[ITA] Il testo seguente costituisce l’introduzione del volume di Anaïs Bernard, Bernard Andrieu, Manifesto Emersivo. Nascita delle Arti Immersive, Ravenna, Noema Media & Publishing, 2018, disponibile a questo link.
[ENG] The following text is the introduction of the volume of Anaïs Bernard, Bernard Andrieu, Manifesto Emersivo. Nascita delle Arti Immersive (Emersive Manifesto. Birth of the Immersive Arts), Ravenna, Noema Media & Publishing, 2018, available at this link.
English abstract
In Italy the Manifesto Emersivo is placed in the wake of a nearly thirty-year discussion on the relationships between body and technology, and on the role of the body in the present technoscientific era. The focus of the Manifesto, which we have the pleasure of presenting to the Italian reader, is clearly focused, as the subtitle states, on the birth of the Immersive Arts. The text shows the breath of research that the two authors, Bernard Andrieu, philosopher, and Anaïs Bernard, a researcher, have been carrying out for years on the body, on the “immersion” and on the connected phenomena.
Intorno al corpo
Accanto alla sua evoluzione biologica, il corpo è il risultato di un’evoluzione culturale sempre più rapida e complessa. Di fatto, l’evoluzione biologica del corpo è divenuta molto più lenta della sua evoluzione culturale, che lo ha protetto, ne ha allungato la vita media – quasi raddoppiandola nell’ultimo secolo – e inizia a trasformarlo modificando la sua memoria a lunghissimo termine, i geni. Il corpo è un costrutto culturale: la sua identità, il suo funzionamento, la materia e gli organi di cui è costituito, il suo comportamento, le sue pratiche e discipline, la sua cura, il suo controllo, la sua misura e descrizione, la sua storia, sono sempre stati analizzati, rappresentati e normati dalla scienza, dalla società, dalla politica, dalla religione, dalla tecnologia, dalla comunicazione, dall’arte…
Il corpo è l’unica cosa da cui in vita siamo indivisibili, la sola cosa che siamo certi di possedere, è ciò che ci consente di essere convinti di esistere, che ci dà una qualche forma di consapevolezza di quel che siamo, del mondo di cui siamo parte e che cerchiamo di interpretare. Il corpo umano – così come quello di ogni altro organismo vivente, dai batteri alle balene – è un’isola di coscienza in un oceano di materia, di cui siamo in grado di individuare solo una piccola frazione, regolata da forze in gran parte oscure (e anche questo è un costrutto culturale).
Negli ultimi trent’anni, grazie alla rapida diffusione delle tecnoscienze, il corpo è sembrato oscillare tra due posizioni. La prima ha visto il suo ruolo svuotarsi progressivamente, il suo destino relativizzarsi nella temperie scientifico-tecnologica. Il corpo diviene relativo perché è sempre meno utile alla società occidentale, è meno capace nei confronti di strumenti, protesi, dispositivi, algoritmi, macchine, in grado di operare a livelli di risoluzione, forza, ripetitività, velocità, durata e precisione inarrivabili. Il corpo viene progressivamente sostituito nelle funzioni fisiche, tecniche e muscolari, è emarginato dai meccanismi e dalle dinamiche produttive, economiche, finanziarie, la sua biologia e la sua inerzia costituiscono i suoi limiti. Nonostante sia curato e potenziato da artefatti esterni e interni che ne accrescono l’efficacia e ne incrementano la lunghezza della vita, il corpo è comunque inadeguato davanti alle grandi sfide della mente, che lo vorrebbero impegnato in viaggi interplanetari, trionfare sull’invecchiamento e le malattie, modificare selettivamente la sua memoria a lunghissimo termine, rimpiazzare e migliorare le sue parti: secondo Stelarc il corpo è obsoleto e deve essere “riprogettato” [1]. Oppure il suo destino è quello di essere sostituito dai “figli della sua mente”, dalla sua eredità culturale [2]. Negli ultimi quarant’anni è stato soprattutto il movimento cyberpunk, erede del cogito ergo sum cartesiano, a teorizzare e auspicare la separazione tra mente e corpo: il corpo, dunque, sacrificato all’“imperatore della mente”, esecutore di somme volontà a cui non può adire, che non può discutere e a cui deve sottomettersi. Un’ulteriore interpretazione culturale, accanto al corpo della religione, da colpevolizzare, mortificare, reprimere e redimere, al corpo della politica, da sorvegliare, limitare, indirizzare e punire… e così via.
