Questo libro presenta, aggiornandolo e arricchendolo di nuovi contenuti, il catalogo de “L’Art biotech’” [1], una delle prime mostre di “arte biotecnologica”, quasi una prima mondiale, svoltasi nel 2003 a Nantes a cura di Jens Hauser.
L’argomento delle relazioni tra forme artistiche, scienze e tecnologie è ormai ben presente, anche nel nostro Paese, all’interno del panorama dell’arte. È presente come mutuazione – come rimediazione, per usare la terminologia coniata da Bolter e Grusin [2] per il territorio più generale della comunicazione – di stilemi e concetti tratti dalle scienze e dalle tecnologie, adattati, sia pure con vari limiti, alla dimensione artistica tradizionale. Ma è presente anche come dimensione operativa, al livello degli strumenti di cui gli artisti possono dotarsi per produrre arte, un approccio che ha dato luogo a molteplici e spesso notevoli esiti [3]. Grazie anche al contributo dell’arte, l’argomento critico delle relazioni tra scienze, tecnologie e società è emerso diffondendo idee, concetti, sensibilità, che hanno approfondito la percezione culturale dei “new media”, delle tecnologie informatiche e telematiche, della robotica, della “vita artificiale” e delle loro applicazioni [4].
Tuttavia, soprattutto dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso, sono apparse forme espressive collegate a strumenti e approcci del tutto diversi da quelli di derivazione informatica. Pure spesso condividendo alcune delle istanze provenienti dallo stesso quadro filosofico e scientifico generale di riferimento – l’idea di natura e di evoluzione, la corporeità, il concetto di vita… – e talvolta ibridandosi con tecnologie di derivazione informatica, queste nuove forme hanno fatto riferimento soprattutto alla dimensione organica, all’ambito della biologia, alle “discipline del vivente” (in linea con l’ascesa dell’importanza scientifica, culturale e sociale di queste discipline), dando origine a esiti che sono stati compresi, spesso indiscriminatamente, sotto i nomi generici di “bioarte”, di “arte biotecnologica”, di “arte genetica”, ecc. [5].
Nonostante la correlata ascendenza filosofica e tecnoscientifica e la condivisione di principi in parte comuni, queste nuove forme mostrano delle peculiarità che non possono essere ascritte a quelle precedenti. Detto in altri termini: al di fuori di una generica ispirazione comune è arduo considerare la bioarte come un’evoluzione delle forme artistiche basate sulla vita artificiale, sugli algoritmi, sulla robotica, sull’interattività, sull’“arte genetica”, sulle new media arts, sulle forme insomma di derivazione informatica. Sono esperienze nuove, anche quando si ibridano con le precedenti.
Per evidenziare le differenze, teorici, critici e artisti di queste nuove forme insistono in particolare sui termini di “rimaterializzazione” e di “presenza” [6]. Se le forme d’arte legate sostanzialmente all’informatica e alle tecnologie digitali, pur misurandosi anche con le questioni chiave della vita, rappresentano questi concetti mediante immagini, metafore e simulazioni al computer, spesso immateriali, le forme artistiche fondate sui processi e sugli strumenti biotecnologici presentano questi concetti mediante la stessa materia in cui essi agiscono, in cui sono attivi, mediante la stessa materia che li costituisce e definisce: la materia del vivente. Dunque, in luogo della simulazione [7] e dell’immaterialità ci sono l’autenticità e la presenza materiale, che si oppongono così, almeno apparentemente, alla tendenza all’immaterialità dell’opera d’arte descritta a partire dagli anni ’70 del secolo scorso [8] ed enfatizzata dalle tecnologie digitali di imaging e rappresentazione.
Pur nella varietà degli approcci possibili, su queste linee di fondo era stata imperniata la mostra di Nantes, considerata come una sorta di manifesto dell’arte biotecnologica, e l’attuale ricerca degli artisti presenti in questo libro e del curatore, si inquadra in questa matrice. Al commissario della mostra di Nantes, Jens Hauser, figura poliedrica di teorico, critico, docente universitario e creatore di programmi per la televisione culturale europea ARTE, va dato il merito di aver selezionato un corpus di artisti che mostrano una tendenza precisa e individuabile all’interno dell’arte contemporanea, in particolare nel suo rapporto con le tecnologie.
