Italiano [English below]
Nel recente passato, abbiamo assistito ad una crescita sempre maggiore di movimenti spontanei locali a sostegno della tutela dell’ambiente (che, grazie alla diffusione delle nuove tecnologie e dei social network, ha coniato concetti nuovi quali res telematica, net-attivismo e IoT-Internet of Things) sorti in seguito ai danni causati dai grandi disastri che hanno avuto un impatto devastante e durevole nel tempo, sia sul territorio che sull’umanità stessa. Tra questi, ricordiamo i recenti incendi dolosi che hanno coinvolto intere regioni della Siberia, dell’Africa e della foresta amazzonica. Questi gravissimi episodi oggi vengono considerati veri e propri crimini contro l’umanità.
Va inoltre conservata la memoria di alcuni disastri industriali colposi, come lo scoppio della centrale di Chernobyl, il disastro di Bhopal, Fukushima, Seveso ed altri. Due esempi eclatanti del problema ambientale legato ad attività industriali malsane, sono il polo industriale di Marghera e l’Ilva di Taranto.
A seguito dell’impatto negativo sull’immaginario collettivo provocato da tali catastrofi, è nato il concetto di diritto all’ambiente salubre, oggi finalmente annoverato fra i diritti umani fondamentali, anche perché attualmente il problema ambientale viene considerato di interesse globale, poiché i disastri citati hanno un impatto negativo non soltanto nella zona interessata, ma anche a distanza di migliaia di chilometri e possono protrarsi per lunghi periodi di tempo, condizionando irreversibilmente tutto l’equilibrio naturale terrestre.
Già dagli anni Settanta, molti riconoscevano la fonte dei guasti ambientali nelle attività economiche produttive e nelle stesse regole dell’economia capitalistica, tanto che si ironizzava sul valore del PIL come indicatore della produzione di rifiuti e di inquinamento [1]. Al contempo, anche gli studiosi di ecologia confermavano ampiamente tale connessione [2].
Gli anni Ottanta videro l’arrivo di un nuovo sviluppo economico, che solleticava la gola sia ai Paesi sviluppati che ai Paesi in via di sviluppo e le istanze ecologiche passarono automaticamente in secondo piano. Gli anni dal 1974 al 1980 furono contrassegnati dalle crisi petrolifere, che contribuirono (assieme alle grandi catastrofi ecologiche e ai danni causati dalla sperimentazione atomica) a rinverdire ed accrescere i contenuti dei vari movimenti ecologisti.
Il diritto all’ambiente salubre, visto implicitamente come indiretto diritto dell’uomo alla propria salute, deve essere recepito dalle Costituzioni nazionali come valore fondamentale: l’Italia inserì la tutela di tale diritto con la Riforma costituzionale del 2001, poiché, in generale, gli interessi ambientali vanno correlati e letti congiuntamente ad altri interessi individuali, tra i quali il più importante è certamente il diritto alla salute.
A livello europeo, nel 2002, furono pubblicati un Libro Bianco sulla buona governance ed un Libro Verde sulla Responsabilità Sociale di Impresa (SRI) che andarono a rafforzare e definire ulteriormente la politica europea a venire.
Il fenomeno della Corporate Social Responsibility (o CSR) è, per ora, soltanto di una pratica volontaria, una sorta di autolimitazione e autoresponsabilizzazione delle aziende produttive: la CSR nasce sulla base di approfondite analisi delle pratiche di routine di governance aziendale, calcoli sul risk assessment e sul risk management.
La Responsabilità da Contratto Sociale (o RSI, versione italiana dell’acronimo anglosassone CSR) è una forma di autoregolamentazione nata intorno al 1950 nell’ambito privatistico/societario: tali procedure adottate soltanto da alcune aziende riguardano occupano principalmente la regolamentazione delle condizioni del lavoratore all’interno dell’azienda e il rapporto dell’azienda nei confronti dei terzi (ad esempio, nel rapporto tra danneggiante e danneggiato in caso di danno ambientale, ove non sussista un rapporto obbligatorio, ma nemmeno di estraneità).
L’etica ambientale delle imprese si deve quindi misurare anche con queste argomentazioni giuridiche, mantenendo comunque un’alta efficienza economica.

