Siamo a Venezia, al Teatro Fondamenta Nuove, per il primo concerto della rassegna di nuove musiche contemporanee Risonanze. Ospite della puntata d’apertura è il sassofonista tedesco Frank Gratkowski, in tour con il suo collaudato quartetto per promuovere il cd Kollaps (Red Toucan, Frank Gratkowski Quartet): si profila una serata a base di jazz sperimentale, con una forte propensione per l’improvvisazione e per la ricerca timbrica su strumenti rigorosamente acustici. Mentre il teatro si riempie, blocchiamo nel backstage il batterista e compositore americano Gerry Hemingway: Noema lo intervista per voi chiedendogli delle sue esperienze con le tecnologie e relative applicazioni nella composizione, nella musica e nell’ambito multimediale.
Who’s who
Attivo sulla scena musicale sin dal 1974, Gerry Hemingway è batterista, percussionista e compositore. Ha collaborato a varie formazioni tra le quali ricordiamo i BassDrumBone con Ray Anderson e Mark Elias, il quartetto con Robin Eubanks, Herb Robertson e Mark Dresser, il Frank Gratkowski Quartet. Ha sperimentato le possibilità della quadrifonia in Polar (1994); nel gennaio del 1999 ha realizzato, su commissione della Parabola Arts Foundation e del New York State Council on the Arts, la partitura The Visiting Tank per quartetto d’archi e live electronics. Assieme al musicista di Amsterdam Guus Jannsen ha composto Cycles, per la cui direzione era stato programmato un software che permetteva all’ensemble di suonare in tempi multipli. Avvicinatosi all’ambito multimediale con il progetto Waterways, collabora da alcuni anni con la video animator Beth Warshafsky.
Noema: Utilizzi da tempo le nuove tecnologie per la composizione e la produzione dei tuoi progetti. Con quale fine?
Gerry Hemingway: L’unico scopo si trova nell’espandere quello che io chiamo il vocabolario dello strumento attraverso elementi atipici che in verità non lo sono poi così tanto, visto che di questi tempi molti musicisti si cimentano con le nuove possibilità fornite dall’elettronica. La questione non riguarda tanto le tecniche utilizzate bensì il modo in cui vengono applicate: ogni cosa che scelgo di suonare sullo strumento è in funzione della musica, non ha scopo in sé. In altre parole, non sono interessato strettamente a quell’effetto o a quel nuovo strumento, quello che mi interessa veramente è come queste tecnologie possono essere utilizzate al servizio della miglior musica possibile. In ogni caso io suono più spesso in maniera per così dire tradizionale, ma comunque dipende dal contesto in cui mi trovo e dal brano che sto suonando. Voglio riuscire ad esprimere sentimenti, storie, colori, umori, armonie diverse attraverso il mio strumento.
Noema: Tu sei fondamentalmente un batterista acustico. Ti è mai capitato di suonare strumenti interamente elettronici?
GH: Dunque, sin da quando ero piccolo mi sono interessato a queste cose. Ricordo perfettamente che all’età di dieci anni mio fratello mi fece ascoltare, con mia grande impressione, Visage di Luciano Berio. La musica ha questo potere enorme di trasportarti da qualche altra parte e questo ha un che di magico, chiudi gli occhi e sei in un altro mondo . Così, la nozione di musica elettronica è per me un modo per raggiungere questi risultati attraverso un’esperienza percettiva assolutamente naturale. Con questo scopo ho cominciato a mettere mano ai registratori. Ma per ritornare alla tua domanda, sì, ho utilizzato tecniche di campionamento ma ripeto che non è mio scopo precipuo quello di sviluppare situazioni interattive o utilizzare il computer come un cervello. Sono più interessato nell’ampliare le possibilità orchestrali, così la strumentazione che utilizzo, cioè un trigger midi connesso ad un computer che mi permette di utilizzare contemporaneamente i suoni acustici e quelli processati contemporaneamente.
Le possibilità offerte dai trigger sono enormi, io ne sono parecchio affascinato e ci ho speso molto tempo e molto di più vorrei passare sperimentando varie possibilità. In questi giorni sto lavorando anche sul fronte di una produzione molto complessa che segue maggiormente le linee tipiche della popular music, che per me è estremamente interessante, così sono stato impegnato per un periodo di circa un anno e mezzo utilizzando una grande quantità di campioni, ho registrato dei miei amici mentre suonavano e improvvisavano, orchestrando poi il tutto e trasformando i singoli elementi in qualcosa di nuovo.
In passato ho compiuto degli esperimenti particolarmente interessanti con la quadrifonia, esplorando la relazione fra i suoni e lo spazio nei confronti del pubblico. e’ stata un’esperienza straordinaria, purtroppo non ho così tanto tempo da dedicare a questo tipo di riproduzione del suono che mi affascina enormemente.
Noema: Qualche riferimento a Karlheinz Stockhausen?
GH: Certamente, è stata una figura di riferimento per queste sperimentazioni e solo tenendo bene conto di ciò che ha fatto è possibile comprendere pienamente il mondo delle applicazioni elettroacustiche. Sempre grazie a mio fratello ho avuto modo di ascoltare da piccolo la sua Gesang der Jungliuge: un’opera assolutamente straordinaria, senza ombra di dubbio. Mi ha colpito a tal punto che la mia prima composizione di musica elettronica era modellata sulle stesse basi; Stockhausen si è mosso nella direzione delle tecnologie in tempi pionieristici attraverso mezzi quali filtri, oscillatori e l’utilizzo di processi di rielaborazione analogici del suono che ancora oggi destano un enorme interesse. Io possiedo un vecchio sintetizzatore analogico che utilizzo tuttora: attraverso uno strumento come questo è possibile comprendere quella che potremmo definire la “scienza del suono”, gli algoritmi e i principi matematici relativi alla creazione delle onde, il modo in cui me pui shiftare e così via. Registrare campioni e lavorare su di essi è straordinario perché salti letteralmente tutte le difficoltà di uno strumento tradizionale, puoi cambiarne agevomente i parametri della dinamica, le altezze, le forme d’onda dei suoni.
Noema: Parliamo di multimedia. Ci parli delle tue esperienze in questo settore?
GH: I progetti multimediali nei quali ho lavorato sono stati simili a tour de force, sia perché sono veramente difficili da realizzare, sia perché sono costosi ed è difficile reperire un budget consistente. Diversi anni fa ho contribuito alla creazione di un progetto che a distanza di tempo ritengo assolutamente brillante, consistente in una coordinazione di frammenti video con una produzione sonora ad esse correlata, ma ci sono voluti qualcosa come 40 mila dollari per realizzarlo. Vista la validità del progetto, la mia idea era quella di realizzarne una sorta di tour ma non sono mai riuscito a trovare uno sponsor interessato, la spesa era troppo elevata. Oggi invece, a seguito dell’enorme abbassamento dei costi relativi alle produzioni con i media digitali, sarebbe stato molto più facile produrlo. Con Beth Warshafsky, una video animator con la quale lavoro da tempo, stavo pensando di aggiungere nuovi materiali al mio sito web tipo dei segmenti audio/video in formato Macromedia Flash. L’ambito multimediale è estremamente interessante e vedrà uno sviluppo crescente, perché in qualità di compositori abbiamo la responsabilità di indirizzare le produzioni verso contenuti validi e dal livello d’interazione elevato. Le possibilità di relazionare i suoni, le immagini, la computer grafica eccetera non deve essere ristretto a quanto ci propone Mtv, si può fare molto di più. E’ arrivato il momento di muoversi.
[In collaborazione con All About Jazz Italia]
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