Avatars e Realtà Virtuale
Uno dei maggiori fattori di successo del World Wide Web è stata la capacità di attrarre un numero molto elevato di persone a ognuna delle quali è stata data la facoltà di usare la rete sia come consumatore di contenuti sia come produttore di informazioni. Purtroppo però, ancora oggi, l’accesso alla Rete avviene il più delle volte in solitudine. Si può per esempio consultare un documento senza poter minimamente interagire con tutte le altre persone che lo stanno leggendo. Questo fatto è visto da molti come una forte limitazione del web1.
In questi anni sono nati diversi progetti il cui scopo è quello di superare questo vincolo, che quindi si prefiggono di riuscire a fare cooperare e interagire i fruitori della Rete. Questi progetti sono stati sviluppati tradizionalmente con un approccio 2D dove, cioè, sia gli utenti connessi, sia l’oggetto della visita, non avevano alcuna caratterizzazione tridimensionale. Esempi di progetti sviluppati senza usare alcun tipo di rappresentazione 3D sono gli di ambienti di chat tematici, i forum e i siti web dove è possibile vedere e confrontarsi in tempo reale con gli utenti connessi. In seguito, invece, si è passati anche all’utilizzo di interfaccie 3D per garantire alle applicazioni in questione un maggiore impatto visivo. Un analogo processo evolutivo ha modificato, oltre che le ambientazioni, la “rappresentazione dei presenti”.
Nei primi anni di crescita della Rete si poteva accedere a forum di discussione o alle chat facendosi rappresentare visivamente da un personaggio definito avatar che altro non era che una foto o un immagine bidimensionale posta accanto alla zona dedicata alle comunicazioni dell’utente (come nei forum, fig.1) o inserita nel profilo utente (come in alcune chat). Il concetto di Avatars ha avuto recente sviluppo nell’ambiente 3D e ha visto personaggi di ogni genere (rappresentazioni a 3 dimensioni di uomini, donne, umanoidi, animali e oggetti), divenire gli “alter ego”” virtuali dei visitatori (fig.2).
L’uso del termine Avatars per rappresentare se stessi o l’utente nel contesto degli ambienti virtuali si presenta all’inizio degli anni ’80 con lo sviluppo del progetto LucasFilms Habitat (Farmer) ed entra a far parte della coscienza popolare grazie al successo del romanzo SnowCrash (Stephenon)2.
Le discussioni sulla natura dell’avatar tendono spesso a confondersi con la teoria attuale del cyborg; è necessario però distinguere queste due figure. Il termine cyborg è stato coniato nel 1960 in seguito all’apparizione di “Cyborgs in Space” (di Clynes e Kline) nel quale alterare le naturali funzioni corporee dell’uomo, per far fronte alle diverse condizioni degli ambienti extraterresti, era considerato più logico del creare un “ambiente controllato”, a misura d’uomo, nello spazio3. Questo essere anticipa quello che è il concetto di uomo-aumentato, una costruzione fisica ibrida che unisce il corpo umano a parti hardware, software e protesi meccaniche che ne aumentano le capacità di azione e percezione.
Nell’interesse di una definizione teorica di avatar si deve considerare il cyborg in relazione con il mondo reale, il risultato fisico della ricerca scientifica, non del mito, della metafora, della rappresentazione o del romanzo. In opposizione, l’avatar è esattamente questo, una figura con la relativa origine in un mondo, proiettata, passando attraverso una forma della rappresentazione, in un mondo parallelo.
Entrambe le figure, cyborg e avatar, dividono lo scopo di facilitare l’utilizzo di un altro ambiente ma mentre il primo è descritto come un ibrido, il secondo è caratterizzato da una spaccatura telematica; “l’originale” rimane in un ambiente, la sua rappresentazione in un altro. In più, cosa molto importante, il cyborg è vincolato da un corpo, da un’identità materiale (che lo rende anche soggetto alle leggi della fisica e alle relative forze e inerzie), mentre la natura immateriale dell’avatar offre al relativo referente elevate possibilità di scelta per l’identità. Questo è forse l’aspetto più interessante di questa figura in quanto permette al referente di “essere chi vuole” all’interno di un mondo parallelo abbattendo quelle che sono le barriere del consenso sociale.
Questo aspetto è stato preso molto in considerazione anche dalle multinazionali, che hanno visto nella Rete la possibilità di arrivare direttamente agli utenti ed in modo mirato. La mancanza generata, progettata ed organizzata in e con la produzione sociale e la creazione intenzionale di insoddisfazioni in funzione dell’economia di mercato è l’arte della categoria dominante4. Una volta bombardati con le rappresentazioni di modelli, siamo portati a confrontarci con ideali culturali intenzionalmente irraggiungibili nella vita reale ma che diventano, all’apparenza, a portata di mano in un mondo virtuale5.
