Nuovo Mercato (NM)/2. Know-how, questo sconosciuto
Qualche dubbio sul coefficiente tecnologico medio di NM. Ma siamo sicuri che la New Economy italiana esista realmente?
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“Quante delle compagnie europee quotate nei listini tecnologici vendono tecnologia avanzata di cui possiedono il know how e quante operano su mercati che possono definirsi di “commodities” cioè di beni e servizi che non hanno un contenuto particolarmente innovativo? I prospetti informativi dovrebbero mettere bene in chiaro questi aspetti. E andrebbero anche tenuti presenti per l’ammissione alla quotazione ad un listino che peraltro dovrebbe essere meglio qualificato come “tecnologico”, termine a sua volta che non manca di prestarsi a inganni”. (Il Foglio, 11/XI/’2000)
Già, listino tecnologico. Ma cos’avranno mai di tecnologico i biglietti da visita della Poligrafica San Faustino, quotata anch’essa al NM? E come mai una società come Prima Industrie di Collegno, operante nel settore degli automatismi industriali, è stata cortesemente messa alla porta dalla SEC in occasione del tentativo di sbarco al Nasdaq, ben precedente alla planata su NM?
Ciò che a noi appare è che la tanto decantata New Economy in Italia non esista affatto. O, quantomeno, vada drasticamente ridimensionata. Se negli Usa, infatti, è incominciata da anni una sorta di seconda rivoluzione industriale senza precedenti in cui le nuove tecnologie hanno consentito un cambiamento epocale del sistema economico che ha interessato prima l’industria e poi la finanza, con l’avanzamento esponenziale di settori strategici quali l’elettronica, la robotica, le biotecnologie, la farmaceutica, il software eccetera, in Italia siamo semplicemente rimasti abbagliati dal risvolto borsistico dell’esplosione della rete, senza che l’economia “analogica” si sia poi trasformata in “digitale”. Anche negli Stati Uniti, beninteso, si sono verificati i problemi che abbiamo già evidenziato in precedenza e l’indice Nasdaq ha da qualche tempo una certa fase di magra, ma non bisogna assolutamente scordare il fatto che la New Economy americana ha visto in passato ampie fasi di vacche grasse. Cosa che non si è mai vista nè in Italia nè tantomeno nel resto del continente. Più di qualcuno, poi, asserisce che il netto calo dell’indice tecnologico americano abbia in realtà provveduto a ripulire il listino dalle “bolle” speculative che riguardano sia i titoli buoni, saliti eccessivamente, sia quei titoli meno buoni che sono stati acquistati nell’euforia generale. Una sorta di pulizia, diciamo così, fisiologica, che smalizia gli investitori (e gli americani appaiono in verità piuttosto smaliziati a livello finanziario) e assesta il mercato.
Ma tornando a noi, la New Economy italiana sembra proprio essere “un’economia travestita” – come dice giustamente Enrico Cisnetto, giornalista economico e docente di Finanza alla Luiss – che ha visto una serie di “furbi” annunciare l’intenzione di aprire un risvolto internettiano nei loro business tradizionali al solo scopo di cavalcare l’onda. Ecco cosa aggiunge in merito il nostro: “Dei titoli che a Milano si fregiano del marchio Internet, quelli che sarebbero ammessi al Nasdaq si contano sulle dita di una mano. (…) E laddove ci sono posizioni di eccellenza, come nella telefonia mobile, si tratta di fenomeni esclusivamente di consumo: siamo il “paese dei telefonini”, ma Omnitel è diventata straniera, abbiamo un solo produttore di apparecchi cellulari di dimensioni relativamente modeste e quindi compriamo americano, svedese o tedesco, e tutte le tecnologie che si usano vengono da oltreconfine” (da Il gioco dell’opa, Ed. Sperling & Kupfer, 2000).
Certo, le eccezioni non mancano. Come non citare Tiscali, in corsa per diventare entro il 2001 il primo ISP in Europa? Sebbene nel 2000 l’azienda di Renato Soru abbia perso il 51 per cento, beccandosi la maglia nera di NM assieme alla pessima CDB Web Tech Investment di Carlone De Benedetti, lontana a sua volta oltre l’80 per cento dai suoi massimi d’anno, bisogna notare che nel settore di appartenenza Tiscali ha fatto risultati di gran lunga migliori rispetto a quelli di altri operatori ISP visto che Aol, leader negli USA, ha perso il 56 per cento, Yahoo!, primo in Europa e secondo in Usa, l’87 per cento e T-online, legata a Deutsche Telekom, il 67 per cento. In realtà l’apprezzamento di Tiscali è ancora molto elevato, perchè non solo l’azione guadagna il 200 per cento rispetto al prezzo di collocamento (ammesso e non concesso che ciò voglia dire qualcosa, per i motivi esposti in precedenza), ma sta perseguendo con efficacia il suo piano strategico. Fresca di acquisizione di Liberty Surf per 900 milioni di Euro, di cui solo 200 liquidi, l’azienda può vantare 4,9 milioni di clienti attivi, alle spalle di T-online che ne ha 7. Sebbene alcuni analisti internazionali abbiano bocciato l’operazione (Lehman Brothers, ad esempio), i giornalisti più attenti, fra i quali Hugo Dixon del WSJ, non hanno esitato ad accoglierla favorevolmente, pur considerando tutti i rischi del caso: in sostanza, la scarsa raccolta pubblicitaria online implica poca crescita con annesso rischio di chiudere o di essere comprata da qualche Telecom. Abbandonare la Freelosophy, vale a dire l’idea guida di accesso gratuito alla rete, o inventarsi qualcosa di nuovo?
E un altro colpo veramente prelibato, che guarda caso non riguarda direttamente NM pur trattandosi di New Economy (vera), è il successo di Pirelli e di Tronchetti Provera in particolare il quale, oltre ad aver ceduto magistralmente la Optical Technologies alla Corning per 3,6 miliardi di dollari con annessa maxi stock option, ha deciso di separare il ramo delle telecomunicazioni da quello di cavi e sistemi e di puntare il massimo sulla ricerca e l’innovazione. Tutte così le si vorrebbe, queste aziende della New Economy.
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