Immagine tratta da TheBEStrend (https://www.thebestrend.it)
Uno dei compiti della CSR è quello di individuare i modi per “comunicare sostenibilità” in modo dinamico agli altri stakeholders coinvolti, ai fini della prevenzione e dello scambio di informazioni. Altri obiettivi della CSR sono quelli di creare partnership in modo interattivo, migliorare la qualità dell’ambiente lavorativo per i dipendenti nel rispetto dei diritti umani fondamentali, anche attraverso la collaborazione e la compartecipazione degli stessi. Inoltre, lo studio della CSR concorre alla valutazione di assicurazioni e altre coperture finanziarie appropriate in caso di danno ambientale. Diventa ormai centrale il tasso di sensibilità etica che le aziende produttive mostrano nell’attuazione concreta delle pratiche di CSR.
In un più ampio respiro, le pratiche di CSR potrebbero essere applicate beneficamente anche ad altri settori della vita sociale.
Il Libro Verde del 2002 conteneva le linee-guida per le imprese, in modo che queste potessero collaborare nel perseguimento degli obiettivi delineati dalla Strategia di Lisbona. In particolare [3], inserì il concetto di CSR, definendola come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”. La CSR fu individuata come la strada migliore per rendere la Comunità europea sempre più competitiva in modo sostenibile e socialmente integrata, contribuendo così al rafforzamento ed alla modernizzazione del modello sociale europeo: le pratiche di CSR non si limitano ad un mero esercizio di pubbliche relazioni, ma al contrario inducono le imprese a riorganizzare le proprie attività in modo da garantire una gestione socialmente responsabile dei rischi ed una maggiore competitività, soprattutto grazie allo sviluppo del dialogo sociale.
Le buone pratiche di CSR indicate dal Libro Verde, non erano che il riflesso del più ampio quadro globale iniziato con il Global Compact ONU del 2000, la Dichiarazione tripartita dell’OIL ed i Principi direttivi dell’OCSE destinati alle imprese multinazionali, nell’ambito della politica sociale internazionale iniziata nel 1997.
La gestione dei problemi sociali e ambientali da parte di un’impresa rappresenta pertanto una componente rilevante del governo societario: essa è chiamata a considerare un numero crescente di interlocutori, nei confronti dei quali deve essere in grado di svolgere azioni concrete e trasparenti. Oltre agli shareholder (gli azionisti dell’impresa), vi sono gli altri portatori d’interesse (stakeholder), fra cui dipendenti, fornitori, clienti, partner, istituzioni pubbliche e ONG.
Le indagini attuali hanno evidenziato come il maggiore ostacolo alla diffusione della CSR sia la mancanza di consapevolezza dei benefici che essa apporta alle aziende, e ciò riguarda specialmente le PMI (piccole e medie imprese).
Come tutte le informazioni relative al mercato, anche le pratiche di CSR vanno ad incidere sul rapporto con i singoli consumatori e gli investitori: se questi sono informati sulle attività dell’azienda, quest’ultima può decisamente migliorare la propria credibilità.
La CSR contribuisce al miglioramento della gestione dei rischi sociali e ambientali, impattando direttamente sulla qualità totale dell’impresa che la adotta.
La trasparenza in merito ai risultati di un approccio socialmente responsabile è assolutamente centrale nel dibattito sulla CSR, poiché consente alle parti sociali di valutare quanto l’impresa corrisponda effettivamente alle loro aspettative.
Il Libro Verde individua il duplice campo di applicazione della CSR, che è interno o esterno: internamente, le imprese devono dimostrare ai consumatori che non solo fabbricano dei prodotti sicuri e creati secondo criteri socialmente responsabili, ma anche che tali pratiche sono applicate nella gestione delle risorse umane nel rispetto della salute e della sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro, con maggiori investimenti nel capitale umano.
L’azione esterna dell’impresa riguarda invece l’adozione di prassi ecologiche responsabili nei confronti della comunità, dei partner commerciali nel rispetto dell’ambiente e dei diritti dell’uomo. Tali pratiche riguardano soprattutto la riduzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti e dei rifiuti, comportando una diminuzione delle ripercussioni sull’ambiente. Tali strategie possono recare vantaggi all’impresa, che può così ridurre le spese di eliminazione dei rifiuti ed abbassare i costi complessivi delle materie prime impiegate.