“Arte biotecnologica”, “bioarte”, “arte genetica”, “arte transgenica” [9]… Per dare conto delle articolazioni e delle differenze negli approcci è interessante partire da una serie di definizioni che George Gessert – artista e teorico che dal 1985 opera nell’ambito dell’arte genetica in campo vegetale – ha espresso in un messaggio inviato su Yasmin, mailing list sulle relazioni tra arti, scienze e tecnologie sponsorizzata dal programmaDigiArts dell’UNESCO [10]. Questo non per volere a tutti i costi inquadrare e classificare un fenomeno, che oltretutto è in fase di sviluppo, bensì per cercare di ricostruirne e comprenderne le discendenze, gli orientamenti e le relazioni.
Dunque, secondo Gessert:
– la “bioarte” è quell’arte che è viva o che è composta da elementi viventi. Non tutta la bioarte coinvolge le biotecnologie o le modificazioni genetiche. La bioarte comprende alcune forme di arte ecologica e di Land Art. L’arte che rappresenta o simula la vita non è bioarte: le simulazioni al computer dei processi genetici, dell’evoluzione, della crescita di piante, sono simulazioni della vita e non cose vive, dunque non sono bioarte.
– l’“arte biotecnologica” è quella bioarte che coinvolge le biotecnologie nel più ampio significato del termine, che include le manipolazioni genetiche e non di organismi, l’allevamento e la selezione di piante e animali, la manipolazione dei cromosomi, la coltura dei tessuti, ecc.
– l’“arte genetica” coinvolge il DNA nel più ampio significato del termine. Include opere che rappresentano, tramite media diversi, come la pittura, e simulazioni al computer di processi genetici.
– l’“arte transgenica” è quella bioarte che coinvolge l’ingegneria genetica.
Può essere interessante tradurre queste distinzioni nel grafico che segue [11]:
Questo grafico suggerisce alcune indicazioni. Innanzitutto il fatto che, tranne parte dell’arte genetica, le nuove forme “bioartistiche” sono sottoinsiemi dell’ambito più generale della bioarte, il quale comprende anche forme espressive storiche, come, per esempio, la Land Art e la performance. Possiamo anche notare come la bioarte – e conseguentemente i suoi sottoinsiemi, in parte l’arte genetica – sia compresa all’interno della chimica del carbonio, dell’organico: dunque, per queste forme espressive la materia su cui poggia l’opera, che la incarna, è fondamentale. All’opposto delle forme artistiche derivate dalla vita artificiale [12], che hanno cercato di separare le istruzioni che governano la vita (gli algoritmi, il software) dalla sostanza materiale di cui il “vivente” è costituito (l’hardware), creando all’interno di computer “organismi” sintetici con le caratteristiche del vivente e quindi cercando di estendere l’idea di vita a una dimensione più generale, universale, al di fuori della chimica basata sui composti del carbonio, di espanderla al di là della dimensione dell’organico, le forme bioartistiche sembrano invece legare il vivente all’organico, alla chimica del carbonio, alla materia di cui è costituito sulla Terra, riportandolo dunque alla dimensione più comune in cui lo conosciamo.
Il grafico mostra inoltre come l’arte genetica sia solo parzialmente compresa nella bioarte, e come abbia una propaggine significativa all’interno del dominio dell’inorganico. A partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, alcune delle opere tecnoartistiche più interessanti appartengono proprio a questo insieme nella sua estrusione al di fuori dell’organico [13]. Questo “ponte” tra organico e inorganico gettato, sia pure all’interno della dimensione artistica, dall’arte genetica appare particolarmente interessante perché riflette lo scambio tuttora in atto in ambito scientifico e tecnologico tra discipline diverse, che interagendo o ibridandosi arricchiscono le conoscenze dell’umanità (e quindi anche gli strumenti a disposizione dell’arte) e configurano nuove opportunità [14].
Restano sullo sfondo numerose problematiche, che le bioarti sollevano in maniera più acuta di altre forme artistiche. In primo luogo il concetto di “vita” e conseguentemente quello di “vivente”. Le bioarti sono fondate sul vivente ma di fatto noi non sappiamo definire che cos’è la vita. Se alla dimensione macroscopica dei nostri sensi siamo abbastanza certi di saper distinguere tra ciò che è vivo e ciò che non lo è o è inanimato, alla dimensione microscopica la certezza di questo confine sfuma, tanto che anche in ambito scientifico non c’è accordo in proposito. Per molti biologi non esistono confini chiari tra il vivente e il non vivente, ma sembra esserci un continuum, una transizione graduale. Luis Villareal, direttore del Center for Virus Research dell’Università della California a Irvine, sostiene che tra che ciò è vivo e ciò che non lo è c’è una gamma di situazioni intermedie [15]. La vita è forse anche una funzione della scala a cui la si osserva? Le fondamenta biologiche della vita ricapitolano forse le sue origini biologiche, dato che l’organico si è evoluto dall’inorganico [16]?
