Il fenomeno net.art, che comprende esperienze artistiche molto diverse tra loro, viene comunemente definito per contrasto. Ci si riferisce alla capacità del medium Internet di comunicazione interattiva per distinguere la net.art da altre forme di “art on the web” in cui l’opera è fruibile anche off-line. Ma nel definire in cosa consiste l’interazione si precisa che net.art non è arte retinica: lo spettatore è in qualche modo attivo e determina lo svolgimento dell’opera.
Per David Ross (1), direttore del San Francisco MoMA, che per primo ha esposto on line una selezione di net.art all’interno del sito web del suo museo, la net.art realizza il sogno della video-art degli anni sessanta: una comunicazione diretta tra l’artista e il suo pubblico. Il medium internet come canale a basso costo per raggiungere immediatamente la vita quotidiana di una vasta platea.
Entropy8Zuper (http://entropy8zuper.org/) di Michael Samyn e Auriea Harvey, vincitore dello scorso SFMoMA Webby Prize (2), è innanzitutto una sperimentazione della moderna tecnologia interattiva Flash che fa da contorno ad una trasmissione in streaming una volta a settimana diretta dagli stessi autori.
Ma Internet non è uno strumento ma una sfera. La net.art, che dal SFMoMA ottiene il suo primo riconoscimento istituzionale, era nata nel network delle mailing-list dove, coloro che per primi l’avevano sperimentata, mediante reciproci riferimenti testuali e di link realizzavano una rete interconnessa.
Il riferimento storico per questa nuova definizione sembra essere più la mail art degli anni settanta che la video-art citata da Ross. Questa nuova interpretazione sottende un concetto diverso dell’esperienza di interazione in rete. La rete come modello orizzontale di produzione sociale di significato contrapposto al canale verticale di promozione artistica.
E’ il significato che il termine interattività assume a essere oggetto del percorso che qui si presenta. Interazione come comunicazione tra persone che usano il mezzo Internet, interazione nel sistema uomo-computer, interazione semiotica capace di creare situazioni.
Allo stesso tempo il percorso proposto individua diversi approcci alla net.art. Net.art come:
– Opera cooperativa determinata dall’apporto concreto del suo fruitore
– Ricerca sulla forma e sulla struttura sintattica dell’interfaccia
– ‘Fake’, contraffazione. Mentre nel caso precedente la sintassi della rete diviene oggetto di intervento artistico, adesso è la semantica
– Hacktivism o artivism
Open Studio (http://www.artcontext.com/draw) di Andy Deck si presenta come un editor grafico e in più permette il multi user. Nel caso in cui più utenti siano collegati al sito nello stesso momento essi potranno realizzare una collaborazione creativa dipingendo entrambi sulla stessa lavagna. Si realizza in questo caso una interazione visuale in cui lo schermo diviene una sottile barriera che, frapponendosi tra i due utenti, viene continuamente disegnata da entrambi i lati. Open Studio è lo spazio comunicativo di una relazione che da grafica potrà anche divenire verbale mediante la funzione di chat. Gli utenti potranno intraprendere una progettazione verbale, la realizzazione di un manifesto artistico o semplicemente scambiarsi due chiacchiere in tempo reale. Inoltre, le opere realizzate potranno essere salvate in un grande archivio consultabile dai futuri archeologi o da curiosi del presente. La funzione ‘slide-show’ permette di visualizzare i lavori archiviati mediante una sovrapposizione continua realizzando così un effetto ulteriore derivante dall’opera di tutti i fruitori dell’opera. In questo collage in continuo fluire in cui i segni grafici di una realizzazione scompaiono coperti da realizzazioni successive, sono le opere che entrano in comunicazione (e non più solo gli autori) in una proiezione che ristruttura di continuo la rappresentazione sullo schermo.
Andy Deck è l’artista che apre il suo studio a un pubblico non spettatore passivo ma ad un pubblico creativo. In questo studio non c’è un’opera da contemplare ma da realizzare e Andy Deck è colui che ha progettato e realizzato questo spazio creativo-comunicativo.
L’idea di opera d’arte come opera aperta è comune anche a Verbarium (http://www.fondation.cartier.fr/eng/galerie) di Christa Sommer e Laurent Mignonneau. Le frasi introdotte nel primo form vengono tradotte in schizzi colorati che in un secondo momento andranno ad accrescere e ricomporre l’immagine totale derivata da tutti i contributi passati. La sinestesia tra parola e immagine è di sicuro effetto.
