L’oggetto tecnologico non nasce dal nulla, ma emerge da una trama ricca e articolata di bisogni, di desideri, di linguaggi, di processi, di istituzioni. Gli aggeggi che ci circondano e che utilizziamo quotidianamente sono il risultato di conflitti, di negoziazioni, di gestione delle risorse e degli interessi in gioco, di discorsi, che spesso vengono trascurati a vantaggio dell’immediata fruizione dello strumento. Questo non solo e verosimilmente da parte degli utenti finali degli apparecchi, ma persino da parte degli studiosi che evitano di battere i sentieri attraverso i quali si affermano i fatti scientifici e gli artefatti tecnologici (obiettivo invece del convegno Istituzioni e processi della tecnoscienza organizzato dalla Società Italiana di Studi su Scienza e Tecnologia presso l’Università della Calabria il 25 e 26 maggio).
Tra i vari aggeggi che costituiscono sempre più l’ambiente nel quale abitiamo, un posto di rilievo è occupato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICTs). Non vi è nei paesi sviluppati chi non si affaccendi giornalmente con vari media: se la televisione ha raggiunto ormai tutte le case, i telefonini hanno invaso i corpi di ciascuno, senza differenza d’età, di ceto, di istruzione, di genere. In particolare, meritano attenzione i computer e le reti telematiche che fanno da volano a tutte le altre tecnologie (se non altro per il linguaggio discreto che hanno imposto – il digitale).
Vale la pena chiedersi allora come tali media si innestino in quello che è uno dei terreni più importanti per le loro sorti e quelle delle nostre società in generale: come la politica si presenta alla prova delle ICTs ovvero come la politica mette alla prova le ICTs?
La politica che si presenta alla prova del nuovo scenario mediale è quella che si nasconde dietro l’etichetta della governance. I partiti non sono più rappresentativi, i parlamenti sono esautorati del loro potere legislativo passato direttamente nelle mani dei poteri forti, infine gli Stati-nazione sono sempre più incapaci di segnare le dinamiche politiche, economiche, finanche militari del tempo presente. Pare impossibile rilanciare la Politica, si ripiega sull’amministrazione del quotidiano.
La soluzione per la crisi della politica è rinvenuta perciò in un sistema di gestione capace di bilanciare le varie componenti degli spazi glocali, i vari soggetti coinvolti nelle differenti questioni. Una gestione che emerge dal contributo delle varie sfere di autorità che si costituiscono autonomamente e reciprocamente si influenzano. Un sistema che non presuppone la formalizzazione giuridica, ma si basa sul contributo di ciascun attore e di ciascun territorio e presuppone ‘solo’ un consenso di fondo su alcuni valori fondamentali (descrivibili per esempio attraverso il richiamo ai diritti umani). Manuel Castells scrive a proposito: “noi pensiamo in termini di governance l’atto di governare senza governo. Il processo di governance è allo stesso tempo formale e informale, si riferisce a procedure e mutua comprensione, più che alla legislazione, anche se favorisce la produzione di un corpus di norme e istituzioni condivise”.
Della politica che pietrifica, scioglie nodi e impone direzioni, in una parola della politica che progetta non resta quasi niente. Emergono procedure che scattano automaticamente raggiunte delle soglie individuate come critiche. Il momento delle decisioni viene ridotto a una razionalità strumentale e neutra. Il governo è compreso come un residuo ideologico, opaco e mal gestito. Meglio confidare perciò sull’automatismo trasparente della tecnocrazia. Qui entrano in gioco le ICTs: sono queste che dovrebbero consentire di tenere insieme e gestire un mondo globale e frammentato, di produrre, rilanciare e controllare ogni piega del sociale.