Del resto, si tratta di un processo tutt’altro che nuovo: a partire dalla preistoria funzioni e capacità del corpo sono state via via sostituite da artefatti, strumenti, protesi, dispositivi e macchine sempre più complessi e potenti, che lo hanno potenziato, lo hanno aiutato a sopravvivere, ne hanno rimpiazzato alcune funzioni. Secondo McLuhan tutti gli artefatti sono estensioni del corpo e dei sensi [3]. Scienze e tecnologie, dunque, svuoterebbero definitivamente il corpo anche degli attributi che per decine di migliaia di anni hanno accompagnato l’evoluzione della nostra specie consentendole di sopravvivere. Per i fautori della relativizzazione del corpo, questa sostituzione è quasi giunta a compimento.
Vi è poi un’altra posizione, che con quella appena descritta condivide molti argomenti ma sovente li interpreta in maniera opposta. È vero che il corpo viene sostituito in molte mansioni, tuttavia, grazie soprattutto alle scienze e alle tecnologie, la sua vita media è quasi raddoppiata dalla fine dell’800, in poco più di un secolo: un tempo trascurabile rispetto a quello della sua evoluzione. Il corpo poi viene quasi santificato, nel senso che è il fulcro di ogni attività… È vero, la mente può immaginare avventure inarrivabili per il corpo, ma lo può fare proprio perché si è sviluppata a partire da quel corpo. L’importanza del corpo non è secondaria, il corpo non è l’umile e limitato servitore di un imperatore ineffabile. Al contrario, come è stato dimostrato da varie discipline, tra cui la biologia della conoscenza [4], la gerarchia mente-corpo va rovesciata, rivalutando la primità del corpo e la sua inevitabile e indissolubile relazione con la mente: mente e corpo sono solo logicamente distinguibili e non sono funzionalmente separabili: quello che la nostra mente è dipende dal corpo nel quale è incorporata.
Il corpo, dunque, è reificato, è il fulcro dell’umano costruire. La dimensione artificiale creata dall’umanità, anche se spesso è incontrollabile, invadente e distruttiva, è imperniata sul soggetto umano, è ideata, progettata e costruita per avvantaggiarlo, per essere in qualche modo governata dal corpo umano. Dunque, nonostante spesso i suoi esiti siano devastanti nei contesti nei quali viene dispiegata, la dimensione artificiale non può che partire dall’intenzione di essere “a misura d’uomo”, cioè a misura del corpo. Interfacce uomo-macchina, dispositivi, protesi, sono progettati e creati in base alla dimensione metrica, fisica, biologica, psicologica e sensoriale del corpo. Se è vero che, secondo McLuhan, artefatti, dispositivi, protesi e macchine sono estensioni del corpo e dei sensi, il corpo è il loro governatore: si attagliano ad esso quasi come una seconda pelle.
Oggi la capacità della dimensione artificiale è così evidente e pervasiva da debordare in una deriva che minaccia quell’equilibrio ecologico del Pianeta nel quale e grazie al quale negli ultimi diecimila anni la nostra specie è divenuta quello che è: ha potuto evolversi, colonizzare una parte rilevante del pianeta, occupare una vasta nicchia ecologica e imporsi pervasivamente, fino all’invadenza, grazie alla sua capacità tecnologica. Dissipazione delle risorse, inquinamento, sovrappopolazione, rapida modificazione dell’ambiente, con i corollari delle migrazioni e dei cambiamenti climatici, costituiscono alcune delle conseguenze di questa evoluzione.
