English abstract
“Giacomo Verde: Set the artists free from Art” (La Spezia, CAMeC, 2022-2023) is the first public exhibition from the Giacomo Verde Archive and it illustrates artist’s first “techno-artistic phase”: a well-documented and creatively rich period when he arrived in 1983, self-taught, from popular and street theatre to video art, works and installations whose characteristic feature was the craftsmanship of the “technological artefact”, the use of low technology and the addition of poor materials. He was the inventor of “tele-narration”, a technique also used for creating live-video-backdrops for concerts and poetry recitals. He was one of the first Italians to create interactive art works and net-art. He worked with various different artistic teams as an author, actor, performer, musician, video-set designer and director. Reflecting on and playfully experimenting with the latest techno-anthropo-logical developments underway and building bridges between different art genres was a thematic constant. The exhibition, in collaboration with Milan State University and Academy of Fine Arts (Carrara), was dedicated to the warm memory of the unforgettable Giacomo Verde from the collective of curators composed by artists, friends, ex students, scholars.
Giacomo Verde protagonista della mostra Liberare Arte da Artisti al CAMeC della Spezia, 25 Giugno 2022 – 15 Gennaio 2023
Giacomo Verde (1956-2020) è stato uno dei protagonisti della videoarte, dell’arte digitale e interattiva e del videoteatro in Italia. In oltre quarant’anni di attività Verde “teknoartista” come amava definirsi, ha realizzato centinaia di installazioni interattive e opere video autoprodotte o commissionate da grandi Fondazioni presentandole nelle più importanti rassegne di videoarte e computer art italiana (tra gli altri: La natura virtuale a cura di P.L. Capucci; Stati Virtuali; Sentimenti elettronici; Mediamorfosi, Invideo, ecc.) promuovendo sistematicamente la sua personale estetica della “bassa definizione”. Ha attraversato e “frantumato” ogni genere d’arte (visiva, teatrale, musicale) e superato steccati; ha fondato gruppi, compagnie teatrali, associazioni, ha passato il guado del teatro neopopolare degli anni Settanta per immergersi nel clima cyberpunk degli anni Novanta unendo la tradizione dei “contastorie” con i dispositivi virtuali e interattivi.
Ha aderito convintamente al movimento dell’“Artivism” (attivismo artistico) diventandone una figura di riferimento e su cui ha parlato diffusamente nel suo volume Artivismo tecnologico. Scritti e interviste su arte, politica, teatro e tecnologie (Verde 2005; scaricabile su Connessioni Remote).
“Riflettere sperimentando ludicamente sulle mutazioni tecno-antropo-logiche in atto” è stata la sua costante, come scriveva nel suo curriculum, insieme all’impegno politico e sociale testimoniato dai videodocumentari sul G8 di Genova del 2001 (Solo Limoni) e sulla figura dell’anarchico Franco Serantini (S’era tutti sovversivi, 2002); ha proseguito l’attività di artivismo con laboratori di quartiere e iniziative sociali e di impegno politico tra Lucca, Pisa e Viareggio. Il connubio etico-estetico della sua arte trovò il suo coronamento dagli Anni Zero in riferimento anche alle varie declinazioni delle attitudini hacker. Era impegnato nella delegittimazione di alcuni temi cardine dell’arte contemporanea: l’autorialità, il decorativismo digitale, l’interattività di superficie, per promuovere una socializzazione dei saperi tecnologici, alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo (economici e artistici) alternativi. Verde ha operato da pioniere in un’epoca in cui Internet rappresentava la speranza di rovesciare dal basso i centri di potere e le leggi economiche imposte dal profitto delle multinazionali. Una lotta che lui ha perseguito con convinzione fino all’ultimo, diffondendo le sue idee e le sue pratiche est’etiche anche in Accademie e Università. Nella consapevolezza, disse in un’intervista, che “le tecnologie cambieranno il mondo ma solo se saranno usate con un’etica diversa da quella del profitto personale incondizionato”.
