Il ritmo è costitutivo dell’estetico e solo in parte dell’artistico. Per avere l’artistico occorre arricchire quel che facciamo in atteggiamento estetico con l’aggiunta di ulteriori atteggiamenti e quindi valori.
È importante ricordare che quando ci esprimiamo nei termini di un “mi piace” o “non mi piace” o di un “bello” o “brutto” siamo sempre nell’ambito dell’atteggiamento estetico. In base agli impegni semantici costitutivi della lingua, nel caso positivo del “mi piace” e del negativo “non mi piace” questi valori sono ottenuti sempre riconducendoli al soggetto, vengono costituiti come valori relativi, analogamente a come accade nella costituzione delle “sensazioni”1). Per ottenere il valore estetico positivo, “bello”, o negativo, “brutto”, occorre invece che il valore risultante dalle nostre operazioni venga ricondotto non tanto al soggetto, come prima, bensì alla cosa, come fosse una sua proprietà.
Gli artisti maggiori sono coloro che hanno saputo gestire, consapevolmente o meno, il dosaggio dei vari atteggiamenti per raggiungere il risultato desiderato. L’arte del regista, in questo senso, è quella che più di altre richiede una consapevolezza non comune circa il ruolo delle operazioni mentali. Lo spettatore è spinto a pensare in un certo modo, a sentire determinate emozioni, è tratto in inganno, ecc., solo così il regista riesce nella sua impresa.
Il ritmo è il principio organizzatore di qualsiasi azione o costruzione che si voglia esteticamente interessante. Poiché però il ritmo è considerato generalmente un osservato, tanto che si sente parlare di “percezione del ritmo”2) e come tale ha avuto molte definizioni metaforiche e contraddittorie (più di 400), desidero qui richiamarmi all’analisi del “ritmo” sviluppata in termini di operazioni mentali da Silvio Ceccato.
Come costrutto attenzionale un “ritmo” termina al cessare stesso delle operazioni costitutive, quindi al cambiamento di atteggiamento, mentre le “cose osservative” sulle quali esso è ottenuto possono durare anche molto più a lungo3).
Il “modulo sommativo” con cui costituiamo il “ritmo” può essere illustrato con dei tratti continui, indicanti la durata di costituzione sia delle Unità che del Rapporto, e tratti discontinui, indicanti il loro mantenimento di presenza:
In lettere possiamo rappresentarlo con due U, per le unità correlate, e un R, per il rapporto che le segue e correla:
U-U-R
Per far comprendere meglio la validità di quest’analisi rispondo qui alle critiche fattegli da Giorgio Marchetti nel suo “La Macchina Estetica” (2007). Le osservazioni critiche avanzate in questo libro non mi sembrano affatto smontare la validità del modello elaborato da Ceccato, equivocano più che altro su aspetti già valutati con cura da Ceccato stesso e permettono, chiarendo l’equivoco (voluto o meno), di riaffermarne la validità.
Quando Marchetti, a pag. 69 scrive che:
“il puro sommare e tenere presente i vari frammenti costitutivi dell’opera d’arte, infatti, non può rendere conto di come questi si rapportino l’un l’altro, di come essi interagiscano, si combinano e contribuiscono infine a stabilire un certo ritmo”
egli non sembra considerare che il “modulo sommativo” non è l’analisi operativa di un particolare ritmo, che per questo motivo non può presentare specificatamente nessuno dei rapporti da lui elencati: né di “simmetria” o “asimmetria”, né di “crescita” o “decrescita”, né di “flusso” o di “accumulo”, né di “conflitto” o di “soluzione”, né di “rapidità” o di “arresto”, né di “eccitazione” o di “calma”, ecc..
