Introduzione L’accelerazione del progresso tecnologico rappresenta uno degli aspetti centrali di questo secolo. Il continuo e rapido sviluppo tecnologico ha reso più evidente il rapporto di stretto legame fra arte e scienza. Attraverso i numerosi punti d’incontro si può tentare di valutare se, le immagini scientifiche, possano acquisire un valore estetico. Ma nella realizzazione di immagini eseguite a fini scientifici interviene anche una volontà estetica? A tal riguardo è opportuno non dimenticare che il concetto di “opera d’arte”, o meglio il significato dell’arte in generale, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, è mutato radicalmente. L’arte contemporanea che utilizza questi strumenti si sta muovendo, attraverso la ricerca artistica, per far sì che da una parte l’arte possa parlare lo stesso linguaggio della scienza, e dall’altra che scompaia il diritto esclusivo alla rappresentazione artistica. In tutto ciò si colloca un nuovo ambito della ricerca, quello della vita artificiale, dove il computer diventa il campo d’indagine dell’evoluzione e lo strumento per manipolare informazioni. La vita artificiale è da intendere come una serie di invenzioni umane e non come pura simulazione di processi biologici sul computer, dove cioè si ha una combinazione del naturale col sintetico come nel caso dell’ingegneria genetica o dei trapianti di organi. Quel che conta, in questa tendenza della sperimentazione, è il progetto.
In generale e possibile affermare quindi che la tecnologia viene impiegata in funzione di uno scopo o di una esigenza da soddisfare e che le immagini tecnologiche sono il risultato combinatorio della capacità di generazione della grafica dei moderni computer e della sensibilità estetica dell’uomo.
Rappresentazione Gli scienziati scoprono i fatti, ma la scienza non è costituita solo da un’insieme di fatti, per quanto essi possano essere veri; la scienza si avvale di teorie e di ipotesi create appositamente per creare ed illustrare le relazioni fra i fatti verificati. Nella sperimentazione scientifica la rappresentazione fa comprendere l’esperienza empirica, la realtà viene cioè mostrata in modo tale che essa possa diventare intelligibile. Lo strumento, che meglio si presta a questa comprensione, è il modello interpretativo. Il modello costituisce una rappresentazione, nel senso che la presenta una seconda volta, per darne un’interpretazione. Questa struttura formale del modello è già di per sé stesso significante perché rende concretamente visibili alcune possibilità: la comprensione della realtà avviene sotto forma comparativa, o meglio, secondo lo schema analogico. Se il modello può mostrare la realtà nella sua intelligibilità è in quanto esso stesso ha un senso, indipendentemente dalla sua relazione ai dati empirici. La rappresentazione possiede quindi, sia il carattere astratto del concetto, che quello concreto del fenomeno. Per questa ragione la raffigurazione degli oggetti naturali, in linea di principio, non è diversa dalla rappresentazione simbolica dei concetti e il sapere scientifico fonda la conoscenza oggettiva sulla nozione di rappresentazione. (1) Arnheim, afferma che nella percezione della forma sta il germe della formazione dei concetti.
Ma analizzando più da vicino ciò che avviene nella scienza è possibile rilevare come l’esito di una qualsiasi esperienza si concretizza sempre in un risultato di “osservazione”. Tutta l’osservazione e sperimentazione scientifica si può ben dire che consiste nel rilevamento sistematico delle corrispondenze che esistono fra variabili. Quando vi è correlazione fra più variabili, viene compiuto ogni sforzo possibile per cercare di trovare una qualche legge capace di definire esattamente questi legami. In altre parole il ricercatore deve in ogni modo procedere alla verifica della sua teoria, la quali si configura come l’ipotesi di partenza, attraverso l’interpretazione dei dati. La rappresentazione visiva della distribuzione dei dati è particolarmente utile ed efficace per esprimere la relazione tra variabili. La dimostrazione di laboratorio o il grafico nel manuale non sono ipotesi scientifiche, ma sono illustrazioni di tali ipotesi.
