Partecipare a “Digital_is_not_analog” per chi, come chi scrive, è un curioso appassionato ma non strettamente addetto ai lavori, è stata un’esperienza senza dubbio interessante, nonostante a tratti il gergo si facesse quasi incomprensibile. Tra le varie presentazioni di siti, software, plagi e attivismo in rete infatti, affioravano anche le implicazioni estetiche di operazioni come queste, legate alle peculiarità del digitale. Allo stesso tempo però, quello che si può definire una specie di “sesto senso” estetico veniva a sua volta messo in all’erta da richiami ad un’estetica di tipo tradizionale.
Uno degli esempi più stimolanti dal punto di vista di queste insolite sovrapposizioni è stata la presentazione del codice sorgente del virus “Melissa” da parte del gruppo italiano di EpidemiC.
“Codice sorgente”: già le parole stesse racchiudono un fascino particolare, evocato da un mix di passato archetipico e futuro (presente) tecnologico. Una scrittura, questo codice, di cui i componenti del gruppo hanno giustamente rilevato la componente estetica, una bellezza legata sia alla spietatezza della sua funzione che all’abilità dell’autore, una sorta di forma mentis non da tutti paragonabile all’abilità manuale degli artisti di una volta. Il worm “Love letter” e stato così per l’occasione decantato ad alta voce come un componimento da Franco Berardi, “Bifo”.
Altre performance si sono poi susseguite nel corso delle tre giornate, come quelle dell’americana Amy Alexander e dei suoi vari alter ego, insieme ad altre felici ma casuali improvvisazioni come quella di Domiziana Giordano, il cui intervento è stato tormentato da inconvenienti tecnici che l’hanno costretta ad una esposizione frammentata, affannata, per la quale l’artista si è profusa in scuse. Tutto questo ha però creato una involontaria aderenza estetica tra il suo lavoro in rete, basato sul linguaggio, e questa sua presentazione trasformata in ipertesto nella forma e nella sostanza, conclusa degnamente da uno degli ospiti presenti in sala che si è cimentato in una domanda in cui lui parlava ascoltando direttamente in cuffia la traduzione simultanea. Corto circuito di linguaggi insomma, come corto circuito di componenti estetiche diverse, che non vorremmo vedere sempre trattate separatamente, cristallizzate nella loro purezza e arroccate in una logica di élite, ma amalgamate assieme per creare nuove occasioni di senso.
A questo proposito ci è sembrata la più bella conclusione di questo festival una espressione felice di Jaromil, artista e programmatore italiano, e la riportiamo anche qui in chiusura come condensato di queste suggestioni estetiche elevate ad un più alto livello: “il software libero è amore”.
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