A rendere questo processo più intricato il fatto che la dimensione artificiale diviene sempre più articolata, pervasiva e veloce, mettendo in crisi la capacità del corpo di gestire da solo questa complessità. Diviene necessario l’ausilio di sistemi tecnoscientifici, algoritmi, Intelligenza Artificiale, Robotica, Vita Artificiale, Deep Learning, Big Data, e di entità sempre più capaci, autonome e indipendenti che vanno al di là delle protesi e delle estensioni di McLuhan: sono entità complesse, che posseggono comportamenti analoghi a quelli del vivente. Configurano, in un’evoluzione non più basata sulla biologia, quella che uno di noi ha chiamato “Terza Vita” [5]: la vita delle entità e degli organismi creati dalla cultura umana (essendo la “Prima Vita” la vita biologica e la “Seconda Vita” la vita nella dimensione simbolica). Entità e organismi che tuttavia recano ancora nel loro progetto e funzionamento una traccia umana, un bias, un qualche imprinting del corpo, per quanto deboli. Anche se è lecito chiedersi fino a quando.
Il Manifesto Emersivo
Nel nostro Paese il Manifesto Emersivo si colloca nel solco di una discussione quasi trentennale sulle relazioni tra corpo e tecnologie e sul ruolo del corpo nella temperie tecnoscientifica [6]. Il focus del Manifesto, che abbiamo il piacere di presentare al lettore italiano, è dichiaratamente incentrato, come recita il sottotitolo, sulla nascita delle Arti Immersive. Nonostante la brevità, il testo mostra il respiro della ricerca che i due autori, Bernard Andrieu, filosofo, e Anaïs Bernard, ricercatrice, portano avanti da anni sul corpo, sull’“immersione” e sui fenomeni collegati. Il saggio, denso e argomentato tra arte, scienza e tecnologia, ha richiesto un lungo impegno di traduzione e revisione, che ha coinvolto varie persone ed esperti. Il nucleo principale considera le “arti immersive” come un’esperienza interattiva tra corpo, opera e ambiente, dove la fruizione dell’opera configura di fatto un’immersione esperienziale significativa che genera fenomeni emersivi. In altri termini, l’atto e la condizione dell’immersione producono tanto un’emersione articolata di sensazioni, immagini, fenomeni emotivi suscitati dall’ambiente immergente, quanto l’emersione nel corpo di produzioni spontanee che riguardano, secondo la tesi sostenuta, sia l’artista che lo spettatore, che secondo gli autori è anche attore: più precisamente il termine impiegato è “spett-attore” (spect-acteur nel testo originario).
La condizione di immersione-emersione si presenta, dunque, come l’agente di dispositivi induttivi in grado di provocare l’attivazione involontaria, cerebrale e sensibile, di produzioni spontanee [7], scrivono Andrieu e Bernard, che si impongono alla coscienza, anche se forse è difficile stabilirne la misura, sia dell’artista che dello spett-attore: “Tuffandosi nel proprio corpo in spazi immersivi – si legge nel Manifesto – il contenente immergente produce un contenuto emersivo” [8]. L’arte dell’immergersi attiva la profondità del corpo, dalle più semplici interazioni della pelle alla im-serzione negli spazi vuoti e profondi della nostra parte più oscura. Il neologismo im-serzione (im-sertion), composto di “immersione” e “inserzione”, costituisce un elemento significativo del percorso teorico che in questi ultimi anni ha ispirato Andrieu e Bernard, che ritroviamo spesso nel Manifesto.
Chi si immerge entra in uno schema corporeo che porta a ridefinirsi, tenuto conto che nello specifico del Manifesto il punto focale, storicamente affrontato e aggiornato, riguarda soprattutto le immersioni in ambienti virtuali. Da anni Andrieu lavora a una filosofia dell’immersione del corpo in ambienti, nei corpi e “dentro interazioni tecniche, naturali e artistiche” [9]. Il corpo “non è un oggetto teorico, il corpo è materiale e sensibile, interattivo, mortale, sessuale, incarnato, malato” [10]. In questa filosofia dell’immersione “l’osmosi, la simbiosi, la vertigine, l’orgasmo, l’estasi partecipano a una antropologia sensoriale dell’intimo” [11]. In proposito si veda la griglia grafica di Andrieu, che collega la tipologia di dispositivi (Interazione, Ibridazione, Imserzione) e di sensazioni intime (Osmosi, Estasi, Simbiosi e Vertigine) [12].