Di questa indeterminatezza, di questo continuum della vita, è consapevole l’arte biotecnologica. Secondo Oron Catts e Ionat Zurr, responsabili di The Tissue Culture & Art Project, ospitato da SymbioticA presso la School of Anatomy & Human Biology della University of Western Australia, “la capacità di manipolare la vita non solo crea nuove forme di vita e di vita parziale, ma costringe anche a riconsiderare le diverse interpretazioni di ciò che è la vita e del dissolversi dei confini nel continuum della vita” [17] Forse, anche grazie all’arte, la diffusione di interrogativi e la riflessione su concetti cruciali per la nostra cultura potrà aiutare a comprendere perché non siamo in grado di definire la vita.
Le bioarti aprono poi varie altre questioni sul fronte del sociale, riguardo alle pratiche impiegate dagli artisti e al ruolo stesso dell’arte nei confronti degli strumenti di derivazione biotecnologica e genetica. Abbiamo più difficoltà a relazionarci con entità organiche piuttosto che con organismi inorganici. Possiamo accettare le applicazioni e le promesse della robotica, ma siamo molto più suscettibili nei confronti dell’uso scientifico, medico, industriale, alimentare delle biotecnologie, delle discipline biologiche, della genetica… perché anche noi siamo fatti di pelle, cellule, geni, perché in fondo si tratta anche della “nostra” carne. Ciò è ancora più evidente nei confronti dell’uso artistico, basti pensare alle vicissitudini pubbliche di Alba, il coniglio transgenico proposto da Eduardo Kac, di cui è sempre stata vietata l’esibizione pubblica, o alle vicissitudini giudiziarie del Critical Art Ensemble (CAE) [18]. Ci sono dunque dei limiti negli strumenti che l’arte può usare? A quale livello si pongono? Questi limiti dipendono dal fatto che l’arte, a differenza della scienza, non ha finalità concrete, circoscritte e controllabili? L’arte deve limitarsi esclusivamente alla metafora, alla rappresentazione e alla simulazione? C’è il rischio che l’arte divenga una vetrina poetica o, peggio, una messa in scena delle possibilità delle tecnoscienze? Le scienze della vita, anche grazie all’arte, potrebbero trasformarsi nello show della vita?
Un’altra questione, rovente, riguarda le relazioni – più o meno consapevoli – che potrebbero instaurarsi con uno dei fantasmi più temuti: l’eugenetica, e conseguentemente l’eterno ritorno del Superuomo. Nel loro intervento all’interno di questo libro Oron Catts e Ionat Zurr ricordano l’attività di Alexis Carrel, il primo scienziato a sviluppare la coltura dei tessuti, Nobel per la medicina nel 1912, “considerato anche un mistico eccentrico e un fascista, o persino un eugenista collaboratore di Vichy” [19]. E, in tempi recenti, la polemica ha sfiorato filosofi come Peter Sloterdijk [20]. Nelle sue varie declinazioni, tale discorso – che attraversa dimensioni in cui s’incontrano scienza, biologia, genetica, bioetica – sarà inevitabilmente destinato a fare da convitato di pietra nelle esperienze dell’arte biotecnologia e, più in generale, delle bioarti.
Un’ulteriore questione cruciale – che traccia un’altra differenza con le arti a base informatica – riguarda l’assimilazione degli strumenti biotecnologici a quelli informatici, per esempio inquadrandoli in una logica basata sull’Open Source [21], in un loro utilizzo libero e in una loro agevole disponibilità. Ciò avrebbe la conseguenza di ampliare notevolmente l’uso di questi strumenti, che non sarebbero più confinati nei laboratori ufficiali di ricerca [22]. Tutto questo richiederà dei limiti? E a quale livello? Siamo alla vigilia della nascita di potenziali biohackers? E grazie ai recenti sviluppi della biologia sintetica arriveremo al “fai da te” genetico [23]?