Se, per esempio, il nostro avatar è una scarpa della Nike, modello consolidato nella società sportiva attraverso il quale cerchiamo il consenso popolare, nell’illusione di poter usufruire gratuitamente di questo marchio, diveniamo parte integrante del sistema pubblicitario che agisce sul mondo reale e che produce di conseguenza profitti alla Nike.
Un’altra ricerca, decisamente più interessante dal punto di vista didattico e che prende in considerazione il corpo come strumento primario di “conoscenza”, è ravvisabile nella messa a punto di un ambiente immersivo e interattivo denominato Mixed Realilty stage, sviluppato in questi anni da Monika Fleischmann e Wolfgang Strauss, all’interno del progetto eRENA.
Per capire la portata di questo studio è opportuno fare un passo indietro partendo da una delle definizioni più comuni di Realtà Virtuale (VR), nella quale le persone sono circondate da rappresentazioni tridimensionali generate da un computer ed hanno la possibilità di muoversi in questo mondo, vederlo da più angolazioni, maneggiarlo e riadattarlo. Per eseguire queste operazioni è necessario essere muniti di casco dotato di visori HMD (data helm) e di un data glove (fig.3)6.
Il punto fondamentale diventa quindi quello dell’“esserci”, dell’immersione totale per mezzo di un apparato tecnologico che stimola i sensi al fine di consentirci di vivere quest’esperienza. In realtà la percezione dello spazio e della “realtà altra” da visitare sono affidate principalmente al senso della vista, tanto che nelle sue prime applicazioni la fruizione di un ambiente VR non implicava la presenza di un avatar, ma si concentrava sulla riproduzione in prima persona della visione. Successivamente si intuisce la necessità di rendere lo spettatore parte integrante di questo mondo altro, orientandosi verso l’introduzione della mano virtuale (virtual hand) che, senza compromettere il paradigma della visione in prima persona, aiuta l’utente a definire meglio le proprie coordinate e a prendere in considerazione l’idea del senso del corpo come strumento di conoscenza più profonda. Infine si approda alla vera e propria introduzione del corpo avatar contemporaneamente all’idea di introdurre più partecipanti in grado di condividere la stessa esperienza. L’avvento degli ambienti multi-user è una svolta importante che definisce un nuovo approccio nella descrizione e percezione di ambienti virtuali, spostando il punto focale sull’interazione fra i diversi partecipanti. La rappresentazione del corpo virtuale è indispensabile per porre l’utente come parte integrante dello spazio tridimensionale e permettere contemporaneamente la monitorazione della situazione globale. La visione quindi non è più impostata necessariamente sulla prima persona, ma anche sulla terza.
Negli ultimi dieci anni si sono sviluppati alcune tipologie di ambienti immersivi che permettono di visitare ed esplorare ambienti, sempre tridimensionali, riducendo però la strumentazione e permettendo al visitatore di muoversi liberamente nello spazio. E’ il caso per esempio dei Cave, (il Cave allude alla caverna di Platone, dove il filosofo esplorava le idee della percezione, realtà e illusione rifacendosi all’analogia delle ombre date dalla figura umana contro la parete, come uniche basi di conoscenza per esplorare il significato degli oggetti reali), stanze in genere di 3m x 3m x 3m con retroproiezioni su tre pareti e proiezione dal basso per il pavimento. Il fruitore è libero di muoversi nello spazio e, attraverso occhiali stereoscopici, può immergersi in quest’ambiente che aggiorna continuamente la prospettiva tramite sensori elettromagnetici di campo, accrescendo l’effetto di immersione grazie ad un sistema sonoro dislocato. Gli occhiali però se alterano ciò che è visto sullo schermo, non alterano ciò che sta nella stanza (cose, persone)7.
L’esigenza di dare la massima libertà motoria ed espressiva al corpo ha visto affermarsi una tipologia di ambiente immersivo denominata “Mixed Reality” (MR). Il termine è usato comunemente per riferirsi ad ambienti che combinano oggetti reali e virtuali con rappresentazioni visive dello spazio reale e virtuale. Il paradigma di base è quello di uno spazio informazionale che unisce elementi dell’informazione fisica e digitale in gradi differenti di spazialità. Per comprendere questo termine sono necessari altri concetti come quello di augmented reality, augmented virtuality tangible bits e mixed reality boundaries, che caratterizzano le diverse tipologie di ambienti MR8.
