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La scrittura, il cervello e l’era digitale: connubio poetico e marginale
Una piccola riflessione su un saggio di John Picchione
La letteratura di John Picchione con il suo saggio La scrittura, il cervello e l’era digitale edito da eum (Edizioni Università di Macerata) diviene terapia. Lo studioso italo-canadese ci offre un incontro straordinario con menti che ci invitano a tenere un rapporto energico con un universo umano complesso e mai del tutto senza minacce. Il docente di letteratura critica e cultura italiana moderna e contemporanea presso la York University (Toronto, Canada) invita i giovani (i nativi digitali) a riflettere criticamente sull’esperienza contemporanea che vivono. La realtà descritta da Picchione sembra ovattata, destabilizzata, causa le nuove tecnologie.
Quali sono gli effetti della tecnologia sulla scrittura, sulle pratiche pedagogiche e sullo sviluppo del sistema neurale? John Picchione disegna un panorama preoccupante come l’impoverimento culturale, lo svuotamento delle possibilità cognitive dell’attività critica e letteraria e la svalutazione della parola (realtà “linguaggizzata”). È proprio il linguaggio-labirinto a tessere la trama in questo tascabile da portare con sé, riflettendo sulle costruzioni fittizie, illusioni mascherate da verità. Se vogliamo, Picchione anticipa uno dei temi della nostra contemporaneità, il rapporto tra vero-falso, quello che Orson Welles registrò in un suo film indimenticabile F for Fake. Quando il falso è talmente falso che si trasforma in vero, allora forse è il momento di mettere i puntini sulle i.
Gli ingredienti che vengono utilizzati da Picchione, sono tecnica, neuroni, apprendimento che si mescolano dentro la riflessione profonda del problema della scuola nell’era digitale, la responsabilità degli studi letterari e l’evoluzione bio-antropologiche e le trasformazioni identitarie. Nello sfondo del volume di Picchione troviamo un senso di disagio (della civiltà), di precarietà, di rovine e catastrofi, come del resto è lo scenario attuale della società contemporanea che si accascia con decadenza sotto al crollo della cultura, dell’etica e dell’estetica.
L’era digitale ci ha consegnato da un lato l’incredibile quantità di strumenti di accessibilità, reperibilità e velocità, dall’altro ci ha fatto smarrire quel senso di consapevolezza critica che un tempo era rara e preziosa.
Marshall McLuhan anticipa la comprensione dei media che mutano in maniera profonda la nostra esperienza di mondo, mentre Susan Sontag evidenzia gli aspetti di una omogeneizzazione culturale prodotta dai media elettronici. Walter Benjamin descrive in maniera esemplare l’epoca della riproducibilità tecnica e il suo shock si trasforma in overdose secondo Picchione.
Non neghiamo la vertiginosa comunicazione mediatica, la fluidità visiva, nonché la caratteristica che contraddistingue il presente, ossia l’ubiquità, la perdita delle coordinate spaziali e temporali a favore di una presenza-assenza che le nuove tecnologie ci permettono (positivamente e negativamente) di abitare.
Il corpo è il nucleo centrale di questo coinvolgimento elettronico, virtuale e aumentato. Persino i processi del pensare hanno modificato la loro traiettoria, proprio per questo nasce la preoccupazione di Picchione, dove l’unità del discorso logico sembra essersi smarrita sotto lo sgretolamento delle abilità analitiche e lo scadimento delle capacità di articolare i rapporti con il testo. Esiste in qualche modo un allentamento di tensione del raggiungimento dei significati. In questa visione pessimistica nei confronti del digitale ritroviamo anche il pensiero contemporaneo di Byung-Chul Han, il quale evidenzia l’aumento dei livelli di distrazione e l’incapacità di organizzare l’immensa quantità di dati (Big data), confermando un regresso delle competenze performative.
Ad essere sacrificato secondo Picchione è la qualità delle informazioni, ed ecco incombere la crisi dell’editoria, l’allontanamento del libro e tracce di anemia nella salute democratica.
I dispositivi digitali osservati sotto la lente d’ingrandimento di Picchione diventano mezzi ipnotici che conducono a forme di dipendenza massiccia, allontanando la realtà coperta da uno schermo freddo e nero (black mirror). Ed ecco che il corpo ritorna ad essere protagonista nella sua condizione precaria, frammentata, ed estraniata persino dalla facoltà di interazione e dialogo con l’altro. Picchione cita l’esempio del cyborg britannico, il primo caso in cui un dispositivo elettronico (un’antenna) impiantato nel cervello è stata riconosciuta come parte del corpo e identitaria. Neil Harbison, cittadino britannico, affetto da acromatopsia è riuscito a trasformare i suoni in colori, affinché egli potesse tradurre attraverso il senso luminoso le frequenze dei colori in vibrazioni diffuse nell’orecchio.
In questo Disagio della civiltà distopico c’è persino chi come Ray Kurzveil ipotizza la possibilità di scaricare i dati del nostro cervello dentro un hardware esterno.