Queste ed altre problematiche – sullo sfondo di una irrisolta e discutibile contrapposizione tra naturale e artificiale – danno conto della complessità delle questioni coinvolte nei processi della vita e implicano delle cautele per evitare la prospettiva di derive incontrollabili e irreversibili. Gli artisti delle biotecnologie vogliono stare dentro a questo processo nei suoi aspetti progettuali, nelle pratiche artistiche e performative. Piuttosto critici nei confronti della corrente DNAmania, gli autori che compaiono in questo libro tendono alla creazione della vita, vogliono discutere dei suoi principi in chiave filosofica, etica, sociale, culturale, compiendo un’originale riflessione sulla biodiversità, dilatando la dimensione del vivente… Ci auguriamo che loro lavoro possa essere d’aiuto in una riflessione allargata, cruciale, che non può più essere rimandata.
[Testo originariamente pubblicato come introduzione al libro di Jens Hauser (a cura di), Art Biotech, Bologna, Clueb, 2007]
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Note
- Jens Hauser (a cura di), L’Art Biotech’, Nantes, Filigranes Éditions, 2003. Catalogo della mostra svoltasi presso “Le Lieu Unique”, a Nantes (F), dal 14 marzo al 4 maggio 2003. [↩]
- Jay D. Bolter, Richard Grusin, Remediation, Milano, Guerini, 2002 [↩]
- Svariate edizioni di importanti manifestazioni sono state centrate sulle relazioni tra arti e scienze. Si vedano in particolare la Biennale di Nagoya [cfr. The Chunichi Shimbun (a cura di), ARTEC ’89, Nagoya, The Chunichi Shimbun, 1989]; Ars Electronica a Linz [cfr. Karl Gerbel (a cura di), Out of Control, Linz, Veritas-Verlag, 1991; Karl Gerbel, Peter Weibel (a cura di), Ars Electronica 93. Genetische Kunst – Künstliches Leben/Genetic Art – Artificial Life, Wien, PVS Verleger, 1993; Karl Gerbel, Peter Weibel (a cura di), Ars Electronica ‘94. Intelligente Ambiente, Wien, PVS Verleger, voll. 1 e 2, 1994; Gerfried Stocker, Christine Schöpf (a cura di), Memesis. The Future of Evolution, Wien/New York, Springer, 1996; Gerfried Stocker, Christine Schöpf (a cura di), Next Sex, Wien/New York, Springer, 2000; Gerfried Stocker, Christine Schöpf (a cura di), Hybrid. Living in Paradox, Ostfildern-Ruit, Hatje Cantz, 2005]; ArsLab a Torino [cfr. Claude Faure, Maria Grazia Mattei, Franco Torriani (a cura di), ArsLab. I sensi del virtuale, Milano, Fabbri Editori, 1995; Piero Gilardi, Bruna Piras (a cura di), ArsLab. I labirinti del corpo in gioco, Torino, Hopefulmonster, 1998]; Arte no Século XXI a San Paolo [cfr. Diana Domingues (a cura di), Arte Tecnologia, Caxias do Sul, UCS, 1995]; Subtle Technologies a Toronto [cfr. Camille Turner, Jessica Fung (a cura di), Subtle Technologies ’05, Toronto, 2005; P. Beesley, S. Hirosue, J. Ruxton, M. Tränkle, C. Turner, Subtle Technologies. Responsive Architectures, Toronto, Riverside Architectural Press, 2006]. [↩]
- Cfr. Ans van Berkum, Tom Blekkenhorst, Art * Science, Utrecht, Fentener van Vlissingen Fund, 1986; Pier Luigi Capucci, Arte e tecnologie. Comunicazione estetica e tecnoscienze, Bologna, Ed. dell’Ortica, 1996 (rilasciato in licenza Creative Commons e scaricabile dal sito Web http://www.noemalab.org/sections/specials/arte_tecnologie/main.html); Oliver Grau, Virtual Art. From Illusion to Immersion, Cambridge (MA), The MIT Press, 2003; Silvana Vassallo, Andreina Di Brino (a cura di), Arte tra azione e contemplazione, Pisa, ETS, 2003; Antonio Caronia, Enrico Livraghi, Simona Pezzano (a cura di), L’arte nell’era della producibilità digitale, Milano, Mimesis, 2006; Franz Fischnaller (a cura di), e-Art, Roma, Editori Riuniti, 2006. [↩]