Per augmented reality (AR) s’intendono quelle applicazioni il cui scopo è incrementare la percezione visiva dello spazio fisico con immagini prese dallo spazio virtuale. Queste ultime possono essere introdotte sia attraverso display HDM, sia in remoto, visualizzate cioè da un display video, integrato da informazioni digitali. Questo termine venne coniato nel 1990 da due ricercatori dei laboratori della Boeing, Tom Caudell e David Minzell. I due scienziati, al lavoro su un prototipo che rimpiazzasse gli strumenti di bordo di un aereo, svilupparono un congegno indossabile sul viso dei piloti in grado di visualizzare velocemente la rotta e tutte le informazioni correlate ai decolli e agli atterraggi. La realtà così visualizzata venne ribattezzata “Realtà aumentata”, perché al mondo reale venivano aggiunte informazioni.
Fra le varie sperimentazioni di AR in corso di studio, il sistema Mars (Mobile Augmented Reality System), in via di sviluppo alla Columbia University, prevede un’attrezzatura capace di rilevare la posizione della persona attraverso l’uso del sistema GPS (Global Positioning System), che riesce a determinare il punto esatto con un errore di pochi centimetri e calcola la direzione dello sguardo con un errore di pochi gradi9. In questo punto vengono visualizzate le informazioni relative al soggetto osservato in quel momento, per ora entro un itinerario prefissato (fig. 4).
Le potenzialità di sviluppo sono davvero notevoli: l’AR è una tecnologia in grado di rivoluzionare totalmente il nostro modo di vivere e percepire la realtà. In un futuro prossimo sarà possibile camminare con un paio di normali occhiali e, semplicemente cliccando su un mouse, visualizzare le informazioni su luoghi, musei, ristoranti, locali. Oppure, attingendo ad un nostro database personale, visualizzare informazioni relative a persone già incontrate o a luoghi. Ma saranno soprattutto il campo medico sperimentale, l’aeronautica, il campo militare, ad avere molteplici applicazioni10.
Lo scopo dell’utilizzo di augmented virtuality invece è quello di incorporare immagini attuali ed eventi dal mondo reale in quello virtuale. Un esempio potrebbe essere quello di “incollare” i visi degli utenti su quello dei loro avatar nella rappresentazione 3D.
L’approccio dei tangible bits consiste nella possibilità di afferrare oggetti fisici chiamati phicons per interagire con informazioni digitali, per esempio muovendo modelli fisici su uno schermo (table top) si può avere accesso ad una mappa digitale che è proiettata sopra di essi (per esempio è possibile esplorare una città virtuale attraverso un muro di proiezioni 3D, per mezzo del movimento di un dito virtuale, virtual finger, sulle vie di una mappa proiettata su uno schermo)11.
Per quanto riguarda invece l’orientamento del mixed reality boundaries, si tratta di tenere distinti, ma adiacenti, gli spazi fisici e virtuali, creando un confine trasparente fra essi. Gli occupanti dello spazio fisico possono vedere che esiste una frontiera per accedere allo spazio virtuale e comunicare con chi lo occupa (è il caso degli avatar in un ambiente virtuale collaborativo). Il fatto che sia compresa una retroazione delle azioni virtuali in quelle fisiche porta questo approccio a dare un uguale peso alla dimensione fisica e virtuale e lo si può considerare come un unico grande ambiente nel quale gli spazi sono separati da soglie simili a porte o finestre12.
Nell’ambito di ambienti MR è dunque possibile creare diverse tipologie che possono essere classificate secondo l’incremento dell’influenza dei componenti virtuali, partendo da quelli non immersivi basati su video displays integrati con immagini virtuali a quelli completamente immersivi basati su proiezioni virtuali e/o uso di display HDM13. Nel futuro scenario della telepresenza immersiva vengono trasmesse scene remote per integrare l’ambiente reale: allora l’ambiente di comunicazione diviene una combinazione di mondo reale e mondo virtuale, in cui il secondo arricchisce e estende il primo con esperienze simulate, virtuali, aurali e tattili14.
Note
- Informazioni tratte da Mediamente al sito web http://www.mediamente.rai.it/ [↩]
- Gregory Little, An Avatar Manifesto, Kent State University Stark Campus. [↩]
- Manfred. E. Clynes, Nathan. S. Kline. “Cyborgs and Space”, Astronautics, September 1960. Ripubblicato in Cyborg Handbook, Gray. [↩]
- Gilles Deleuze, Felix Guattari, A Thousand Plateaus: Capitalism and Schizophrenia, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1987. [↩]
- Gregory Little, An Avatar Manifesto, cit. [↩]
- Raffaella Rivi, “Il corpo come elemento centrale dei fenomeni conoscitivi e interattivi: dalla Realtà virtuale al Mixed Reality Stage”, pubblicato su Noema, http://www.noemalab.org/sections/ideas/ideas_articles/rivi.html [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Tratto da Il Trovatore sul sito http://www.iltrovatore.it/ [↩]
- Ibidem. [↩]
- Raffaella Rivi, op.cit. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Informazioni tratte dal sito web http://www.radiolabs.it/ [↩]
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