“Liberare arte da artisti” inaugurata alla Spezia il 25 giugno 2022 al CAMeC a meno di due anni dalla scomparsa del tecnoartista, è una mostra trasformista e nomade, inquieta, instabile, varia nelle forme e nei formati. Grazie alla grafica firmata da Gabriele Menconi si entra subito nel tema visivo della tecnologia, con il lettering che rimanda ai pixel nel grande colophon stampato al piano zero del Museo. Un gruppo allestitore numeroso, composto da una decina di persone tra artisti, studiosi, accademici e collettivi ha firmato la mostra, mentre alcuni curatori specifici si sono dedicati a organizzare i materiali per ogni sezione. Sandra Lischi studiosa di videoarte e amica di Giacomo Verde ha aperto la mostra di fronte a una folla straordinaria, ricordando il lavoro d’archivio fatto da tutti, lei compresa, per l’omaggio museale a uno dei maggiori videoartisti e artivisti italiani:
(…)Tutti insieme per mettere a fuoco, a punto, a posto questa mostra con l’idea di rimetterla poi continuamente in disordine, fuori fuoco, fuori posto e soprattutto di renderla allo stesso tempo un abbraccio a Giacomo e un gesto esteso all’esterno. Una mostra che gli assomigli, ci siamo detti più volte. Quindi viva, movimentata, attenta. Gioiosa e allo stesso tempo non riconciliata. Una mostra consapevole di quanto ancora ci sia da fare per trasformare il nostro sguardo sul mondo, per svegliarci, per capire, per attivarci, Attivarci con arte. Artivarci. Che vuol dire non fermarsi alla propaganda, che è un gesto pigro, che confeziona slogan. La negazione dell’arte. E neanche chiudersi nella soddisfazione del bello e del levigato. Arte, dunque, nel senso più alto, come gesto comunque politico, anche solo nell’aiutarci a pensare e a vedere diversamente. “Liberare arte da artisti”, certo, come indica il titolo. Ma anche, in qualche modo, liberare artisti da arte.
La mostra conclusasi il 15 gennaio 2023, si è alimentata e ha preso vita dall’archivio immenso di Giacomo Verde nonostante questo non fosse stato ancora inventariato e catalogato: si è preferito utilizzarlo come spunto soggettivo e creativo per i tre re-opening sui temi dell’Artivismo-Tecnoarte e Interazione-Effimero/Teatro.
La mostra ha tratto ispirazione anche dai disegni per videoinstallazioni (1986-1992) e dal relativo volume recentemente da me pubblicato per la Milano University Press in Open Access insieme con Vincenzo Sansone e Dalila D’Amico. Libro e mostra hanno in comune una sezione messa a disposizione di visitatori e lettori: l’illustrazione della poco nota prima fase “tecnoartistica” di Verde, un periodo ben documentato e ricco creativamente parlando, quando approda da autodidatta, nel 1983 dal teatro popolare e di strada alla videoarte; Verde esordisce infatti alle rassegne pionieristiche di Ferrara, Camerino, Narni (curata da Carlo Infante) con video opere e installazioni aventi come caratteristica l’artigianalità del “manufatto tecnologico”, l’uso della bassa tecnologia e l’aggiunta di materiali poveri. Di questo corpus di lavori (comprensivi di disegni preparatori, schizzi) abbiamo lasciato traccia nella mostra grazie all’allestimento curato da Andreina di Brino, assegnista di ricerca dell’Università di Pisa che da sempre si è occupata dell’aspetto grafico della videoarte italiana e in particolare di Verde. Dentro l’arco cronologico 1986-2000 rientrano i video più famosi di Verde che erano tutti visibili in mostra: Stati d’animo (1989) ispirato al trittico del pittore futurista Umberto Boccioni realizzato in computer grafica grazie al Premio per il miglior storyboard al POW (Premio Opera Video Videoteatro di Narni ideato da Carlo Infante); WDR Marì (1984-1987-1988, omaggio a Nam June Paik); Fine fine millennio (1988-1989-1990) e Opera d’arto video (1991, di cui abbiamo ritrovato anche disegni, pastelli e pitture quali story board). In visione anche il breve An.TiViRus (H) – un caustico progetto artistico di Antivirus per “vaccinare lo spettatore televisivo contro “l’avvelenamento estetico” . Ma sono anche gli anni dei Teleracconti, una sorta di teatrino da camera in cui l’attore racconta fiabe e storie per ragazzi con una telecamera in diretta e un televisore. Verde realizza e “interpreta” H & G TV dalla fiaba Hansel e Gretel dei fratelli Grimm, ma già dal 1990 aiuta Vania Pucci, Loredana Zambon, Carlo Presotto e la compagnia di Empoli Giallo Mare Minimal Teatro, specializzata in teatro per l’infanzia, a dare vita ad altri teleracconti che diventeranno degli “evergreen” ancora adesso in programma nelle stagioni teatrali.