Quando Marchetti osserva che anche erigendo un muro dobbiamo porre attenzione ai suoi vari elementi perché non cada, concludendo che “Il puro mantenere mentalmente presente i vari pezzi e le varie relazioni non è perciò distintivo ed esclusivo del solo fare estetici e artistico” (pag. 71), sta trascurando almeno per il momento una considerazione fondamentale, ovvero che i rapporti ritmici vengono costituiti all’“interno” della “cosa”, che viene così “estetizzata”, mentre i rapporti strumentali sono costituiti all’“esterno” della “cosa”, che viene così “finalizzata”. Questi “esterno” ed “interno” sono chiaramente mentali, nulla impedisce infatti di passare da un atteggiamento all’altro, dal porre una situazione in chiave strumentale o in chiave estetica, oppure, di affrontare una certa situazione combinando più atteggiamenti per arricchirla con un dosaggio accurato di questi. Ad esempio, osservando un cavatappi in atteggiamento estetico posso porvi rapporti di simmetria o asimmetria; valutarne le proporzioni tra le parti in cui lo scompongo; posso costituirne il profilo ed operarvi una frammentazione ritmica; ecc.. Se invece miro ad usarlo solo per stappare una bottiglia i rapporti che vado ad instaurare non riguardano più solo il cavatappi, ma questo e la bottiglia da stappare. Se poi vogliamo applicare l’atteggiamento estetico ai due oggetti in questione, per ben disporli nella vetrina di un’enoteca o per aprire la bottiglia con eleganza e abilità, come fanno i barman acrobatici, è di nuovo all’interno di questi nuovi contesti mentalmente costituiti che si organizzano i rapporti ritmici.
Con l’esempio della costruzione del muro, Marchetti trascura il fatto che l’atteggiamento estetico, costitutivo dei ritmi, non di rado è applicato anche in aggiunta ad attività svolte in atteggiamenti meno piacevoli. Aggiunto all’atteggiamento lavorativo, per esempio, esso può rendere l’attività stessa meno estraniante e faticosa. Si pensi a tal proposito a certi canti di lavoro analizzati, sulla scia delle ricerche dell’antropologo russo Plechanov, da Dario Fo, nel suo spettacolo “Ci ragiono e canto” (‘66-’77) e nelle sue “Lezioni di teatro” (‘84). Solo più avanti Marchetti recupera molte delle analisi già fatte da Ceccato, descrivendo i rapporti costitutivi dei vari atteggiamenti: da quello ludico a quello lavorativo, da quello tecnico a quello magico o religioso, ecc., sottolineando come soltanto nell’atteggiamento estetico:
“le varie relazioni e i vari elementi sono riferiti l’uno all’altro, sono fini a sé stessi e non sono subordinati a nient’altro se non al loro reciproco rapportarsi.” (pag. 81).
A questo punto pure Marchetti nota che anche gli scopi secondari rientrano sempre e comunque nell’attività estetica, sotto forma di quello che egli chiama “inquadramento”. Ma ciò non costituisce una novità giacché lo stesso Gastone Zotto4)parlava di un “già fatto”5) mentale che è in grado di orientare e condizionare l’assunzione dell’atteggiamento estetico, e soprattutto Ceccato, a tal riguardo, recuperava abilmente l’etimologia della parola “contemplazione”:
“Un’osservazione che dovesse avvenire con una certa rapidità, non permetterebbe all’atteggiamento estetico di costituirsi, ed anche quando non trovasse un arresto, ci fosse cioè sempre del nuovo da guardare e da vedere, difficilmente avrebbe inizio l’atteggiamento. Di qui la “contemplazione” estetica, cioè l’orizzonte che si chiude, dal latino “templum” (greco tèmno, tagliare), e l’esteticità di un paesaggio naturale inquadrato, per esempio da una finestra. Né l’atteggiamento estetico si costituisce mentre sull’osservato si applica un altro atteggiamento, per esempio quello strumentale o economico. … Gli stati composti caratteristici dell’atteggiamento estetico sono certo numerosi ma sembra possibile isolare in essi la presenza costante dell’uno o dell’altro di due stati polari riconducibili ad un’unica attività.”6)
Nessuna novità quindi, infatti Marchetti usa la stessa etimologia proprio per definire l’“inquadramento”7).
In un bell’articolo di Ceccato sul rapporto tra arte e libertà egli rammenta come Stravinski si sentisse molto più libero proprio quando nella commissione di un’opera gli venivano fissati precisi limiti da rispettare. Ceccato smonta qui il pregiudizio, duro a morire, che l’arte abbia un legame speciale con la libertà. Ceccato mostra infatti che ogni azione può essere presentata come “libera” se:
“a) sia stata inserita in una alternativa; b) sia stata scelta in questa; c) sia stata vista compiuta. La libertà risulta dai due “potere”: quello della possibilità e quello della capacità; e presuppone una fantasia. L’inserimento nel quadro operativo di qualcosa di unico rende al contrario l’azione determinata, vincolata, condizionata, etc..”8)
Del “modulo sommativo” Marchetti critica il limite posto a tre elementi (U-U-R). Gli esempi da lui proposti del colonnato o del filare di alberi, rispetto ai cui elementi si può operare costituendo diversi raggruppamenti, sono derivati però spudoratamente dall’esempio, proposto spesso da Ceccato, delle file di punti che si possono variamente raggruppare. Marchetti suggerisce anche di pensare ai temi musicali “che sono composti da ben più di due note”, ma questo rasenta per me il ridicolo, può egli seriamente credere che il Ceccato musicista9) non ci abbia mai pensato?