Picchione pone senza remore di fronte al lettore (più o meno attento) uno stato di narcotizzazione tecnologica e nuove forme patologiche. Sicuramente lo scrittore italo-canadese mette in rilievo gli impatti, gli scontri con la cultura alfabetica evidenziando lo scarto, il gap generazionale tra i meno giovani, i quali con un cervello sono emigrati nello spazio digitale e i giovani il cui cervello è venuto a formarsi all’interno delle nuove tecnologie.
Ecco l’appello scorato di Picchione, quasi a voler essere una lettera dedicata ai giovani per recuperare la significazione profonda ed antica della letteratura, non relegandola come appendice marginale, bensì, inserendola dentro un dialogo stretto tra le complessità delle realtà umane. La letteratura dovrebbe assumere un ruolo di resistenza, di antidoto, solo in questo modo potrà svolgere la funzione di creare sospetti per una critica e un’autocritica profonda e necessaria.
Secondo Picchione, la penetrazione a livello neuronale da parte delle nuove tecnologie hanno colonizzato anche l’immaginario, modificando anche la psicologia umana e persino i desideri. L’università, così come la scuola non si è resa ancora conto del rischio, trasformando l’evoluzione culturale in una superficiale raccolta di dati.
I nuovi canali di comunicazione creano processi di ibridazione, impollinazione e contaminazione, dove l’alieno diviene familiare e la macchina supera le barriere linguistiche.
L’eccesso di stimoli provoca una desensibilizzazione, mentre le nuove tecnologie hanno assunto correlazioni sempre più intime tra potenziamento della cultura digitale e sviluppo del capitalismo globalizzato.
L’era del digitale sarà sorpassata da quella della fisica quantistica e dalle biotecnologie. Non sarà più la forma a prevalere, bensì la relazione comportamentale intercettata dalle tecnologie, registrata, tracciata, valorizzata nell’interscambio linguistico, culturale e sociale. Le società infatti sono sempre state plasmate dalla natura dei media e dalle tecnologie piuttosto che dai contenuti della comunicazione. È l’evoluzione delle protesi tecniche a costituire l’evoluzione dell’uomo (antropogenesi e tecnogenesi costituiscono un tutt’uno). I dispositivi tecnologici dispongono quindi di un “modo d’esistenza”. In altre parole la tecnica non tende a uno scopo, ma piuttosto essa funziona, è dal produrre (condurre alla presenza) che essa si fa ri-chiedere (Stellen, “porre richiedente”). L’uomo si pone così al centro di una mutazione, che deve essere intensa come quel senso di implicare tecnologie transpersonali, transpecifiche della comunicazione, della condivisione, dello scambio e della collaborazione. Picchione ci invita a non perdere il senso critico e la crescita emotiva recuperando quel senso di eccitazione del vivere, ritornando a celebrare quell’umanesimo svestito dalle protesi post-umane, sviluppando così una profonda educazione letteraria ancora in qualche modo legata alle radici celebrali terrene ed analogiche.
La prima stesura di questo saggio col titolo di Letteratura ai margini? Considerazioni teoriche e didattiche è stata presentata al convegno “What’s Next” presso l’Università di Toronto nel 2008. Proprio sulla questione del futuro prossimo (Cosa c’è dopo), si regge la domanda più ambiziosa e di difficile soluzione, ecco perché non credo che ci sia una risposta univoca, ma sicuramente esiste la possibilità di riflettere e proporre nuove prospettive in direzione di quell’oltre, così vicino, così lontano. Non è una questione di tecnofobia o tecnofilia ma semplicemente, penso che Picchione provi a gettare una goccia in mezzo all’oceano digitale, con la speranza che quella goccia possa divenire vitale per posizionare il nostro sguardo in maniera più consapevole e critica e non lasciandoci assuefare dal potere “magico e ipnotico” delle creature “tecnologiche” e le realtà virtuali, per poter cavalcare l’onda della vita con la sua meravigliosa elettrizzante meccanica: un connubio poetico marginale.
Writing, Brain and Digital Age: a marginal poetic engagement.
A little reflection on John Picchione’s essay
In John Picchione’s essay The Writing, Brain and Digital Age, edited by eum (Macerata University Press), literature becomes a therapy. The Italo-Canadian scholar offers us an extraordinary meeting with minds that invite us to keep an energetic relationship with a complex human universe and never without any threats. The professor of Literary Studies and Contemporary Italian Literature and Culture at Toronto York University (Canada) invites young people (digital natives) to critically reflect on contemporary living experiences. According to Picchione, new technologies create a muffled and destabilized reality.
Which are the effects of technology on writing, on pedagogic practices and on the development of human neural system?
John Picchione draws a critical situation made of cultural impoverishment, emptying of the cognitive possibilities of critical and literary activity, and the devaluation of the word (“linguistic” reality). The labirint-language weaves the plot of this pocket-book to take along for reflecting on fictitious constructs, illusions camouflaged as truth. Picchione anticipates one of the themes of our contemporaneity, i.e. the relationship between real and fake that Orson Welles recorded in his unforgettable movie, F for Fake. When the fake is so fake that it becomes true, then maybe it’s time to dot the i’s and cross the t’s.