Una teca appositamente allestita racconta questo fondamentale percorso, raccogliendo gli oggetti dei teleracconti, la sua “valigetta” teatrale ricostruita e fotografata da Valentino Albini dentro il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Milano, partner del progetto.
In mostra anche l’azione di distruzione Tv e ricomposizione con sculture di gesso dal titolo Rivel’Azione che sarà ripresa nel 2010 per la Fondazione Ragghianti a Lucca, insieme ad alcuni dei primissimi progetti come Col-Tv-Azione (firmato da Giacomo Verde con Gabrio Zappelli, con la collaborazione di Silvia Battistella e Roberto Mazzi) per il Festival di Narni di Carlo Infante nel 1987, che inglobava molte delle “azioni di inseminazione della videopianta”. Si tratta del nucleo di opere facenti capo a Est Etica Antica T astro Fica (1987). L’opera veniva realizzata davanti al pubblico in forma di performance in cui anche i visitatori erano chiamati a partecipare, distruggendo Tv e coltivandone i vetri, invasando transistor e circuiti. Come in un rituale arcaico di rigenerazione. Il discorso critico sui media assume le forme di una performance collettiva: l’utensile televisivo sondato con il gioco comune creativo, smitizzato della sua totemica presenza attraverso il gesto simbolico della rottura (atto rivolto all’oggetto ma soprattutto al sistema della comunicazione dominante che questo rappresenta e al linguaggio che veicola) e dell’assemblaggio (la “ri-creazione” del mondo), si rianima. Se è possibile manipolare le “scatole Tv” allora è possibile anche mettere mano all’informazione che contengono: ed è così che il teatro de-sacralizza il mondo dei media.
La non grandissima bibliografia cartacea su Verde (a fronte di moltissimi articoli, saggi e interviste sul web, raccolti anche sul journal Connessioni Remote) conta una monografia breve ma significativa del suo percorso multiartistico (Giacomo Verde videoartivista, 2018): curata da Silvana Vassallo, purtroppo scomparsa quest’anno e alla quale è dedicata proprio la sezione della Tecnoarte della mostra, contiene saggi della Di Brino, di Anna Monteverdi, di Sandra Lischi, di Francesca Maccarone. Il volume è stato riedito espressamente per la mostra ed è pubblicato dalla ETS per la collana I Mirtilli sui protagonisti della videoarte, di Sandra Lischi.
Molte sono le opere in mostra che permettono al visitatore di entrare nel mondo colorato, ludico e dirompente (nel senso proprio di disruption) di Giacomo Verde, a partire anche dalle fotografie del suo studio, realizzate dal fotografo Massimo Vitali pochi giorni dopo la scomparsa dell’artista: a Noemi Pittaluga è stato chiesto di scrivere un testo per illustrare queste fotografie in cui protagonisti sono gli oggetti, i vhs, i faldoni d’archivio, la sua scrivania con le agende e il computer, oggetti che il visitatore ritrova in mostra: “Secondo la legge del “buon vicinato”, introdotta da Aby Warburg, possiamo osservare in questi scatti come il background culturale di Verde abbia infranto le rigide barriere tra le diverse discipline permettendo allo spettatore di rintracciare le connessioni del suo pensiero creativo che, insieme con le opere, sono la sua eredità immortale e preziosa”.
