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La materia ambientale risulta all’attuale uno degli argomenti senza dubbio più interessanti e delicati dal punto di vista del legame umano con il proprio territorio.
Già da tempo grande attenzione è stata dedicata al tema ambientale da parte dei media e delle istituzioni di tutto il mondo; con sempre maggiore urgenza, i problemi dell’inquinamento dell’aria e delle acque, del riscaldamento globale, dei cambiamenti climatici e geologici, della produzione dei rifiuti e della tutela delle varie biodiversità faunistiche e vivaistiche a rischio di estinzione (anche a causa del drastico cambiamento morfologico di intere zone del pianeta dovute ad incendi, disboscamento e ad altri interventi umani) sono al centro dell’agenda pubblica.
Tra le questioni ambientali che affliggono il pianeta, quello dei cambiamenti climatici è certamente uno dei più complessi da affrontare ed anche il più recente in termini cronologici. Fenomeni quali l’alterazione dei cicli delle stagioni, la limitatezza delle risorse idriche, il moltiplicarsi di incendi devastanti spesso dolosi, la riduzione sempre più massiccia dei ghiacciai e le grandi migrazioni umane per via delle guerre o per motivi ambientali, danno un’idea dell’urgenza e della vastità del problema. Un’analisi ben articolata e approfondita delle azioni governative sinora adottate dai vari paesi (anche e soprattutto alla luce dei grandi disastri ambientali avvenuti nel passato recente che hanno portato all’adozione di protocolli garanti della salute pubblica mondiale) può fornire una indicazione di massima sulla quale costruire basi politiche di ampio respiro e a lungo termine. Potrebbero emergere soluzioni comuni in grado di migliorare la qualità della vita e tutelare la Natura stessa.
Nonostante il fiorire delle iniziative informali locali e settoriali, la società civile fatica a dare senso, organicità e fondamento giuridico a trasformazioni necessarie degli stili di vita al fine di conquistare un miglior equilibrio sul Pianeta; le industrie stentano ad accettare paradigmi più corretti per ridurre e razionalizzare il consumo delle materie prime, avviarsi a modelli di economia circolare reale nell’ambito di uno sviluppo effettivamente sostenibile.
È necessario comprendere alcuni concetti di base, ad esempio la differenza tra ecologia ed ecologismo.
L’oggetto proprio dell’ecologia è il rapporto tra l’uomo, gli animali e le piante: l’ecosistema viene definito come “una struttura completa di esseri viventi in relazione tra loro e con il loro ambiente inorganico, che è completamente aperta, ma capace fino a un certo grado di autoregolarsi” [1] e studia i danni ambientali che possono conseguire da fattori umani (come il prelievo di risorse animali, vegetali e minerali dall’ambiente naturale, l‘immissione nell’ambiente di residui organici o inorganici provenienti dalle attività di consumo e di produzione, la modifica delle caratteristiche delle specie naturali), con la conseguente perdita delle biodiversità esistenti. Si tratta di una disciplina scientifica che spesso ha spinto e raccolto la voce popolare, denunciando informalmente molte delle violazioni attuate dalle grosse multinazionali in nome del progresso, ma a discapito della salubrità dell’ambiente.
Le prime pagine di storia del dibattito ecologico vennero scritte dagli studiosi di economia del XVIII secolo, i cui capostipiti furono Thomas Malthus (1766-1834), John Stuart Mill (1806-1873) e più tardi William Stanley Jevons (1835-1882). Il dibattito sull’ecologia riguardava principalmente il concetto di “limite della Terra e delle sue risorse” [2]. Malthus suggerì di controllare le nascite tra le classi meno abbienti decurtando loro i sussidi statali, poichè in futuro l’aumento della popolazione mondiale avrebbe determinato una insufficiente disponibilità di cibo [3].
Nel 1864, dalle osservazioni geografiche di G.P. Marsh [4], nacque uno fra i primissimi studi su come l’azione umana fosse in grado di causare alterazioni notevoli dell’ambiente.
