molteplici possibilità di scelta da parte del navigatore.
Sul versante europeo, Monika Fleischmann e Wolfgang Strauss fondano a Berlino nel 1991 ART+COM, istituto di ricerca visuale, e realizzano una tra le opere di arte virtuale4 più significative mai prodotte, dove ci si interroga sull’impatto delle nuove tecnologie e sui loro sviluppi sociali: The Home of the brain – Stoa of Berlin. Vincitore del Golden Nica all’ARS Electronica Festival del 1993, rappresenta una nuova forma di spazio pubblico, quello della rete globale dei dati, modellato visivamente sulla Neue Nationalgalerie di Berlino, progettata da Mies Van Der Rohe. Qui forme geometriche elementari, tronchi d’albero, rovine, parole fluttuanti e un labirinto, circondano quattro “case”, abitate da due scienziati e due filosofi: Joseph Weizenbaum, Marvin Minsky, Vilém Flusser e Paul Virilio. In una dimensione altamente simbolica5, archetipica, con la quale si fondono suggestioni platoniche, si tenta un discorso su eticità e ontologia dei nuovi media. E’ sintomatico come i due artisti abbiano colto nel segno inserendo la presenza virtuale di Virilio, allora quasi misconosciuto, oggi acclamato come uno dei maggiori teorici dei media esistenti. In accordo con le tesi espresse in La bomba informatica6 dove si profetizza un’apocalisse causata dalla folle corsa della tecnologia, lo spazio occupato dal filosofo nell’installazione è detto “Casa della Catastrofe”.
Note
- Paul Virilio, La bombe informatique, Editions Galilée, 1998, pag. 1 [↩]
- Intervista a William Gibson a cura di Luigi Pachì e Franco Forte, L’Avvenire, 18/2/94. [↩]
- Ambiente virtuale creato nel 1994 dall’artista canadese Char Davies, fondatrice della Softimage, azienda produttrice di programmi 3D e collaboratrice per gli effetti speciali di Jurassic Park. [↩]
- Così è ormai definita da studiosi che si occupano di arte e nuove tecnologie come Oliver Grau (Oliver Grau, Virtual Art from illusion to immersion, MIT Press Cambridge, Massachusetts, 2003) e Frank Popper che sta preparando un saggio sull’argomento come ha dichiarato in recenti interventi (Frank Popper, “Arte virtuale”, in Arte del video – Il viaggio dell’uomo immobile, Fondazione Ludovico Ragghianti, Lucca, 21 marzo-23 maggio 2004). [↩]
- Intervista a Jaron Lanier, 8 marzo 1998, Bruxelles. Reperibile sul sito http://www.well.com/user/jaron/index.html. [↩]
- Paul Virilio, La bombe informatique, Editions Galilée, 1998, op.cit. [↩]
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