Il “modulo sommativo” del “ritmo” (U-U-R), e il “modulo sostitutivo” del “pensiero” (U-R-U), sono presentati da Ceccato con i loro elementi costitutivi, sottolineandone principalmente il differente e caratterizzante ordine d’ingresso temporale. Marchetti però confronta i due moduli concentrandosi su un aspetto secondario, il meno rilevante, ovvero, il numero degli elementi. Egli trascura il fatto che porre un rapporto significa sempre costituire almeno due pezzi da correlare, con un terzo pezzo correlatore; che il numero delle unità aumenta con l’aumentare delle correlazioni; che le “unità” sono soprattutto dei costrutti mentali (nella metrica, per esempio, l’unità più piccola del verso è costituita dalle sillabe10), ma si possono prendere come unità anche i singoli versi per rapportarli tra loro). Nella costituzione di un “ritmo” ogni unità che si aggiunge viene costituita sempre tenendo presente quelle già fatte, per esempio: un passo può dirsi “uguale” al precedente, o “diverso” da esso, solo dopo averli confrontati tra loro. Il risultato del rapporto posto, cioè in questo caso il ritmo, non può che seguire la costituzione delle due unità e l’introduzione del rapporto, ma nulla impedisce di poter cambiare oltre al rapporto stesso anche le singole unità. Si possono costituire così “ritmi regolari”, “ritmi semiregolari” o “ritmi irregolari”11). Questo smonta la definizione comune del “ritmo” come “successione regolare nel tempo di qualcosa”.
In una frase come: “l’albero a destra / della finestra”, la “rima” verrà attenuata da chi non la trova affatto piacevole, oppure, accentuata da chi la ritiene essenziale nella versificazione. In assenza di parole che “rimano” tra loro si possono cercare “assonanze”, mentre è sempre possibile agire sugli “accenti”, creando contrasti con marcature “forti” e “deboli”.
Nella poesia la frammentazione in versi e l’invenzione di metafore mirano ad ostacolare la costituzione dei rapporti denotativi più comuni. Viene quindi valorizzato al massimo l’apporto individuale sia nella costituzione del ritmo che dei significati connotativi. In poesia il “ritmo” non è da confondere con gli schemi della “metrica”, è piuttosto il “principio organizzatore” del discorso poetico, al quale si assommano, i “valori sonori” ed i “valori semantici” delle parole che il poeta usa. La frase proposta, in una poesia o canzone, potrebbe apparire come segue:
Nel “pensiero” le unità sono inserite tra i due correlati, ad esempio: “cani e gatti”; “mangiare i fagioli”; ecc..
La frase di prima: “L’albero a destra della finestra” si può analizzare come “pensiero”, con uno schema d’ispirazione topologica, scomponendola in una prima microtriade e articolandola poi in triadi e macrotriadi:
nota: il punto, • , sta per il “correlatore di mantenimento”, la più semplice delle categorie di rapporto, costituita da un passaggio attenzionale da “cosa” a “cosa”, senza apportare né interruzioni né articolazioni più complesse.
Alla “memoria” si riconducono diverse funzioni: dal mantenimento di presenza dei vari costrutti, alla loro condensazione e ripresa; il già fatto può indurre a certi sviluppi, e questo vuol dire che ne inibisce altri.
Marchetti sostiene che il “modulo sommativo” non rende conto della possibilità, riscontrabile nella storia dell’arte, di rompere le convenzioni invalse.