Exquisite Corpse (http://www.repohistory.org/circulation/exquisite/ec_fr.html), di Sharon Denning e Ken Picara, “è lo studio della crescita di una storia , di come le storie sono costruite collettivamente da episodi individuali, un database di storie possibili, una mappa per raccontare e ri-raccontare, una rete di percorsi da un inizio a tanti possibili finali”. L’origine della storia è tratto da “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino. Ogni nuovo contributo può partire da uno qualsiasi di quelli precedenti creando così una struttura ad albero in cui ogni nodo può essere espanso. L’elegante struttura dell’interfaccia Flash permette questa proposta di scrittura-lettura non lineare che quest’anno ha ricevuto l’Award of Distinction al Prix Ars Electronica.
Anche Please Change Belief (http://adaweb.walkerart.org/project/holzer/cgi/pcb.cgi) di Jenny Holzer è un atto editoriale collaborativo più che un atto autonomo di creazione. Please Change Belief è un adattamento di ‘Truism’ che nel 1986 fu installato in Times Square. L’utente è chiamato a riflettere e a modificare un pregiudizio o luogo comune in modo che, persa la propria natura didattica, e cambiati in centinaia di alternative e revisioni, questi divengano commenti e opinioni personali. Il lavoro sostanzialmente fa riflettere sulla possibilità di rivoluzionare i luoghi comuni mediante il contributo di tutti.
Come ho notato precedentemente l’interattività di questi progetti è duplice: interagiscono le persone in uno spazio virtuale, interagiscono le opere prodotte da questi.
L’interazione avviene anche tra l’utente e il suo computer: l’interfaccia.
Si confronti Plese Change Belief con l’opera 404 (http://404.jodi.org) di Jodi. La struttura della pagina è molto simile: entrambi i siti presentano un modulo di invio e un database per registrare gli interventi. La risposta scritta nel form di Jodi, però, viene frammentata in una stringa incomprensibile. Mentre nel sito di Holzer l’utente era indipendente dal meccanismo tecnico , 404 compie un atto di censura sottraendo dal messaggio inviato le sue vocali. Così come avviene in alcune chat in cui il programma trasforma le parole giudicate offensive in stringhe incomprensibili.
In 404 di Jodi l’idea di interattività viene problematizzata. Le aspettative dell’utente non sono corrisposte dall’ interfaccia. Questa affermazione è ancora più evidente in altri lavori di Joan Heenskerk e Dirk Paesman in cui la destrutturazione dell’interfaccia web è ancora più radicale. Il lavoro di Jodi è composto da elementi strutturali, funzionali e stilistici combinati in un uso non immaginabile prima. Per esempio: viene usato un Javascript di test-scrolling per animare la pagina; si crea un flash di luce alternando rapidamente lo sfondo nero con quello bianco; i testi resi illeggibili vengono sovrapposti o viaggiano liberi per la pagina come nubi; gli elementi di interfaccia (menù, bottoni, form) ormai svuotati della loro funzione diventano elementi estetici. L’utente, non sapendo bene cosa fare, clicca casaccio per lo schermo che in alcune sue porzioni effettivamente contiene collegamenti ipertestuali.
A volte è l’intera schermata che vibra visibilmente scossa e sconvolta nella sua struttura sintattica. L’impressione più comune che suscita questo lavoro è che il computer non funzioni magari per un potente virus. I due autori consapevolmente non presentano una pagina introduttiva con informazioni che possono fornire aspettative all’utente. Essi vogliono ottenere questo straneamento nell’utente. L’opera di Jodi sembra essere la pura espressione della macchina. Dicono gli autori: “noi sentiamo che il lavoro diviene più forte se le persone non sanno chi c’è dietro di esso. Molte persone cercano di analizzare il nostro sito guardando nel codice sorgente ma a causa dell’anonimità di questo essi non possono giudicarci sulla base della nostra nazionalità. Infatti Jodi non è parte di una cultura in senso geografico. Molte URL contengono un codice di nazionalità. A noi non piace. Il nostro lavoro viene da dentro il computer” (3).
Per Josephine Bosma (4) gli autori di Jodi dimostrano di essersi riappropriati del loro potere sull’interfaccia web: il sito è inusuale per internet in cui ormai le home-page si creano seguendo un percorso guidato.