L’impianto dell’analisi sulle Arti Immersive poggia sugli assi dell’interazione, dell’im-serzione e dell’ibridazione, premesso dagli autori che, delle stesse arti, si è puntato a farne una genesi piuttosto che inventarle, dando rilevanza a un inventario dei dispositivi e della condizione di vertigine. Alcuni grafici contenuti nel testo esemplificano i collegamenti e le interrelazioni a sostegno del percorso teorico del Manifesto. Abbiamo ritenuto che la chiarezza di questi grafici e la loro relativa facilità di comprensione giustifichino il fatto di lasciarli nella versione originale in francese, senza rischiare di alterarne il senso o i contenuti di fondo con una traduzione: ci scusino i lettori per il supplemento di fatica interpretativa.
Il testo si sofferma anche sui dispositivi tecnici e tecnologici di immersione, da un’interessante prospettiva storica fino agli effetti nel mondo delle arti negli anni Ottanta e Novanta, portando diversi esempi. Non si tratta, peraltro, di una prospettiva antologica, ma di un campione di casi rappresentativi, attraverso i quali si esamina quanto succede al soggetto “immerso” in situazioni fisiologiche inconsuete. Queste immersioni danno luogo a fenomeni di percezione, emozione, a sensazioni che provocano una ri-creazione percettiva del mondo. Il corpo diviene così un luogo di ibridazione e trasformazione. Si tratta di un’ibridità che, come è spiegato nel testo, fra i suoi vari livelli rivela quello dell’intreccio fra naturale e artificiale, due “categorie” in ridefinizione continua. È anche l’ammissione, o meglio, l’accettazione, del concetto che il corpo non è né interamente naturale né interamente culturale.
Negli anni nelle arti l’interattività è stata concepita e applicata sia attraverso un approccio non lineare, sia per esplorare punti di vista molteplici. Grazie a quella che fu felicemente chiamata “l’impermanenza dell’interattivo” [13], è stato possibile esplorare punti di vista molteplici e rafforzare, se non proprio inventare, l’opera (macchine incluse) come fatto sociale, e di concepire i fenomeni emotivi anche come movimenti del corpo. Realtà virtuale e Intelligenza Artificiale, per continuare con uno sguardo che abbraccia una porzione di storia recente, hanno offerto, o perlomeno posto il problema di offrire, un’alternativa alla fenomenologia della percezione.
Ogni esperienza praticata col corpo riguarda il “dentro” e il “fuori”. Nella linea teorica che anima il Manifesto l’immersione la si coglie come una nuova maniera di stare al mondo. Con l’evoluzione scientifica e tecnologica, soprattutto dal secondo Novecento, nell’era dell’Antropocene, si sono aggiunte opportunità immersive inedite rispetto a qualsiasi periodo precedente. Uno degli aspetti che pervadono il testo è una profonda proiezione dinamica nel tempo, non solo nella dimensione dell’artificializzazione del vivente, ma anche nelle esperienze emersive legate alle possibilità e occasioni di immersione. Bernard Andrieu e Anaïs Bernard – tramite gli esempi e le riflessioni nel Manifesto – partono dall’assunto che “l’immersione è un dispositivo che va oltre l’esperienza abituale del corpo e produce in noi modalità inedite del vissuto. Queste emersioni in noi di sensazioni interne svegliano, o risvegliano, mediante la persistenza della memoria incosciente, una nuova attività” [14].