Il pensiero estetico crociano mette in evidenza che: “L’immagine artistica è tale quando unisce un sensibile a un intelligibile, e rappresenta un’idea” (2). Ora “intelligibile” e “idea” non può significare altro che concetto.
Il premio Nobel per la medicina Jacques Monod scriveva: “Tutti gli uomini di scienza hanno dovuto, io credo, prendere coscienza del fatto che la loro riflessione, ad un livello profondo non è verbale: è un’esperienza immaginaria, simulata attraverso le forme, le forze, le interazioni che compongono a malapena un’immagine nel senso visivo del termine” (3). Lo stesso Einstein si lamentava della difficoltà che incontrava a tradurre in parole e in formule il suo pensiero scientifico il quale, fino ad uno stato avanzato del ragionamento, gli si presentava sotto forma di immagini.
Nell’arte la relazione tra l’idea iniziale dell’artista e la sua realizzazione è identica alla relazione tra l’ipotesi scientifica e l’esperienza che la confermerà o che l’invaliderà. Ma per comprendere meglio questa relazione è utile a questo punto analizzare i meccanismi di assimilazione e di adattamento che Piaget ha introdotto, grazie alle sue ricerche biologiche, per descrivere l’evoluzione dei concetti e delle teorie scientifiche. (4)
Questi meccanismi governano l’equilibrio di un organismo vivente con il proprio ambiente. Secondo Piaget l’organismo, assimilando gli stimoli esterni, li trasforma per farli propri e, se l’ambiente si modifica, l’organismo si modifica allo stesso modo, cioè si adatta all’ambiente per utilizzare i nuovi elementi. Egli utilizza gli stessi meccanismi per descrivere l’assimilazione di un’idea da parte dell’intelligenza e di un fenomeno da parte di una teoria. Vediamo infatti che nelle scienze vengono rispettati gli stessi presupposti per cui, quando l’esperienza conferma la teoria, si assiste ad una assimilazione di queste esperienze da parte della teoria; avviene invece un’evoluzione della teoria quando un fatto sperimentale è in disaccordo con la teoria stessa.
Anche nell’arte l’equilibrio tra l’idea e la sua realizzazione avviene grazie agli stessi meccanismi di assimilazione e di adattamento. Possiamo dire che si assiste ad una identificazione interiorizzata dell’oggetto da rappresentare. A questo riguardo sono utili le parole di Matisse: “Dopo essermi identificato ad esso, ho bisogno di creare un oggetto che assomigli all’albero, il segno dell’albero” (5). Si comprende in questo senso come l’uso di un nuovo materiale porta nell’artista una nuova ispirazione, e come l’uso di una nuova tecnologia possa influenzare l’arte.
In una tale prospettiva la rappresentazione assume una nuova dimensione. Alla luce di queste osservazioni si può affermare quindi che la comparsa delle nuove tecnologie, come ad esempio quelle di simulazione visiva e della realtà virtuale, hanno reso incerto il confine tra realtà e rappresentazione.
Il “bello” fra arte e scienza Fino a duecento anni fa, intrinsecamente bella viene generalmente considerata solo la natura e il bello e il brutto sono esclusivamente connessi alla dimensione sensibile. L’intrinseca relazione con il sensibile è rivendicata dall'”estetica” solo dalla metà del Settecento. Questa disciplina sancisce la relativa indipendenza dei suoi oggetti dagli ambienti della logica, della prassi e della morale.
Il rapporto della bellezza con la verità si allenta in età moderna, fino quasi a svanire. Il bello, nella varietà delle sue forme sensibili, diventa indeterminabile e inclassificabile, sospeso tra il significante e l’insignificante. Si tende cioè a rivendicare la sfera dell’apparire del bello nella sua piena indipendenza. Tutto ciò porta ad una moltiplicazione dei prodotti artistici e ad una inevitabile trasformazione del gusto per il bello. Si assiste inoltre ad una propagazione del bello nel quotidiano e sorgono opere dichiaratamente effimere, come nel caso di certe sculture fatte di sabbia esposta al vento. Più che come opera conclusa, il prodotto artistico, anche grazie all’impiego delle tecnologie, viene concepito come processo dinamico dove il fruitore è spesso chiamato a partecipare a un processo interattivo che fa acquisire all’opera quel senso che altrimenti le sarebbe negato.