Le pratiche di CSR, per essere credibili ed efficaci, richiedono parametri comuni di valutazione, quali ad esempio la creazione di premi e codici di condotta uniformi. La crescente importanza della CSR a livello di mercato e di politiche pubbliche solleva un problema importante: il riconoscimento giuridico degli indici di riferimento della CSR nel contesto del mercato comune. Per questo motivo, la Commissione europea ha istituito un forum multilaterale per facilitare lo scambio di esperienze, per promuovere periodicamente analisi sulle buone prassi adottate dalle varie realtà imprenditoriali. Il forum riunisce imprese, sindacati e società civile.
Gli studi di business ethics hanno contribuito alla nascita di due distinte visioni della CSR: la visione strategica, legata ai vantaggi economici e reputazionali dipendenti dal perseguimento di finalità sociali da parte dell’impresa, e la visione etica, che ravvede una sorta di dovere d’impresa ad agire correttamente senza danneggiare nulla e nessuno, anche se ciò non risulti necessariamente vantaggioso.
Numerose multinazionali redigono ormai relazioni sulla responsabilità sociale. Tali rapporti sono tanto diversificati quanto gli approcci delle aziende che li stilano.
In materia di codici comuni che traccino il tipo di informazioni da rivelare, si ritiene importante l’indice di affidabilità delle procedure di valutazione e gli audit. Il governo danese ha proposto un indice sociale (strumento di autovalutazione) che consente di determinare in che misura un’impresa assume le proprie responsabilità sociali. Con tale indice, espresso in cifre che vanno da 0 a 100, è facile indicare ai dipendenti e agli interlocutori esterni qual è il livello di responsabilità sociale dell’impresa stessa.
La CSR sta inoltre diventando oggetto di interesse per le autorità pubbliche, le quali tendono sempre più ad inserire tali criteri nella regolamentazione del mercato, nella selezione di concessioni, di sovvenzioni, di incentivi fiscali e di appalti pubblici. Infatti, uno degli strumenti privilegiati dalla CSR è il bilancio sociale come pratica volontaria.
In un contesto più ampio, la CSR può essere estesa anche ad altri settori delle politiche europee, soprattutto in ambito occupazionale, commerciale e sociale: nel 2005, la Commissione europea si è impegnata ad applicare i principi di CSR in tutte le proprie politiche.
In Italia, è il Ministero del Lavoro che si preoccupa di promuovere le pratiche di CSR e monitorarne i progressi.
Del Libro Bianco sulla buona governance ricordiamo i 5 principi politici fondamentali ai quali l’Unione si sarebbe ispirata in futuro per migliorare il proprio funzionamento: l’apertura delle istituzioni nei confronti dei cittadini, tramite un linguaggio accessibile, al fine di guadagnarne la fiducia e rendere i processi decisionali trasparenti e partecipati; la chiarezza in materia di responsabilità, ove ogni istituzione ed ogni Stato membro devono esprimere chiaramente il proprio ruolo, i propri obiettivi e le proprie funzioni; le politiche europee devono inoltre essere tempestive, efficaci, e coerenti per produrre i risultati necessari.
L’allargamento dell’Unione accentuava le differenze e le sfide: le decisioni politiche andavano ripartite fra istituzioni centrali ed enti locali secondo i principi di proporzionalità e sussidiarietà; la scelta del livello al quale intervenire e degli strumenti da utilizzare deve essere valutata in relazione agli obiettivi perseguiti, poi seguita da una verifica sistematica dei criteri di necessità e proporzionalità.
Nel Libro Verde del 2001 sulla Responsabilità Sociale vediamo l’abolizione del modello lineare, dove le politiche sono adottate ed imposte dall’alto; al contrario, viene suggerito un circolo virtuoso basato sui feedback che favorisca una partecipazione a tutti i livelli, dalla definizione delle politiche fino alla loro attuazione.