Ceccato non ha mai sostenuto che il “modulo sommativo” costitutivo del ritmo, renda conto delle innovazioni dell’arte, ma il modello di Ceccato non è incapace di rendere conto delle innovazioni dell’arte. Ceccato ha scritto più volte in relazione al problema della “rottura degli stereotipi operativi”. Per esempio:
“Ecco così la mia comprensione per un accompagnare cose divenute linguistiche con cose che non sono divenute linguistiche, e nei cui confronti il presentatore potrebbe anche lasciare incerta l’alternativa, di assumerle comunque come segni, cioè come qualcosa che rimandi ad altro, o proprio come semplici percepiti, dai quali non staccarsi: sì, si tratta sempre di operazioni nostre, e come tali nel fondo omogenee, componibili. Tuttavia noi all’opera d’arte chiediamo qualcosa di ben preciso, che ci sostenga in una frammentazione ritmica attenzionale dell’operare, e questo sostegno è ottenuto proprio a prezzo di un bel numero di rigide convenzioni, di regolarità invalse ed imposte attraverso la ripetizione, fra cui figurano gli accenti, arsi e tesi, cesure, l’andare a capo del verso, etc.etc.. Anche la pittura e la musica hanno le loro, e con queste ci incatenano appunto alle frammentazioni e ai ritmi. Resterei così piuttosto guardingo di fronte ad un comporre che deliberatamente infrange un corpo di convenzioni tanto elaborato come quello linguistico ed in vista di una sollecitazione già tanto complessa come quella dell’opera poetica. Sicuramente si indebolisce la presa sul fruitore. E per ricostituire il patrimonio delle convenzioni occorrerebbe un lavoro molto lungo e di stretta collaborazione.”12)
Marchetti sostiene d’aver trovato l’origine dell’errore insito nell’analisi operativa dell’estetico, fatta da Ceccato, nella descrizione in termini fisici del “mantenere presente” dell’attività correlazionale, con una:
“effettiva coesistenza o presenza nello stesso tempo di più e diverse attività e cose.”13).
Qui Marchetti mi sembra poco corretto. Ceccato ha criticato fin quasi all’esaurimento l’errore fisicalista, accusarlo proprio di esservi incorso è davvero ingiusto, soprattutto se viene fatto con tanta superficialità. Per smentire Marchetti basta leggere questa affermazione di Ceccato:
“… quando il cibernetico ci racconta che con quattro elementi da lui prescelti e quattro regole per combinarli ed un po’ di numeri a caso egli ha fatto la macchina che “compone” musica, o poesia, o pittura, etc., non bisogna credergli. Egli ci sta ingannando e quasi certamente sta ingannando anche se stesso.”14)
Ceccato descrive la sua ricerca nei termini di una “circolarità” il cui “meccanismo” è ottenuto “istituendo tre ordini di ricerca” con i relativi “passaggi fra questi”. Nel primo “le cose sono assunte come oggetti, cioè come qualcosa che ci è dato e che ci si trova di fronte (ob-jectus; Gegen-stand; etc.)”. Nel secondo “le cose sono assunte come operazioni, cioè come qualcosa che si fa.”. Nel terzo, “le operazioni sono considerate come funzioni di organi, e questi sono individuati come osservati particolari, per esempio in parti del corpo umano.”15).
Una cosa è incidere il legno per ottenere delle “tacche”, un’altra è contare le “tacche”. Nel primo caso il legno viene modificato fisicamente, nel secondo caso le operazioni compiute non modificano il legno in alcun modo. Il primo ordine di operazioni è quello “trasformativo” l’altro è quello “costitutivo”.
Analogamente, un martello e l’incudine si possono localizzare spazialmente e categorizzare come “oggetti”, “strumenti”, “organi”, ecc. ma la “funzione” che si attribuisce loro non si può localizzare, essa si può solo attribuire a ciò che è localizzato, ed in questo caso si può indicare, a seconda dei rapporti, con un “battere”, con un “colpire” o un “picchiare”, ecc..
Con la localizzazione spaziale si costituisce l’ambito osservativo, quello delle situazioni fisiche, l’ambito mentale è invece quello costitutivo16).
Perché si possa parlare di qualcosa come di un “organo” occorre prima aver stabilito la “funzione” da attribuire alla cosa stessa, rendendola così un “organo” (in rapporto alla funzione stabilita). Quando parliamo di “corpo umano” pensiamo al complesso delle sue “membra”, mentre quando parliamo di “organismo umano” pensiamo allo stesso corpo suddiviso in più parti, che diventano “organi” per la funzione loro attribuita (la mancanza di un certo “organo” rende impossibile anche la “funzione” attribuita a quella parte dell’“organismo”).
Ceccato era consapevole che in questa tripartizione della sua ricerca ad ogni livello essa aveva precisi limiti, posti programmaticamente, alla analisi come alla sintesi. Nessuna nozione in essa presentata, a qualsiasi livello, poteva essere giudicata in sé “irriducibile”, o assoluta (es. per il muratore l’elemento primo può essere il mattone, ma non per chi fabbrica i mattoni).