The ingredients used by Picchione are technique, neurons, learning that blend together in a deep reflection on the pedagogical problems in the digital era, the responsibility of literary studies and bio-anthropological evolution, and the identity transformations.
In the background of Picchione’s essay we find a sense of discontent (of civilization), uncertainty, ruins and catastrophes, the contemporary society is falling with decadence under a collapsing culture, ethics and aesthetics. On the hand, The digital era has given us, on the one hand, the incredible amount of accessibility, availability and speed tools, and on the other one, it has made us lose that sense of critical awareness that once was a rare and precious gift.
Marshall McLuhan foresee the comprehension of media that changes deeply our world experience, while Susan Sontag highlights the aspects of a cultural homogenization produced by electronic media. Walter Benjamin describes in an exemplary way the period of technical reproduction and his shock becomes overdose according to Picchione. We do not deny the dizzying visual and media communication, the visual fluidity. The characteristic that marks the present, is the ubiquity, that is the loss of space and temporal coordinates for a presence-absence that new technologies allow us (positively and negatively) to live. The body is the core of this electronic, virtual, and increased involvement. Even thought processes have changed their path. Picchione’s worry is the loss of unity of logical discourse and disappearance of the analytical abilities and weakening of the ability to articulate relations with the text. According to Picchione, there is a sort of loosening of tension in the achievement of meanings.
In this negative view of digital, we find the contemporary thought of Byung-Chul Han, which highlights the rise in distraction levels and the inability to organize the immense amount of data (Big data), confirming a regression of performing skills.
According to Picchione the quality of information has been sacrificed. This scenario lets emergence the crisis of the publishing, the removal of the book and traces of anemia in the democratic health. Picchione’s point of view highlights how the digital devices become hypnotic means that lead to massive forms of dependence, removing the reality covered by cold and black screen (black mirror). The body comes back to be the main character in precarious and fragmented state, extraneous even to the faculty of interaction and dialogue with each other.
Picchione quotes the example of British cyborg, the first case where an electronic device (an antenna) implanted in the brain has been recognized as part of the body and the identity. Neil Harbison, a British citizen with achromatopsia, has been able to transform the sounds into colors so that he could translate through the bright sense the frequencies of vibrating colors in the ear.
In this distopic discontent of civilization there are even those who like Ray Kurzveil hypothesize the possibility of downloading the data of our brain into an external hardware.
Picchione places in front of the reader (more or less careful) a state of technological narcotization and new pathological forms. Surely, the Italian-Canadian writer highlights the impacts, the clashes with the alphabetic culture underlining the generational gap between the younger ones who with a brain have emigrated to the digital space and the young people whose brain has come to form by new technologies. Picchione’s apologetic appeal is a letter devoted to young people to recover the deep and ancient meaning of literature, not relegating it as a marginal appendix, but inserting it into a close dialogue between the complexities of human realities. Literature should assume a role of resistance, antidote, only in this way it will be able to create suspicion for deep and necessary criticism and self-criticism.
According to Picchione the neuronal penetration by new technologies has also settled the imaginary and is affecting human psychology and even desires and the University. Also the school as well has not yet become aware of the risk, transforming cultural evolution in a superficial collection of data. New communication channels create hybridization, pollination and contamination processes, where the alien becomes familiar and the machine passes linguistic barriers. The excess of stimuli provokes desensitization and new technologies have taken even closer intimacy between the enhancement of digital culture and the development of globalized capitalism. But the digital era will be surpassed by that one of quantum physics and biotechnology.
It will no longer be the form to prevail, but the behavioral relationship intercepted by technologies, recorded, traced, valued in the linguistic, cultural and social exchange. In fact, societies have always been shaped by the nature of the media and technologies rather than the content of communication. The technical prostheses evolution represents the evolution of man (anthropogenesis and technogenesis make up one).
Technological devices therefore have a “way of life”. In other words, the technique does not aim at a purpose, but rather it works, it is from producing (leading to the presence) that it becomes re-asking (Stellen, “asking for”). Thus, the human being at the center of a mutation, which must be as intense as the sense of transpersonal, trans-specifications technologies of communication, of sharing and of collaboration.
Picchione invites us not to lose the critical sense and emotional growth, recovering that sense of excitement of living, returning to celebrate that humanity devoid of post-human prosthetics, thus developing a profound literary education still somehow linked to earthly and analog roots.
The first draft of this essay with the title of Literature on the Edges? Theoretical and didactic considerations was presented at the “What’s Next” conference at the University of Toronto in 2008. Just the question on the near future (what’s next) is the most aspiring one and hard to solve. I think There is not only one answer, but certainly there are many for to reflecting and proposing new perspectives in the direction of that beyond, so close, so far away.
It’s not a matter of technofobia or technofilia, but simply, Picchione lets a drop fall in the digital ocean, hoping that that drop can become vital to position our eyes more consciously and critically and not let us blow from the “magical and hypnotic” power of “technological” creatures and virtual reality, to ride the wave of life with its wonderful electrifying mechanics: a marginal poetic engagement.
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