Il perfezionamento dei mercati è attuabile soltanto tramite una partecipazione sempre più ampia, grazie ad una sensibilizzazione ed un coinvolgimento di tutti gli attori sociali.
Il settore della CSR ha consentito la nascita di alcuni concetti, ora ampiamente applicati, in seno alle realtà imprenditoriali e pubbliche.
Fra questi, è bene conoscere il significato di risk assessment, le cui tre fasi principali costituiscono un ideale processo condivisibile unanimemente: l’identificazione dei rischi, l’analisi dei rischi e la valutazione dei rischi.
Un esempio molto valido di risk assessment è reperibile nel progetto MiSRaR (Mitigazione dei Rischi Ambientali nelle Regioni e Città Europee, Mitigating Spatial Relevant Risks in European Regions and Towns) [4], di cui fanno parte 7 partner appartenenti a sei Paesi dell’Unione europea [5], che condividono esperienze in materia di gestione dei rischi. La valutazione preliminare dei rischi deve essere inclusa nei piani di sviluppo e pianificazione. L’insieme delle misure di gestione dei rischi e delle emergenze viene spesso indicato come sicurezza multistrato. Tale concetto si basa sul principio che esistono diversi livelli di sicurezza riferiti a un rischio.
Lo studio del progetto MiSRaR ha portato all’elencazione di una serie di rischi che dovrebbero essere normalmente considerati nei processi di risk assessement:
1. disastri naturali (esondazioni, terremoti, frane, incendi boschivi, eruzioni vulcaniche, condizioni climatiche eccezionali);
2. rischi tecnologici (incidenti derivanti da produzione, uso, stoccaggio e trasporto di sostanze pericolose infiammabili, esplosive, tossiche), incidenti nucleari/radiologici, interruzione di reti di pubblica utilità (gas, elettricità, acqua potabile, trattamento acque reflue), interruzione di reti informatiche e di telecomunicazione;
3. rischi legati al trasporto (incidenti aerei, nautici, ferroviari e stradali);
4. salute pubblica (epidemie, rischi da esposizioni a lungo termine);
5. rischi sociali (sommosse civili, manifestazioni di panico collettivo).
È necessario inoltre considerare i rischi dovuti ad attacchi terroristici e sabotaggi, che richiedono un diverso approccio rispetto a quello indicato in precedenza.
L’identificazione dei rischi dovrebbe includere anche gli sviluppi futuri prevedibili (cambiamenti climatici, nuovi sviluppi del sistema territoriale, evoluzione tecnologica). Ad esempio, il cambiamento climatico esercita un notevole impatto su rischi e le nuove tecnologie network possono favorire il diffondersi di situazioni di panico collettivo o sommosse sociali.
L’ideazione di una mappa dei rischi è una fase necessaria verso la sensibilizzazione degli utenti e va diffusa tramite un’efficace strategia di comunicazione, comprensibile e dotata di suggerimenti concreti in caso di calamità naturali.
Poiché certe informazioni sui rischi potrebbero essere usate in modo improprio per pianificare attacchi terroristici o sabotaggi, alcuni paesi hanno di non rendere accessibile al pubblico tutte le mappe dei rischi.
La seconda fase del risk assessment è l’analisi dei rischi. Questa fase può essere definita come “il processo per determinare la natura e la relativa portata dei rischi”. Scopo di tale fase è dare priorità a quei rischi che richiedono maggior attenzione politica. La terza ed ultima fase del risk assessment è la valutazione dei rischi. In questa ultima fase vengono presentate ai decisori politici le conclusioni tratte dall’analisi dei rischi, con l’obiettivo di raggiungere un livello di sicurezza accettabile sia a livello politico che sociale.
Altri concetti necessari alla comprensione del tema, sono quelli di corporate governance, knowledge management e compliance normativa.
La corporate governance si riferisce all’insieme di regole (leggi, regolamenti etc.) che disciplinano la gestione e la direzione di una società o di un ente pubblico o privato, ovvero il complesso di principi, meccanismi, regole e relazioni di conduzione di un’impresa, e che hanno come obiettivo la massimizzazione della produttività. È la procedura attraverso la quale si sviluppano le decisioni aziendali e si identificano le modalità e gli strumenti finalizzati alla mission aziendale.