- Cfr. Gianna Maria Gatti, L’Erbario Tecnologico, Bologna, Clueb, 2005; Eduardo Kac, Telepresence & Bio Art, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2005; la sezione “Hybrid Creatures”, in Gerfried Stocker, Christine Schöpf (a cura di), Hybrid. Living in Paradox, cit.; il workshop e simposio “Bio/Art and the Public Sphere”, tenutosi presso l’UCLA (Dep. of Design), Irvine, ottobre 2005; Emmanuelle de Roux, “L’art en mutation. Entretien avec le philosophe Yves Michaud”, Le Monde, 22 maggio 2006. [↩]
- Si vedano in particolare gli interventi di Jens Hauser all’interno del libro. [↩]
- Sulla simulazione si vedano Philippe Quéau, Eloge de la simulation, Seyssel, Champ Vallon-INA, 1986; Gianfranco Bettetini, La simulazione visiva, Milano, Bompiani, 1991; Domenico Parisi, Simulazioni. La realtà rifatta nel computer, Bologna, Il Mulino, 2001. [↩]
- Cfr. Lucy Lippard (a cura di), Six Years: The Dematerialization of the Art Object, London, Studio Vista, 1973 e Jean-François Lyotard, Thierry Chaput, Les immatériaux, Paris, Centre Georges Pompidou, 1985. [↩]
- Invece di “bioarte” Roy Ascott preferisce impiegare il termine moistmedia (cfr. Roy Ascott, “[YASMIN-msg] Exhibiting bioart – Yasmin discussion”, messaggio girato da Roger Malina alla mailing list Yasmin, 26 marzo 2006, http://www.media.uoa.gr/yasmin/. Altri termini utilizzati sono quelli di “Vivo Art”, “Wetwork Art”, “Live Art”. [↩]
- Cfr. George Gessert, “Re: [YASMIN-msg] Exhibiting bioart – Yasmin discussion”, messaggio inviato alla mailing list Yasmin, 25 marzo 2006, http://www.media.uoa.gr/yasmin/ [↩]
- Il grafico è stato realizzato da Pier Luigi Capucci e originariamente presentato, in versione inglese, nell’intervento “Le due articolazioni del vivente” al Convegno Internazionale di Studi “Dalla Land Art alla Bioarte”, tenutosi a Torino presso la Galleria d’Arte Moderna il 20 febbraio 2007 (cfr. http://www.noemalab.org/sections/arte_focus.php?IDFocus=205). [↩]
- La vita artificiale, emersa ufficialmente in occasione del primo convegno internazionale “Artificial Life I” organizzato da Christopher Langton nel 1989 a Los Alamos, sviluppa l’idea di studiare la vita – nella sua organizzazione nel singolo, nella sua dimensione sociale e nella sua evoluzione – simulandone delle caratteristiche. Come la robotica – e all’opposto dell’Intelligenza Artificiale – la vita artificiale ha un approccio dal basso verso l’alto dei comportamenti emergenti: a partire da elementi semplici arriva a configurare sistemi complessi. La vita artificiale simula per via informatica i processi della vita mediante programmi al computer, come il calcolo evolutivo (gli algoritmi evolutivi, gli algoritmi genetici, la programmazione genetica, la swarm intelligence, la chimica artificiale, i modelli basati su agenti e gli automi cellulari). Sull’argomento: Christopher G. Langton (a cura di), Artificial Life, Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1989; C.G. Langton, C. Taylor, J.D. Farmer, S. Rasmussen (a cura di), Artificial Life II: Proceedings of the Workshop on Artificial Life, Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1991. In Italia cfr. Domenico Parisi, “Vita artificiale e società umane”, Sistemi Intelligenti, anno VII, n. 3, dicembre 1995; Patrizio Silvi Antonini, Vita artificiale. Dal Golem agli automi cellulari, Milano, Apogeo, 1995; Domenico Parisi, “Mente come cervello”, Le Scienze, n. 431, luglio 2004. [↩]
- Cfr. Karl Gerbel, Peter Weibel (a cura di), Ars Electronica 93. Genetische Kunst – Künstliches Leben/Genetic Art – Artificial Life, cit.; Karl Gerbel, Peter Weibel (a cura di), Ars Electronica ‘94. Intelligente Ambiente, cit.; V. Mar¹ik, P. Jacovkis, O. Stepánková, J. Kléma (a cura di), Interdisciplinary Aspects of Human-Machine Co-existence and Co-operation, Prague, Czech Technical University, 2005; P. Beesley, S. Hirosue, J. Ruxton, M. Tränkle, C. Turner, Subtle Technologies. Responsive Architectures, cit. [↩]