La questione è da porsi in connessione anche col rifiuto di Ceccato del modello semantico di Vaccarino. Il sistema di Vaccarino ammette infatti la possibilità di una “attenzione interrotta”, mentre per Ceccato il contrario dell’attenzione attiva è sostanzialmente “l’encefalogramma piatto”. L’ipotesi di una “attenzione interrotta” può indurre a pensare, ma sbagliando, che si possa uscire dal meccanismo attenzionale. Tuttavia l’equivoco può e deve essere superato. Ceccato infatti afferma che:
“Un modo di operare dell’attenzione consiste nel suo applicarsi al funzionamento di altri nostri organi, funzionamento che in tal modo viene non solo reso mentale, ma anche frammentato, spezzettato, secondo unità che vanno pressappoco dal decimo di secondo al secondo e mezzo.”17).
Questo significa semplicemente che l’attenzione viene applicata ad un organo o all’altro, non che sia interrotta in senso stretto. D’altra parte Ceccato sostiene pure che le “categorie” vengono costituite con l’altro modo di operare dell’attenzione, quando essa viene applicata a se stessa, e Vaccarino su questo punto segue fedelmente Ceccato:
“I momenti attenzionali possono però prescindere dalla applicazione al funzionamento di qualche organo sensorio, cioè possono essere puri. In questo caso essi intervengono nella costituzione delle categorie, intendendo con questa parola i significati provenienti da operazioni mentali indipendenti dalla sfera osservativa.”18).
Ma cosa vuol dire applicare l’attenzione a se stessa? Potrebbe sembrare un’espressione metaforica (analoga a quella della retta che giace sul piano?) ma a ben considerare non è così: con l’attenzione operiamo per costituire una certa cosa, possiamo quindi tenerla presente con l’ausilio della memoria mentre ne costituiamo una seconda. Costituite queste possiamo operarvi in almeno due modi, ovvero, o ponendole in certi rapporti tra loro (consecutivo) o analizzandole ciascuna per suo conto riconducendole agli elementi con cui sono state costituite (costitutivo).
Quando analizziamo le categorie consideriamo le cose come risultato di operazioni costitutive e quindi non abbiamo bisogno di ricorrere alla “sfera osservativa”. Questo significa che la nostra indagine esclude sia il primo ordine di ricerca (quello in cui le cose si assumono come dati, oggetti, ecc.) che il terzo ordine d’indagine (quello in cui le operazioni sono considerate funzioni di organi, individuati questi in base alle funzioni attribuite, per esempio, a certe parti del corpo umano).
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Note
- ( Scrive Ceccato: “Per il freddo basterà appoggiare e tenere la mano appoggiata sulla superficie del tavolo. Ora però si consideri che cosa si faccia per passare da questo “freddo” alla sua sensazione. Entra in campo un “io”, un “mio”, che fra l’altro escludono, pena la contraddizione, che quella sensazione possa essere di un altro, mentre niente ostacolava che il freddo venisse pensato comune a tutti coloro che appoggiassero la mano. Questo è dovuto appunto all’aggiunta del soggetto all’operare costitutivo di quel freddo, e fornisce la definizione operativa della sensazione: operare + io.” (Da “La fabbrica del Bello” pag. 174. Rizzoli 1987). [↩]
- ( Il termine “estetica”, introdotto dal Baumgarten, viene dal greco “aistesis” ‘sensazione’. Baumgarten, da buon filosofo, non poteva sviluppare una consapevolezza circa l’operare mentale come costitutivo, egli tiene invece moltissimo a difendere la superiorità della conoscenza intellettiva, quella della logica e filosofia, rispetto a quella dei sensi, assegnata all’estetica. [↩]
- ( Voglio eliminare qui un possibile equivoco: le “cose osservative” di cui parlo non sono da intendere come “dati conoscitivi”, bensì come il risultato di altre operazioni, in un altro atteggiamento, in specie, dell’uso del modulo rapportativo costitutivo delle situazioni fisiche:
[↩]