Un caso a sé riguarda l’installazione interattiva in forma di carrozzina medica, rotante e connessa al web Reperto Antropologico 1997. Presentata prima alla Triennale di Milano del 1995 con un altro nome (Poltrona InMobilCasa), l’opera vinse due anni dopo, il Premio Segnali d’arte a Gallarate, insieme con una decina di altri artisti che hanno fatto la storia dell’arte interattiva italiana, tra cui Studio Azzurro, Mario Canali, Piero Gilardi. Queste opere vincitrici sono andate a comporre la costituenda collezione del MA*GA. A distanza di 25 anni l’opera, grazie al prestito avvenuto tramite la Sovrintendenza, è stata resa visibile al CAMeC e rimessa in funzione, ripristinando i sensori utilizzati da Verde all’epoca e la parte meccanica ormai logorata e usurata dal tempo; può essere utile sapere che quella che è considerata tra le prime opere d’arte interattiva italiana, era in parte anche un’opera di “riuso”, in quanto furono utilizzate le cellule fotoelettriche e il motorino di un cancello automatizzato. Per rimetterla in funzione il giovane artista e studente d’Accademia a Carrara, Lorenzo Antei, allineandosi alla filosofia della bassa tecnologia, dell’open source e dell’attenzione verso le community digitali di Verde, ha inserito una scheda elettronica Arduino per la gestione dell’interattività. Arduino non esisteva ancora all’epoca dell’ideazione dell’opera, ma la sua introduzione risponde perfettamente alle caratteristiche dell’estetica digitale di Verde E così, appena ti siedi, l’opera inizia a girare su sé stessa, e si attiva la pagina web da cui puoi navigare e diventare davvero “opera d’arte” cioè opera che si relaziona con il mondo, ricercando o creando territori aperti di sapere e di connessioni infinite.
Sembra incredibile poi, che in un’epoca in cui i siti restano on line per la durata di pochi mesi, anche un’altra opera di Verde nata per la rete, sia ancora in vita. Si tratta di X-8×8-x.net, un’opera di net art presentata a Tekne di Milano nel 1999-2000 e dedicata al figlio Tommaso appena nato. Navigando nel divertente sito-gioco si viene a scoprire l’esistenza di moltissime associazioni di volontariato e organizzazioni non governative. Alcuni siti a distanza di 25 anni esistono ancora per fortuna, tra questi il portale del Commercio Equo e Solidale, della Banca Etica. Il tema della rete come luogo di connessione sociale è alla base del lavoro artivistico di Giacomo Verde e questa opera è una delle più significative in questo senso ed era importante metterla in mostra.
Come archiviare le diverse forme di performance tecnologica, di liveness digitale, le video installazioni analogiche e interattive documentate di Giacomo Verde attraverso una prospettiva che tenga conto del rapporto tra le caratteristiche delle tecnologie e il loro uso attuale? Il metodo di lavoro si è alimentato di alcune riflessioni importanti sui Media Archives. La definizione di “archivio-dispositivo” è forse la più pregnante per i materiali di Verde che noi abbiamo immesso in un nuovo spazio tempo: archivio non più come collezione di oggetti ma come” agente attivo”, capace di dare forma a frammenti di memoria personale e condivisa, in grado anche di mettere in luce il processo creativo e preparatorio. Gabriella Giannachi nel suo volume Archiviare tutto (Treccani, 2021; 1° ed MIT 2017) dà un’ulteriore definizione: archivio come oggetto-relazionale, “capace di favorire la costruzione della memoria e facilitare la riformulazione dell’identità”; l’autrice spiega l’importanza di mantenere l’archivio quale sistema non isolato di memoria e vivo nel presente per costituire un complesso organico dal forte valore sociale e comunitario.
E così insieme ai video originali di Verde, alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti di Carrara che è partner del progetto espositivo del CAMeC, hanno riletto alcune opere e installazioni di Giacomo Verde; tra questi Fine Fine millennio, un video iconico della fine degli anni Ottanta che interpretava la guerra nel Golfo rimandando immagini mescolate ad altre notizie dei telegiornali, in una anestesia totale provocata dal medium. È Lorenzo Antei a offrirci la versione aggiornata dell’opera con (mi)rage – you’re in an empty place for 24 hours a day, 7 days a week: in un’epoca in cui la guerra continua a esserci e a incombere, siamo informati dei conflitti nella confusione di notizie della Tv ma soprattutto del web, che mescolano la guerra alle mille idiozie dei social. E così mantenendo un aspetto cromatico simile all’opera di Verde che aveva semplicemente ripreso la TV con la telecamera alterandone i colori manualmente, rendendo l’immagine completamente astratta, porta la guerra alla nostra attenzione di spettatori digitali con un’opera video generativa che cambia continuamente grazie all’hastag usato per la ricerca sul web che restituisce grazie a un algoritmo, la risposta di Tik Tok alla parola War. Che però si confonde con la pubblicità di uno shampoo o un video di qualche influencer.