Non è superfluo ricordare come nel Manifesto si parli di interazione. Come ha notato uno di noi, “in termini alla Merleau-Ponty, Andrieu scrive che l’interazione col mondo si basa sullo sconfinamento del corpo nel mondo e sull’incorporazione del mondo” [15]. In sostanza, parafrasando l’autore, nella sua eterogeneità l’interazione rinnova le nostre coordinate sensoriali. Resta ben viva l’interrogazione che qui viene, fra le altre, suggerita: qual è la prospettiva estetica che inducono i dispositivi emersivi? E, aggiungiamo noi, le loro conseguenze?
Note
1) Stelarc, “Da strategie psicologiche a cyberstrategie: prostetica, robotica ed esistenza remota”, in Pier Luigi Capucci (a cura di), Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie sul corpo e sulle sue facoltà, Bologna, Baskerville, 1994, pp. 61–76. [back]
2) Hans Moravec, Mind Children: The Future of Robot and Human Intelligence, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1988. [back]
3) Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967. [back]
4) Humberto Maturana, Francisco Varela, L’albero della conoscenza, Milano, Garzanti, 1992. [back]
5) Sulla “Terza Vita” tra i vari testi si vedano in particolare: Pier Luigi Capucci, “From life to life. The multiplicity of the living”, in Roy Ascott, Gerald Bast, Wolfgang Fiel, Margarete Jahrmann, Ruth Schnell (a cura di), New Realities: Being Syncretic, Vienna, Springer-Verlag, 2009, pp. 56–59; Pier Luigi Capucci, “Declinations of the living: Toward the Third Life”, in Dmitry Bulatov (a cura di), Evolution Haute Couture. Art and Science in the Post-Biological Age, Kaliningrad, BB NCCA, 2013, pp. 50–63; Pier Luigi Capucci, “Art as a philosophy of contemporaneity. Poetics of complexity, Third Life, locality and universality”, in Pier Luigi Capucci, Giorgio Cipolletta (a cura di), The New and History – art*science 2017/Leonardo 50 Conference Proceedings, Ravenna, Noema, 2018, pp. 49–62. [back]
6) Tra i numerosi testi sulle relazioni tra corpo e tecnologie pubblicati in Italia si vedano in particolare: Antonio Caronia, Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Shake, Milano 1985; Pier Luigi Capucci (a cura di), Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie sul corpo e sulle sue facoltà, Bologna, Baskerville, 1994; Antonio Caronia, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Franco Muzzio Editore, Padova 1996; Giuseppe O. Longo, Homo technologicus, Roma, Meltemi, 2001; Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2002; Mario Pireddu, Antonio Tursi (a cura di), Post-umano. Relazioni tra uomo e tecnologia nella società delle reti, Milano, Guerini & Associati, 2006; Giorgio Cipolletta, Passages metrocorporei. Il corpo-dispositivo per un’estetica della transizione, Macerata, eum, 2014. [back]
7) Cfr. Anaïs Bernard, Bernard Andrieu, Manifesto Emersivo. Nascita delle Arti Immersive, Ravenna, Noema Media & Publishing, 2018, p. 10. [back]
8) Ibidem. [back]
9) Bernard Andrieu, Donner le vertige. Les arts immersifs, Montreal, Liber, 2014, p. 193. [back]
10) Bernard Andrieu, “Le corps humain: une anthropologie bioculturelle”, in Gilles Boetsch, Christian Hervé, Jacques J. Rozenberg (a cura di), Corps normalisé, corps stigmatisé, corps racialisé, Louvain-la-Neuve, De Boeck Supérieur, 2007, pp. 87–88. [back]
11) Bernard Andrieu, Donner le vertige. Les arts immersifs, cit., p. 194. [back]
12) Cfr. Anaïs Bernard, Bernard Andrieu, op.cit., p. 10. [back]
13) Cfr. Anaïs Bernard, Bernard Andrieu, op.cit., p. 44. [back]
14) Bernard Andrieu, Anaïs Bernard, “Arts Immersifs dispositifs & expériences”, Figure de l’Art. Revue d’études esthétiques, n. 26, Marzo 2014, p. 14. [back]
15) Franco Torriani, “Une symbiose Fluide”, Figure de l’Art, cit., p. 289. [back]
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