Com’è noto la pagina web visualizzata da un browser risulta dalla lettura del codice HTML. Shedder (http://www.potatoland.org/shredder), di Mark Napier, è un browser che compie un’interpretazione alternativa del codice sorgente. Le pagine saranno visualizzate come dei collage in cui gli elementi originari perdono la loro strutturazione convenzionale per mescolarsi e sovrapporsi. Shredder è un esempio di interfaccia non user-friendly in cui si perde la rappresentazione funzionale della pagina. Se l’intento di un buon web-designer è agevolare l’interazione uomo-computer presentando una ‘buona gestalt’, Shredder crea una pagina confusa che permette navigazioni non standardizzate. Questa idea originaria di Napier è stata successivamente sviluppata da altri autori che cercavano di dar vita a interfacce alternative. Si è parlato, in questi casi, di browser concettuali o meta-browser in cui si superava il formato di internet a finestra come mediazione tra l’utente e la rete (5).
I lavori di Jodi e Shredder interrompendo il normale flusso di informazioni consumato e contraddicendo le aspettative dell’utente essi rendono lo spettatore consapevole di un suo ruolo attivo nel processo di costruzione di senso sullo schermo del computer. Essi propongono una grammatica visiva alternativa svelano, così, le rigide convenzioni del linguaggio dell’interfaccia.
Per comprendere il significato di queste affermazioni dobbiamo riferirci al sistema uomo-computer.
Per Lev Manovich (6) la nascita della moderna industria dell’immagine (computer grafica, realtà virtuale, web-designer) deriva dagli studi sull’interazione uomo-macchina iniziata nella seconda guerra mondiale con l’uso del radar. In questo ambito la visione umana ha acquistato sempre più valore per creare una interfaccia più produttiva e efficiente possibile. Manovich crede in un ruolo antiproduttivo e anti utilitaristico dell’arte e definisce questi artisti come ironici creatori di interfacce inefficienti.
Secondo Alexei Shulgin (7) l’interattività del web è solo illusoria: si tratta di scegliere tra poche alternative quale possibilità svolgere prima. “Autori che creano arte interattiva illudono il pubblico di esserne co-autori dell’opera ma solo essi hanno un nome e una carriera , essi seducono le persone a clickare bottoni nel loro nome”. Il ruolo che questo autore riconosce alla net art è di superare la rappresentazione e la manipolazione interattiva per realizzare la comunicazione.
Shulgin è anche il creatore di Form (http://www.c3.hu/collection/form) in cui delle immagini sono elaborate usando solo gli elementi di interfaccia (bottoni,..) e trascurando immagini, colori e testi si ottengono delle grafiche minimaliste dove regna il bianco dello sfondo della pagina. Il riferimento più diretto di questo lavoro è all’ASCII art nata con il computer stesso in cui si creavano immagini utilizzando solo i caratteri ASCII.
Jodi, Shredder e Form sono progetti che lavorano sulla sintassi dell’interfaccia occupiamoci ora della sua semantica.
Irational.org (http://www.irational.org) si presenta come un sito istituzionale in cui si rinuncia alla veste grafica per l’importanza del contenuto. Al suo interno infatti la scelta è vasta e attenta alle mode del momento. Si può iniziare dal Biotech Hobbyist Magazine dalla tipica struttura di giornale on-line in cui tra le altre cose si propone la creazione di ‘SuperWeed’ una super-erbaccia geneticamente modificata resistente ai pesticidi e possa sterilizzare i prodotti della Monsanto. In Close Circuit TV-World Wide Wach l’utente di internet è chiamato a tenere d’occhio alcune web-cam dislocate in punti strategici ed avvertire la polizia locale se si compiono dei crimini compilando l’apposito modulo on-line. Art of Work inverte l’espressione di ‘lavoro aristico’ per ‘arte del lavoro’ affermando la risorsa umana rappresentata dagli artisti per il sistema del lavoro neo-liberista. Art of Work è una moderna agenzia di lavoro interinale che impiega gli artisti nel mondo dell’industria: compilando l’apposito modulo on-line si accede al database in cui artisti e compagnie pubblicano il loro profilo sancendo definitivamente il legame tra arte e commercio.
Questi sono solo alcuni dei ‘fake’e cioè delle beffe, delle contraffazioni creati in rete. Heat Bunting, il principale creatore di Irational.org, copia gli elementi propri di un particolare contesto comunicativo e li trasferisce nel suo lavoro. In questi siti sono offerti prodotti che non potrebbero mai esistere, sono promessi servizi che nessuno potrebbe richiedere e, soprattutto, si persegue la disinformazione o divulgazione di informazioni false per decostruire la contemporanea semantica della rete (8). Attraverso questi progetti le questioni sollevate sono circa la credibilità e lo scambio di informazioni in una società dominata dai media.