La corporate governance include tutte le relazioni che intervengono tra la direzione aziendale, il consiglio di amministrazione e gli azionisti, definendo gli obiettivi, la struttura del management, le regole e i processi atti a monitorare il raggiungimento degli obiettivi stessi.
Attualmente, la governance del settore pubblico è in fase di profonda trasformazione volta a semplificare la burocrazia, in particolare per ciò che concerne l’amministrazione digitale, la fatturazione elettronica e la gestione e la conservazione dei flussi documentali informatici.
Il knowledge management è una disciplina nata nei primi anni Novanta dall’incontro di altre scienze, quali l’organizzazione aziendale, la sociologia, la psicologia, l’archivistica e l’informatica.
Il knowledge management aziendale raccoglie tutte le informazioni concernenti lo sviluppo di un prodotto complesso ed altamente tecnologico, che comporta la generazione di informazioni descrittive, progettuali ed organizzative (la logistica, la rete commerciale, l’assistenza postvendita, le indagini di mercato, i vincoli legislativi, la sperimentazione del prodotto e la documentazione interna). Tutte queste informazioni concorrono a formare la conoscenza aziendale, che è lo strumento più importante per migliorare l’efficienza delle diverse procedure.
Il knowledge management si avvale generalmente di strumenti informatici, con gli obiettivi di migliorare la performance, acquisire o mantenere un vantaggio competitivo e agevolare l’innovazione aziendale. Un elemento caratteristico di tale disciplina è proprio la gestione della conoscenza come cespite strategico.
Per compliance normativa si intende la conformità a norme, regole e standard ed è obbligatoria per banche ed intermediatori finanziari (secondo le indicazioni fornite da Banca d’Italia, CONSOB e ISVAP), ma volontaria per tutti gli altri tipi di enti privati e pubblici. In particolare, le banche e gli intermediatori finanziari sono tenuti a verificare la regolamentazione interna con la legislazione vigente per non incorrere in sanzioni, perdite finanziarie o danni di reputazione.
La compliance aziendale prevede piuttosto il rispetto dell’etica deontologica del settore merceologico di appartenenza, con riguardo anche agli aspetti prettamente ambientalistici.
Note
1) Cfr. Nebbia, Piccioni (a cura di), “Breve storia della contestazione ecologica”, Quaderni di Storia ecologica, n. 4, Milano, 1994. [back]
2) Cfr. Smith T. M., Smith R. L., Elementi di ecologia, Milano, 2009. [back]
3) I libri verdi provengono dalla Commissione europea per stimolare una riflessione su un argomento specifico ed esprimono un invito a partecipare al processo di consultazione da parte dei singoli e dei gruppi. Talvolta, i libri verdi danno origine a sviluppi legislativi che vengono poi presentati nei libri bianchi, documenti della Commissione europea contenenti proposte di azione concrete in un determinato settore. Questi ultimi servono a consolidare il consenso politico. Fra i libri bianchi più recenti, troviamo il Libro Bianco del 2017 sul futuro dell’Europa Riflessioni e scenari per l’UE verso il 2025. [back]
4) MISRAR, Risk assessment: esperienze dall’Unione Europea, Dordrecht, 2012. [back]
5) Paesi Bassi, Estonia, Bulgaria, Grecia, Portogallo e Italia, con la Provincia di Forlì-Cesena. [back]

Vista aerea della foresta pluviale amazzonica, vicino a Manaus, la capitale dello stato brasiliano di Amazonas / Neil Palmer (CIAT), Aerial view of the Amazon Rainforest, near Manaus, the capital of the Brazilian state of Amazonas
In the recent past, we have witnessed an increasing growth of local spontaneous movements in support of the environmental protection (some new concepts have been coined, thanks to the social networks, e. g. res telematics, net-activism and IoT-Internet of Things) that have arisen especially as a result of the damage caused by major disasters that devastated both the territory and humanity itself. Among these, we remember the wildfires that recently involved entire regions of Siberia, Africa and the Amazon forest. These episodes are now considered real crimes against humanity.