Elisa Squarciapino invece recupera il tema dell’opera video Chi pecora si fa lupo se lo mangia, a partire da una performance del Tam Teatro musica di Padova con il quale Giacomo aveva collaborato per molti progetti di videoteatro (in particolare dentro il carcere Due Palazzi per la restituzione dei lavori laboratoriali confluiti in vere opere video premiati ai maggiori Festival italiani). Qua l’opera è in linea e al Museo è possibile giocare con un divertente videogame in cui mettendoci di fronte alle parole guerra e pace, attraverso un ironico questionario di poche domande, ci viene attribuita una skin sulla base delle risposte: siamo o lupo o pecora. E tutti insieme si va a manifestare insieme per la pace in una sfilata di docili animaletti, scaricando con il QR code tutta la manifestazione. Qua il link.
Il giovane artista cinese Deng Deng propone un’esperienza virtuale per immetterci in una realtà alternativa mentre l’artista e docente dell’Accademia di Carrara Clemente Pestelli aka Guido Segni propone una Maratona Verde Algoritmica. In questa “maratona” non sono solo i video a essere riproposti al pubblico, ma l’intero l’archivio in rete di Giacomo: un algoritmo “pesca” dal suo sito, dai suoi drive, dai suoi canali youtube, dal suo blog, dalle mailing list. L’archivi’azione algoritmica produrrà una selezione casuale e una proiezione potenzialmente infinita di cui è impossibile definire una scaletta. L’artista Massimo “Contrasto” Cittadini, amico di lunga data di Verde e docente di Accademia a Carrara, presenta l’opera originale No Border (Degli avi remix), 1992-2022. È una rilettura in forma di installazione interattiva, dell’opera di Giacomo Verde Degli avi, presentata nel 1992 in occasione della mostra “Cybernauti – Un mondo rovesciato” a Palazzo Re Enzo, Bologna a cura di Pier Luigi Capucci. Si parla di un tema importante, della necessità di prendere posizione contro la guerra e contro tutti i confini: il gesto che la mano del visitatore fa per attivare l’opera, stringendo una vera tronchesina, che altro non è che l’interfaccia con cui si agisce sul sistema, attivando le scritte No war No Chains No Borders, è la risposta.
Così l’allestimento al CAMeC si è trasformato in un vero laboratorio di idee e nuove pratiche e teoriche d’arte digitale sempre in una direzione artivista.
Ha chiuso la sezione teatrale Carlo Infante, guidando il numeroso pubblico il 18 novembre con un percorso radioguidato (un “walkabout”) intorno alle prime fasi del “performing media” (termine da lui coniato) di Giacomo Verde, ricordando momenti, tappe, formazioni, incontri, installazioni e performance tra l’Italia e l’Australia; il percorso arrivava a mostrare uno dei momenti più toccanti della mosatr: il teleracconto live degli anni Novanta E fu così che la guerra finì sulla guerra nella ex Jugoslavia, ricostruito dal suo ideatore, Carlo Presotto (La Piccionaia). Il finissage è stato poi, un ritorno al passato, con Gianfranco Martinelli designer e artista di teatro amico di Giacomo che insieme al fratello dell’artista, Sabatino Verde, ha guidato il pubblico in un poetico viaggio lungo quel teatro popolare di strada toscano con cui Giacomo aveva iniziato il suo percorso. Un finissage che ha visto Sandro Berti della Banda Osiris a suonare l’organetto con gli stornelli in rima toscana insieme con Roberto Mantovani, sodali di Giacomo negli anni Settanta. Anche Carles Canellas marionettista catalano, è intervenuto per raccontare quel mondo fatto d’arte di strada e scarsissime economie che cementificò la loro amicizia.
La mostra è stata palcoscenico di altri eventi, iniziative (tra cui numerose lezioni sugli archivi analogici in collaborazione con la Mediateca Regionale Ligure e con la Fondazione Cini di Venezia), giornate di discussione politica ed estetica, per rendere “vivo” l’allestimento, incontrando anche le scuole e i giovani artisti; il 20 luglio si è ricordato il G8 di Genova del 2001 con la proiezione del videodocumentario poetico di Verde con Lello Voce, Solo limoni mentre il collettivo Dada bloom ha realizzato una controversa performance antimilitarista il giorno dell’inaugurazione con una scritta in vernice rossa rimasta 15 giorni in esposizione.
In occasione della Giornata Europea del Patrimonio dedicata alla Sostenibilità, Reperto Antropologico 1997 è stata scelta come opera “simbolo” del Museo e molti visitatori hanno rinnovato la visita al CAMeC.
Source: Auto Draft
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