Technologies To The People di Daniel Garcia Andujar si presenta come il sito di una associazione no-profit con una innovative interfaccia a pulsanti dalle sembianze di un telecomando che però è difficile che funzioni. Per esempio Video Art on Demand è una collezione di lavori di video art proposti gratuitamente all’attenzione del pubblico. Ma ogni volta che si cerca di vedere un lavoro prima siamo costretti ad attendere il monitoraggio dei nostri dati tecnici e poi una serie di java ci avverte che purtroppo non disponiamo della tecnologia necessaria. Due sono le riflessioni su questo lavoro. E’ una critica agli standard del video streaming su internet che chiude l’accesso ai meno equipaggiati; e indica implicitamente la video art come pratica di una elite, ristretta a una piccola cerchia che possiede i mezzi.
L’11 maggio 1995 un anonimo ‘artivista’ italiano clona il sito di hell.com galleria privata di net.art americana protetta da password. L’intero sito viene liberamente esposto su 0100101110101101.org (http://www.0100101110101101.org) nome difficilmente memorizzabile con cui gli autori si presentano pubblicizzando il gesto. Dopo due ore hell.com minaccia di intraprendere vie legali per violazione del copyright. Tuttora il sito è ancora là e hell.com non ha potuto realizzare il progetto di pay-per-view che aveva in mente. Riguardo questa vicenda si è parlato di attacco alla commercializzazione della net art e al concetto di copyright. Gli autori rivendicano il carattere etico del gesto: Internet come ‘open source’. “Questa discussione sull’originalità non ha più senso in internet, Duchamp lo faceva con riproduzioni di opere d’arte, noi lo facciamo con i lavori veri e propri dato che in internet non c’è distinzione tra una originale e una copia. Tutti possono utilizzare i dati in internet” (9). Il 9 giugno 1999 è la volta di Art.Teleporcia galleria che vende net art on-line. Questa volta non si tratta di clonazione: le ‘Miniature del periodo eroico’ vengono manipolate e si ottengono gli ‘Ibridi del periodo eroico’. 0100101110101101.org teorizza un nuova forma di creatività che rivoluzioni il concetto di interattività della net art: “Non crediamo che clickare su un sito sia interazione. Stai semplicemente facendo quello che ci si aspetta che tu faccia. Non è l’opera d’arte ad essere interattiva è lo spettatore che può usarla in modo interattivo, interazione è quando usi qualcosa in modo non previsto dal suo autore” (10).
Questa proposta che elimina radicalmente l’opposizione artista-spettatore permette di creare un sistema in coevoluzione (11) in cui il processo artistico-comunicativo non si esaurisce linearmente ma permette uno sviluppo collettivo, collaborativo e processuale delle opere d’arte digitali.
NOTE
1) Transcription of Lecture by David Ross, San Jose State University, March 2, 1999. http://switch.sjsu.edu/web/ross.html [back]
2) http://www.sfmoma.org/info/webby_winner_announce.html [back]
3) In Tim Baumgartel: ‘we love your computer- interview with Jodi’. http://www.heise.de/tp/english/html [back]
4) J Bosma ‘Interview with Jodi’ 16/03/1997 http://www.nettime.org [back]
5) Per esempio Netomat di Maciej Wisniewski: http://www.netomat.net/ ; oppure I/O/D di Simon Pope e Matthew Fuller: http://backspace.org/iod [back]
6) Lev Manovich The labor of perception: electronic art in post-industrial society, ISEA 1994. http://www.ctheory.org [back]
7) Alexei Shulgin ‘Art, Power and Communication’ 7/10/96 – Nettime. http://www.nettime.org [back]
8) Un esempio eclatante è Fuck-yoy-fuck-me (http://www.fufme.com) in cui si vende un inverosimile drive da installare nel computer che riproduce gli attributi sessuali, ovviamente nella doppia versione m-f. Il lavoro dovrebbe essere di Shulgin che ne riporta un link nella sua homepage (http://wwweasylife.org). [back]
9) ‘Niente artisti, solo spettatori’ intervista di Tim Baumgaertel per Telepolis 9/12/1999; tradotta su NOEMA http://www.noemalab.com/selections/ideas/01org.html [back]
10) ib. [back]
11) ‘Cotrocopia: lifeware e coevoluzione mutuale: tracce per una riformulazione del concetto di arte interattiva’ di Tommaso Tozzi. http://strano.net/tozzi [back]
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