Novalis, alla fine del Settecento, aveva intuito che il miracolo della matematica è la stessa cosa del miracolo della bellezza. (6)
Contrariamente allo stereotipo, alquanto diffuso, che la scienza abbia ucciso la bellezza, egli intendeva il lavoro del matematico, e più in generale il lavoro dello scienziato, come lavoro poetico.
A tal riguardo sono utili le parole di Jacques Hadamard che nel 1945 così scrive sulla psicologia dell’invenzione in campo matematico: “l’invenzione è scelta” e “questa scelta è governata dal senso della bellezza” . Scrive inoltre “il senso della bellezza” (7) agisce “come mezzo indispensabile alla scoperta” (8). Hadamerd insiste anche “sul punto di vista fondamentale per cui l’invenzione consiste in una scelta” (9) . Nella fase inventiva, per scegliere, occorre avere almeno due possibilità e per Hadamard il lavoro creativo del matematico consiste nel continuo intrecciarsi di rigore e intuizione, o meglio, di senso della bellezza e senso critico. Nello stesso testo si cita Mozart: “La mia mente afferra [l’intera composizione] così come fa uno sguardo con una splendida immagine o una bella ragazza”(10) .
Conclusioni Nietzche, in un fondamentale frammento (11), esplicita delle osservazioni relative alla tendenza comune ad ogni attività umana di creare immagini della realtà, alla tendenza di non accettare mai la realtà così come si presenta, insomma all’attitudine artistica dell’uomo a produrre forme per rendere sopportabile, se non addirittura godibile, la vita.
La potenza artistica umana non si pone quindi a un livello superiore rispetto al piano della realtà, ma è un’espressione di questa realtà.
Lo scienziato mostra la sua parentela con i filosofi e gli artisti, in un’altra osservazione di Nietzsche: “la natura, che non salta mai, fa il suo unico salto di gioia, perché per la prima volta si sente giunta allo scopo, là dove cioè essa comprende di dover disimparare ad avere dei fini e di aver giocato troppo alto il gioco della vita e del divenire. In questa conoscenza essa si trasfigura e sul suo volto posa una mite stanchezza crepuscolare, ciò che gli uomini chiamano bellezza”.(12)
In definitiva le grandi conquiste scientifiche e l’utilizzo dei “New Media” hanno concesso alle arti delle dimensioni precedentemente impensabili.
Tra arte e tecnologia è andata sempre più definendosi una sorta di complicità che ha consentito al linguaggio artistico di articolarsi in un ampia pluralità espressiva e ha qualificato in senso estetico numerosi procedimenti tecnici. Si è dunque delineata una sorta di interdisciplinarietà che ha reso estremamente labili i confini dell’operare artistico e ha accentuato la reversibilità dei ruoli idealmente diversi.
Una volta accertato che ogni produzione umana è frutto di una volontà di potenza volta a plasmare la vita e che, in tal senso, è artistica, è possibile concludere che non vi è nessuna possibilità di respingere alcuna forma a favore di altre.
Bibliografia
Pier Luigi Capucci, Arte & tecnologie, Bologna, Edizioni dell’ortica, 1996 ;
Pier Luigi Capucci, Realtà del virtuale, Bologna, CLUEB, 1993 ;
Stefano Zecchi (a cura di), Estetica 1995. Le arti e le scienze, Bologna, il Mulino, 1996 ;
Remo Bodei, Le forme del bello, Bologna, il Mulino, 1995 ;
Benedetto Croce, Breviario di estetica, Bari, Laterza, 1978
Ricerca in Internet : Leonard B.Meyer, Le scienze, le arti e gli studi umanistici ; Gabriele Perretta, Nuove incursioni nel Media Artifex ; Vernor Vinge, Singolarità tecnologica
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