Non da oggi i mezzi di comunicazione sono visti come risolutivi di problemi sociali e più specificamente politici. Ogni novità tecnologica in quest’ambito rinnova non solo le speranze, ma le certezze sulla soluzione di determinati problemi ovvero su un generale miglioramento della società. Speranze e certezze che forgiano discorsi intorno alle innovazioni tecnologiche; discorsi che a loro volta hanno effetti concreti nel segnarne l’affermazione e le direzioni di sviluppo.
Si possono legare queste aspettative nei confronti dell’innovazione ad un clima generale di secolarizzazione che caratterizza l’età moderna (pur con tutte le ambiguità del caso) e rinvenirne un momento forte di coagulo nel passaggio tra Settecento e Ottocento. Addirittura si potrebbe affermare che l’Illuminismo ha finito con il generare una nuova fede, quella nel progresso tecnomediato.
Il telegrafo ottico è stato avvertito e promosso dai vari regimi seguiti alla Rivoluzione francese come tecnologia risolutiva di problemi politici, oltre che amministrativi. Michel Chevalier, al ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, scriveva con convinzione: “migliorare le comunicazioni è lavorare alla libertà reale, positiva e pratica […], è ampliare le libertà d’espressione della maggioranza tanto e così efficacemente quanto sia possibile attraverso le leggi elettorali. Dirò di più, è generare uguaglianza e democrazia”. Il sogno di una democrazia trionfante (peraltro smentito dalla realtà storica) e la realtà assai più prosaica di un’amministrazione che risponde in modo maggiormente adeguato alla conformazione dei territori grazie ai mezzi di comunicazione, non riguardano solo il passato. Entrambi però lasciano impregiudicato il problema del potere.
I discorsi sull’e-government dei nostri tempi rilanciano tali aspettative e in particolare richiamano il sogno della trasparenza del sociale a se stesso, il sogno di una società più consapevole di sé, più “illuminata”. Evidentemente le ICTs vi giocano un ruolo decisivo. Si potrebbe denunciare con forza la genesi storica dell’ideale del “comune di vetro”: è nella Germania nazista che si rinviene la sua origine. In realtà, esso riguarda tutta l’epoca moderna ed esprime una tentazione impolitica, se non antipolitica, al “governo minimo”, presente soprattutto nella democrazia americana. Esso punta al superamento della mediazione politica a favore di un impegno diretto dell’opinione pubblica. Impegno che si concretizza in primo luogo in una peculiare e pervasiva funzione di controllo. I luoghi del potere passano in tal modo dall’essere arcani all’essere trasparenti.
Si realizza uno stato di “onnivisione” permesso dalla diffusione dei media digitali e personali, dalle webcam alle videocamere dei telefonini: uno stato che ci permette di dirigere lo sguardo in ogni dove, superando tutte le preclusione e le limitazioni legate ancora al sistema televisivo. “In termini comunicativi, il potere autoritario si definisce attraverso l’asimmetria della visibilità: i dominati sono trasparenti, mentre il centro del potere resta opaco”, scrive Pierre Lévy. I nuovi media ribaltano proprio questa situazione: gli uomini politici sono sotto gli occhi di tutti e continuamente. Peccato che di Sircana interessino più le curiosità private che i comportamenti pubblici.
Grazie alla trasparenza delle ICTs, l’e-government può assicurare “il comune di vetro”, ma dentro la teca non c’è più niente da vedere perché ogni tensione conflittuale che unicamente sostanzia di sé il potere è neutralizzata. Nelle sale dei consigli comunali si decide sempre meno e senza assumersi la responsabilità di scontentare qualcuno.
Alla politica come governance fa da pendant la trasparenza delle tecnologie di comunicazione: l’una rafforza l’altra. Forse però i media reticolari e digitali sono segnati da densità irriducibili ed è per questa via che rispondono a quell’altro ambito altrettanto irriducibile che è sempre stata e continua ad essere la politica. Mentre la trasparenza continua a rimanere un sogno, i conflitti che determinano gli spazi del nostro abitare sono realtà concrete e come tali non superabili attraverso le semplici retoriche della novità tecnologica.
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