Moreover, the memory of some culpable industrial disasters must be preserved, such as Chernobyl, Bhopal, Fukushima, Seveso and others. Two striking examples of the environmental problem linked to unhealthy industrial activities are the industrial pole of Marghera and the Ilva of Taranto.
In conjunction with the negative impact on the collective imagination following the environmental disasters just mentioned, the concept of the right to a healthy environment was born, finally included among the fundamental human rights.
Contemporary environmental problems are increasingly considered to be of global interest, as the negative consequences often not only affect the surrounding areas, but also have an impact even thousands of kilometres away and can last for long periods of time, irreversibly affecting the Earth’s natural balance.
Since the 1970s, many recognised the source of environmental failures in productive economic activities and in the rules of the capitalist economy itself: someone ironized about the value of GDP as an indicator of waste production and pollution [1]. Scholars of ecology also largely confirmed this connection [2].
The 1980s saw the entry of a new economic boom, which tickled the throats of both developed and developing countries, and ecological demands automatically took second place.
The years from 1974 to 1980 were marked by oil crises, which contributed (together with major ecological catastrophes just mentioned and with the atomic experimentation) to revitalize the various ecological movements.
The right to a healthy environment, implicitly seen as an indirect human right to one’s own health, must be transposed into national Constitutions as a fundamental value: Italy included the protection of this right with the 2001 Constitutional Reform, since, in general, environmental interests must be correlated and read together with other individual interests, among which the most important is certainly the right to health.
At the European level, a White Paper on good governance and a Green Paper on Corporate Social Responsibility (CSR) were published in 2002, which further strengthened and defined future European policy.
The phenomenon of CSR is, for the moment, only a voluntary practice, a sort of self-limitation and self-responsibility of production companies: CSR is born on the basis of in-depth analysis of routine corporate governance practices, risk assessment and risk management calculations.
CSR is a form of self-regulation born around 1950 in the private/corporate sector: these procedures adopted only by some companies concern mainly the regulation of the conditions of the worker within the company and the company’s relationship with third parties (for example, in the relationship between the injured party and the damaged party in the case of environmental damage, where there is no mandatory relationship, but not even extraneousness).
The environmental ethics of companies must therefore also be measured by these legal arguments, while maintaining high economic efficiency.
One of the tasks of CSR is to identify ways to “communicate sustainability” in a dynamic way to other stakeholders involved, for prevention and exchange of information. Other goals of CSR are to create partnerships in an interactive way, to improve the quality of the working environment for employees while respecting fundamental human rights, also through collaboration and partnership. In addition, the CSR study contributes to the evaluation of insurance and other appropriate financial coverages in case of environmental damage. The rate of ethical sensitivity that companies show in the concrete implementation of CSR practices now becomes central. On a broader scale, CSR practices could also be applied beneficially to other areas of social life.
The 2002 Green Paper contains guidelines for enterprises so that they can work together in pursuit of the tasks of the Lisbon Strategy. In particular [3], it includes the concept of CSR as “the voluntary integration of companies’ social and environmental concerns into their business operations and relations with stakeholders”.
CSR was identified as the best way to make the European Community increasingly competitive in a sustainable and socially integrated way, thus contributing to the strengthening and modernisation of the European social model: CSR practices are not limited to a mere public relations exercise, but on the contrary lead companies to reorganise their activities in order to ensure socially responsible risk management and increased competitiveness, in particular through the development of social dialogue.
The good CSR practices set out in the Green Paper were a reflection of the broader global framework
initiated by the 2000 UN Global Compact, the ILO Tripartite Declaration and the OECD Guiding Principles for Multinational Enterprises, in the context of international social policy born in 1997.
The management of social and environmental problems by a company is therefore an important component of corporate governance: the company needs to consider an increasing number of interlocutors, towards whom it should take concrete and transparent action. In addition to the company’s shareholders, there are other stakeholders, including employees, suppliers, customers, partners, public institutions and NGOs.
Current surveys have shown that the greatest obstacle to the dissemination of CSR is the lack of awareness of the benefits it brings to companies, and this particularly concerns SMEs (small and medium-sized enterprises).
Like all market information, CSR practices have an impact on the relationship with individual consumers and investors: if they are informed about the company’s activities, the company can significantly improve its reputation.