- Cfr. Mark A. Reed, James M. Tour, “Molecole nel computer”, Le Scienze, n. 384, agosto 2000. Nadrian C. Seeman, “Nanotecnologie a doppia elica”, Le Scienze, n. 431, luglio 2004; W. Wayt Gibbs, “Vita sintetica”, Le Scienze, n. 430, giugno 2004. Anche, a cura del Bio Fab Group, “L’ingegneria della vita”, Le Scienze, n. 456, agosto 2006; Ehud Shapiro, Yaakov Benensono, “Arriva il computer a DNA”, Le Scienze, n. 457, settembre 2006. [↩]
- Luis P. Villareal, “I virus sono vivi?”, Le Scienze, n. 438, febbraio 2005, p. 43. [↩]
- Cfr. Sarah Simpson, “Le più antiche tracce di vita”, Le Scienze, n. 417, maggio 2003; Michael Russell, “Agli inizi della vita”, Le Scienze, n. 454, giugno 2006. [↩]
- Oron Catts, Ionat Zurr, “The Ethics of Phenomenological Engagement with the Manipulation of Life”, saggio inedito, corrispondenza personale con Franco Torriani, p. 1. Il sito web di SymbioticA è http://www.symbiotica.uwa.edu.au/ [↩]
- l CAE (http://www.critical-art.net/) opera nell’informazione sulle biotecnologie, sulla tecnologie della comunicazione e sui media. Il loro progetto comprendeva un laboratorio mobile per l’estrazione del DNA per testare i cibi acquistati nei comuni negozi di alimentari e individuare possibili contaminazioni transgeniche. I test del Dipartimento della Salute Pubblica hanno mostrato che non vi erano rischi sanitari, che l’attrezzatura non è stata usata per scopi illegali e che non era nemmeno possibile usare questo equipaggiamento per produrre germi pericolosi o armi batteriologiche. Inoltre negli Stati Uniti chiunque può legalmente procurarsi e possedere questa attrezzatura. Cfr. http://www.caedefensefund.org/; Anna Munster, “Why Is Bioart Not Terrorism?: Some Critical Nodes in The Networks of Informatic Life”, Culture Machine [↩]
- Oron Catts, Ionat Zurr e Guy Ben-Ary “Che cosa/Chi sono gli esseri semi-viventi creati da Tissue Culture & Art?”, all’interno di questo volume. Secondo questi autori Carrell potrebbe essere considerato, invece di Watson e Crick, uno dei pionieri della medicina rigenerativa. Cfr. Oron Catts, Ionat Zurr, “The Ethics of Phenomenological Engagement with the Manipulation of Life”, op. cit., p. 13. [↩]
- Cfr. Peter Sloterdijk, Regeln für den Menschenpark. Ein Antwortschreiben zu Heideggers Brief über den Humanismus, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1999. Verso la fine del secolo scorso è nato un intenso dibattito, particolarmente sensibile in Germania, che si è esteso in Francia, in Olanda e in altri Paesi europei (Cfr. Lucas Delattre, “Biotechnologies et ‘posthumanisme’: les chemins tortueux d’un débat de fond”, Le Monde, 29 settembre 1999). Per un filosofo/antropologo come Bruno Latour non è vero che l’“insopportabile Sloterdijk” avrebbe giocato con l’eugenismo “disprezzando ogni pericolo, quando invece ha preso la penna in mano per impedire ai suoi avversari di minimizzarlo! Bell’esempio di incomprensione…”. Cfr. Bruno Latour, “Sloterdijk l’insupportable”, Le Monde des débats, novembre 1999 (disponibile online anche su http://1libertaire.free.fr/sloterdijk08.html). [↩]
- Cfr. Cambia, istituto indipendente di ricerca australiano che ha attivato la BiOS (Biological Open Source) Initiative e altre iniziative per fornire conoscenze e tecnologie (http://www.cambia.org/). [↩]
- Cfr. Yves Eudes, “Les pirates du génome”, Le Monde, 17 settembre 2002. [↩]
- Cfr. Alessandro Quattrone, “C’è un Open Source anche per il biotech”, Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2006. [↩]
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