Lev Manovich (http://www.manovich.net/) era presente a Timeshift, l’edizione del venticinquennale di Ars Electronica a Linz. E’ intervenuto ad un incontro con stampa e partecipanti il 7 Settembre 2004.
Presentandosi, Manovich ha ripercorso la storia della sua vita come una continua ricerca dei rapporti fra luce e tecnologia, sia dagli inizi della sua esperienza in Unione Sovietica che nel mondo occidentale. L’elemento notevole notato da Manovich è stata la forte correlazione fra capitale tecnologico e clima politico degli stati che ha visitato. In Unione Sovietica si è trovato in un momento di sperimentazione tecnologica in cui si stavano compiendo i primi studi sulle interfacce, una sperimentazione che porterà a sperimentazioni sui linguaggi dei network, fino all’espansione del World Wide Web. Successivamente egli è approdato negli Stati Uniti intorno agli anni sessanta del secolo scorso, proprio nel momento in cui i vecchi media stavano avendo il massimo dell’audience e del successo, e successivamente ha assistito al momento successivo in cui il broadcast venne scavalcato dai nuovi media. Per lui il clima in cui si è trovato a vivere negli anni sessanta è stato molto simile a quello che può essere stato il clima delle Avanguardie, un clima di grande fermento rivoluzionario: ci si sentiva come se reinventando le interfacce si potesse reinventare qualunque cosa. Mentre i media tradizionali erano governati da una logica vicina a quella delle macchine, i nuovi media sono governati dalla logica del software e dalle logiche delle interfacce visive.
Interrogato sul suo celebre libro Il linguaggio dei nuovi media, Manovich ha sottolineato come il testo, scritto nel 1996, si proponga come una lettura del clima comunicativo degli ultimi 45 anni. La comunicazione, soprattutto quella di Internet negli ultimi anni, sta portando ad un aumento vertiginoso del “Noise”, del “rumore comunicativo”, e Manovich come molti altri intervenuti ad Ars Electronica quest’anno inizia ad auspicare ed ad ipotizzare l’avvento di un nuovo canale comunicativo dopo Internet che porti una stessa libertà espressiva, ma con una sostanziale riduzione del rumore, della comunicazione ridondante e non sostenibile rappresentata da Internet (pensiamo alle mail indesiderate, alle troppe mail ricevute a cui materialmente non si riesce a dare una risposta, o al proliferare di siti simili sugli stessi argomenti).
Sul tema della rappresentazione, Manovich considera la capacità dei mezzi di rappresentazione di ricostruire la realtà (pensiamo a film, foto e televisione), così come la forte spinta dei mezzi visuali digitali di poter costruire degli archivi di immagini, che possono essere montati o mixati in una logica di fruizione post moderna. In definitiva, in questa logica, gli archivi possono essere considerati una risorsa attiva per la creazione di nuovi contenuti, o di costruire nuovi percorsi fra gli stessi contenuti.
Interrogato sui nuovi scenari lavorativi che i nuovi media stanno aprendo, Manovich ha presentato il caso dell’opera premiata con la Golden Nica quest’anno – un’opera interattiva con le maggiori chat di internet, che andava a ricercare frasi su argomenti variabili per riproporle su un gran numero di piccoli display disposti ad emicerchio in una sala ovattata e riempita di suono – ed ha posto a sua volta la questione di cosa accade quando grosse aree della società divengono governate dal software. E’ il software che governa la vita, o la società che va a ridefinire il software per le proprie necessità?
Riprendendo il tema di uno dei quattro grandi topic delle conferenze di Ars Electronica di quest’anno, Manovich ha ripreso il tema di “Disruption”, facendo emergere la necessità di far errori, una sorta di capacità artistica dell’errore, in cui l’arte interattiva si va a mettere in discussione con l’arte contemporanea, con il suo costante lavoro di re-interpretazione delle tematiche o dei modelli del passato in una logica di network creativo. Fare arte diviene un processo logico, un processo in cui le logiche digitali vengono amplificate al servizio dell’arte “tradizionale”.
Riguardo ai suoi più recenti progetti, come SoftCinema, Manovich ha dichiarato che si tratta di unire il linguaggio tradizionale del medium cinematografico con il linguaggio del video digitale, per permettere di vedere altre logiche di costruire cinema.
Sui più importanti progetti presentati a questa edizione di Ars Electronica, come Wikipedia, o il lancio della licenza Creative Commons in Austria, Manovich ha dichiarato di come essi sono esempi di come il social dividevenga colmato dal software, e di come il digitale porti l’arte al di fuori dei musei per avvicinare l’espressione artistica ad altri ambiti della società.
Le istituzioni per Manovich infatti risultano lente a riconoscere ed a porre le nuove forma di espressione artistiche nei musei insieme a quelle tradizionali. Il museo del futuro deve essere un non-luogo, uno spazio virtuale dove possano esistere opere del passato insieme alle opere delle moderne pratiche artistiche supportate dalle tecnologie digitali.
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