CSR contributes to the improvement of social and environmental risk management, directly impacting on the total quality of the company.
Transparency about the results of a socially responsible approach is basical to the debate on CSR, as it enables the social partners to assess how well the company actually meets their expectations.
The Green Paper identifies the dual scope of CSR, which is internal or external: internally, companies must demonstrate to consumers that they not only manufacture safe and socially responsible products, but also that these practices are applied in the management of human resources while respecting the health and safety of workers at work, with greater investment in human capital.
The company’s external action, on the other hand, concerns the adoption of environmentally responsible practices towards the community, its trading partners in respect of the environment and human rights. These practices are mainly concerned with reducing the consumption of resources or polluting emissions and waste, thereby reducing the impact on the environment. Such strategies can benefit the company, which can thus reduce waste disposal costs and lower the overall costs of raw materials used.
CSR practices, to be credible and effective, require common assessment parameters, such as the creation of uniform parameters and codes of conduct. The growing importance of CSR at market and
public policy level raises an important issue: the legal recognition of CSR benchmarks in the context
of the common market. For this reason, the European Commission set up a multi-stakeholder forum to facilitate the exchange of experience, to promote regular analyses of good practices adopted by different business realities. The Forum brings together business, trade unions and civil society.
Business ethics studies contributed to the rise of two distinct visions of CSR: the strategic vision, linked to the economic and reputational benefits dependent on the pursuit of the companies’ social goals, and the ethical vision, which recognizes a sort of corporate duty to act correctly without damaging anything or anyone, even if this is not necessarily beneficial.
Many multinationals now produce reports on social responsibility. These reports are as different as the approaches of the companies that write them.
With regard to common codes that outline the type of information to be disclosed, the reliability index for evaluation procedures and audits is considered important. The Danish Government proposes a social index (self-assessment tool) which makes it possible to determine the extent to which a company assumes its social responsibilities. With this index, expressed in figures ranging from 0 to 100, it is easy to indicate to employees and external stakeholders what is the level of social responsibility of the company itself.
CSR is also becoming an area of interest for public authorities, which increasingly tend to include such criteria in market regulation, the selection of concessions, subsidies, tax incentives and public procurement. Indeed, one of the favourite instruments of CSR is the social budget as a voluntary practice.
In a broader context, CSR can also be extended to other areas, especially employment, trade and social policies: in 2005, the European Commission committed itself to applying CSR principles in all its policies.
In Italy, the Ministry of Labour promotes CSR practices and monitors their progress. In the White Paper on good governance, we recall the 5 fundamental political principles which the Union would use in the future to improve its functioning: the openness of the institutions to citizens, through accessible language, in order to gain their trust and make decision-making processes transparent and participatory; clarity on accountability, where each institution and each Member State must clearly express its role, tasks and functions; European policies must also be timely effective and consistent to produce the necessary results.
Enlargement of the Union accentuated the differences and challenges: political decisions had to be shared between central institutions and local authorities in accordance with the principles of proportionality and subsidiarity; the choice of the level of intervention and the instruments chosen must be assessed according to the aims pursued, followed by a systematic review of the criteria of necessity and proportionality.
In the 2001 Green Paper on Social Responsibility we see the abolition of the linear model, where policies are adopted and imposed from above; on the contrary, a feedback-based virtuous circle is suggested to encourage participation at all levels, from the definition of policies to their implementation: the improvement of the markets can only be achieved through increasing participation by raising awareness and involving all social actors.
The CSR sector gave birth to some other concepts, now widely applied within the business and public sector. Among these, it is good to know the meaning of risk assessment, whose three main phases constitute an ideal process that can be unanimously shared: risk identification, risk analysis and risk assessment.
A good example of risk assessment can be found in the MiSRaR project [4] (Mitigation of Environmental Risks in European Regions and Towns, Mitigating Spatial Relevant Risks in European Regions and Towns), which includes 7 partners from six EU countries [5] sharing experiences in risk management. The preliminary risk assessment must be included in the development and planning work. The set of risk and emergency management measures is often referred to as multi-layer security. This concept is based on the principle that there are different levels of safety related to a risk.