- ( Per circa 25 anni ha collaborato alle ricerche di Silvio Ceccato nella Scuola Operativa Italiana (S.O.I.). Autore di vari testi, con Ceccato e G. Porzionato ha curato “Dalla Cibernetica all’Arte musicale”, Padova, Zanibon, 1978, raccolta delle relazioni del primo Seminario di Logonica. Ha avuto importanti incarichi in ambito didattico e come direttore di Conservatori. [↩]
- ( G. Zotto, “Dalla Cibernetica all’Arte musicale”, pag. 31. [↩]
- ( Silvio Ceccato, “La fabbrica del bello”, pag. 83. [↩]
- ( Giorgio Marchetti: “… l’inquadramento permette di stabilire anzitempo le coordinate entro cui si svolgerà l’attività, isolandone e ritagliandone l’ambito (ricordo l’etimologia di “contemplare”, dal greco témnein, “tagliare”, “suddividere”).” “La macchina estetica” pag. 91. [↩]
- ( “Esiste un rapporto tra arte e libertà?”. Corriere della Sera; Venerdi 29 dicembre 1978. [↩]
- ( E. von Glasersfeld ricorda che Ceccato: “In poco tempo aveva composto un’opera che fu presentata con il titolo “Le maschere di Don Giovanni”.” In “Studi in memoria di Silvio Ceccato”, Quaderni di Methodologia, n 7, pag. 17. Società Stampa Sportiva Roma 1999. [↩]
- ( La parola “sillaba” viene dal latino “syllaba”, dal greco “syllabé”, da avvicinarsi al “syllambanein” ovvero “prendere insieme”. Elemento della parola costituito da una o più suoni che si pronunciano insieme, con una sola emissione d’aria. [↩]
- ( Analogamente a quello che accade con le “tassellature periodiche”, “semi-periodiche” e “non-periodiche”. [↩]
- ( S. Ceccato “Cibernetica per tutti”. Primo Volume, pag. 151. Leggi anche a pag. 152: Quando il linguaggio musicale ha regole sue che non discute, melodiche, armoniche, contrappuntistiche, il contenuto del testo, anche se poetico, soggiace a queste leggi, rimane o quasi pretestuale; invece, quando il linguaggio musicale è in fase di trapasso, il contenuto letterario detta le sue leggi formali ed impone le sue ragioni espressive. Ancora una volta, cioè, il forte comanda sul debole; … Tuttavia, non si trarrebbe da questa storia tutto l’insegnamento che essa contiene, se non si spiegasse richiamandosi all’originalità dell’estetico, che non gli permette mai di identificarsi non solo con nessuna cronaca, ma anche con altri stati d’animo, affetti, emozioni, passioni, ecc., e nemmeno con il piacere o dolore che vi si accompagnano.”
Vedi anche alle pagg. 170-171: “…, i telegrammi e le facce degli uomini stanno separati finché Pitigrilli non scopre-inventa un tale “giallo come un telegramma.” Tuttavia una semplice rottura non basterebbe certo ad assicurare, non dico la genialità di una persona, ma nemmeno una sua coerente originalità. Per questo occorre che la matrice particolare, il pensiero particolare esercitino una azione filtrante e polarizzante su tutto il resto. Il fisico Bernardini mi diceva un giorno del fisico Fermi: “Era un olimpionico della fisica”; come Rossini era un olimpionico della musica, per cui la caduta di un piatto, la sassata su un vetro, il soffiare del vento e l’abbaiare di un cane erano note e soltanto note: “mi bemolle, fa, do!” Questa azione filtrante e polarizzante la chiamiamo atteggiamento.” [↩] - ( G. Marchetti “La Macchina estetica”, pag.72. Ed. Franco Angeli, 2007. [↩]
- ( S. Ceccato, “Cibernetica per tutti”, Primo Volume, pag. 147. [↩]
- ( S. Ceccato “Tappe nello studio dell’uomo”, Quaderni di Methodos n.1, pag. 72. Feltrinelli Editore Milano. 1959. [↩]
- ( Al sistema nervoso centrale è assegnato il ruolo di “organo” la cui “funzione” è quella di rendere possibili le operazioni mentali stesse. L’attenzione, corrispettivo mentale dell’energia nervosa, si può applicare, attraverso il sistema nervoso periferico, al funzionamento fisico delle diverse parti del corpo, “organi”, rendendo tale funzionamento mentalmente presente. [↩]
- ( S. Ceccato, Cfr. “La Mente vista da un cibernetico”, pag. 57. [↩]
- ( Giuseppe Vaccarino. “Prolegomeni”, pag.3. Ed. CIDDO. [↩]
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