The MiSRaR project lists some risks that should normally be considered in risk assessment processes:
1. natural disasters (floods, earthquakes, landslides, forest fires, volcanic eruptions, exceptional climatic conditions);
2. technological risks (accidents arising from the production, use, storage and transport of flammable,
explosive, toxic dangerous substances), nuclear/radiological accidents, disruption of public utility networks (gas, electricity, waste water treatments), disruption of computer and telecommunications networks;
3. transport risks (air, water, rail and road accidents);
4. public health (epidemics, risks from long-term exposure);
5. social risks (civil unrest, collective panic).
It is also necessary to consider the risks due to terrorist attacks and sabotage, which require a different approach.
The identification of risks should also include foreseeable future changes (climate change, new assets in the territorial system, technological evolution). For example, climate change has a significant impact on risks, and new network technologies can facilitate the spread of collective panic or social unrest.
The creation of a risk map is a necessary step towards raising users’ awareness and should be spread through an effective communication strategy, comprehensible and with concrete suggestions in case of natural disasters.
As certain risk information could be misused to plan terrorist attacks or sabotage, some countries have to make not all risk maps available to the public.
The second phase of risk assessment is risk analysis. This phase can be defined as “the process of determining the nature and extent of the risks”. The aim of this phase is to give priority to those risks that require more political attention. The third and final stage of risk assessment is risk assessment. In this last phase, the conclusions drawn from the risk analysis are presented to the governements, with the aim of achieving a level of security that is acceptable both politically and socially.
Other concepts necessary to understand the subject are those of corporate governance, knowledge management and regulatory compliance.
Corporate governance refers to the set of rules (laws, regulations, etc.) that govern the management and direction of a company or a public or private entity, i.e. the set of principles, mechanisms, rules and relations for the management to maximise productivity. It is the procedure through which business decisions are developed and the methods and tools to identify the company mission.
Corporate governance includes all relations between the company’s management and shareholders, defining the goals, the management structure, the rules and the processes for monitoring the achievement of these goals.
At the present time, public sector governance is undergoing a major transformation aimed at simplifying bureaucracy, in particular regard to digital administration, e-invoicing and the management and preservation of IT document flows.
Knowledge management is a discipline born in the early nineties from the meeting of other sciences, such as business organization, sociology, psychology, archiving and information technology. The company’s knowledge management collects all the information concerning the development of a complex and highly technological product, which involves the generation of descriptive, design and organizational information (logistics, sales network, after-sales service, market surveys, legislative constraints, product testing and internal documentation). All this information contributes to forming company knowledge, which is the most important tool to improve the efficiency of the various procedures. Knowledge management generally uses IT tools, with the aim of improving performance, acquiring or maintaining a competitive advantage and facilitating business innovation. A characteristic element of this discipline is precisely the management of knowledge as a strategic asset.
Regulatory compliance means compliance with rules, regulations and standards and is mandatory for banks and financial intermediaries (according to the indications provided by the Bank of Italy, CONSOB and ISVAP), but voluntary for all other types of private and public entities. In particular, banks and financial intermediaries are required to check internal regulations with current legislation in order not to incur sanctions, financial losses or reputational damage. Corporate compliance requires respect for the ethics of the product sector to which it belongs, also with regard to purely environmental aspects.
Notes
1) See Nebbia, Piccioni (a cura di), “Breve storia della contestazione ecologica”, Quaderni di Storia ecologica, n. 4, Milan, 1994. [back]
2) See Smith T. M., Smith R. L., Elements of Ecology, Milan, 2009. [back]
3) The Green Papers come from the European Commission to stimulate reflection on a specific topic and invite individuals and groups to participate in the consultation process. Sometimes, Green Papers give rise to legislative developments which are then presented in White Papers, other European Commission documents containing concrete proposals for action with special arguments. The latter serve to consolidate political consensus. Among the most recent White Papers, there is the 2017 White Paper on the future of Europe Reflections and scenarios for the EU towards 2025. [back]
4) MISRAR, Risk assessment: experiences from the European Union, Dordrecht, 2012. [back]
5) The Netherlands, Estonia, Bulgaria, Greece, Portugal and Italy, with the Province of Forlì-Cesena. [back]
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