L’ecologia come viene intesa attualmente, è una disciplina scientifica di tipo naturalistico nata nella seconda metà del secolo scorso (l’invenzione del nome è attribuita al biologo tedesco Ernst Haeckel che lo avrebbe usato per la prima volta in un suo libro del 1866) con oggetto di studio i rapporti fra gli esseri viventi e l’ambiente fisico circostante, implicando l’analisi dei cicli naturali delle catene alimentari (produttori – consumatori – decompositori) e le dinamiche tra le popolazioni vegetali e animali in rapporto ai cambiamenti ambientali.
L’ecologismo, anche detto ambientalismo (environmentalism), è invece una teoria corrente e pertanto dà vita ad una disciplina di tipo sociale, il cui oggetto è il medesimo dell’ecologia (come l’attività umana condiziona e interferisce con l’ambiente), ma essenzialmente in senso politico e nata dall’osservazione dei danni ambientali e dello sfruttamento della natura derivanti dalla speculazione prettamente capitalistica.
Le pratiche autarchiche antiche sono state recentemente rivalutate, poiché hanno spinto ad elaborare tecniche intermedie di recupero utili soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
A titolo di esempio si può ricordare che, durante la prima crisi petrolifera del 1974-1984, il governo degli Stati Uniti spinse alcuni suoi studiosi a riesaminare gli archivi prelevati nella Germania nazista per reperire informazioni sulla produzione di benzina sintetica dal carbone; la raccolta dei rottami di ferro ha spinto alla creazione di processi per produrre l’acciaio dai rottami; in siderurgia sono stati inventati processi (le torri Cowper) per il recupero del calore dei fumi, ossia per il risparmio energetico; la produzione di carta proveniente dalla stoffa è un altro metodo mutuato dal passato.
A metà degli anni Sessanta, la storia della conservazione della natura [5] fu animata da esperti di ecologia che furono i reali promotori di leggi a tutela della natura, per la costituzione di parchi conservativi dei vari ecosistemi di particolare rarità e valore naturalistico, per la protezione di animali in via di estinzione e delle zone umide, per la lotta contro gli incendi dolosi.
I movimenti di conservazione della natura, dei beni culturali e di lotta agli inquinamenti sono presto diventati associazioni (Italia Nostra, WWF, Club di Roma, poi Greenpeace e Legambiente) che si sono mobilitate per il riconoscimento di nuovi diritti, come il diritto all’aria pulita [6]. Ma tali iniziative si scontrarono subito con gli interessi economici delle compagnie turistiche, petrolifere e minerarie e di quelle interessate al taglio del legname.
L’indagine sulla storia di alcune associazioni non è facile, perché scarseggiano documenti e archivi [7].
L’ecologia in senso stretto è una disciplina il cui oggetto di studio è l’ecosistema, e include studi sulla biologia e le scienze della Terra, mentre l’ambientalismo è un movimento di contestazione politica contro il capitalismo non sostenibile.
Per il loro contenuto, tali discipline insieme hanno dato vita nel XX secolo ad una serie di altre aree di studio relativamente nuove, come la landscape ecology (o ecologia del paesaggio), la storia della conservazione dei beni storici e culturali, l’economia ecologica, la storia dell’ambiente (una specie di storia della geografia e del paesaggio intrecciata con la storia dell’agricoltura, dei boschi e dell’uso del territorio) e molte altre discipline meno conosciute, come la storia dell’analisi degli ecosistemi urbani [8] o la bioeconomia [9].
Tutte queste aree di studio che riguardano la natura fanno parte delle Scienze Ambientali, grande campo accademico di recente creazione, la cui caratteristica principale è l’interdisciplinarietà, comprende scienze fisiche e sociali e fornisce ai problemi dell’ambiente soluzioni con un approccio integrato.
Il pensiero ecologista o ambientalista si è sviluppato negli ultimi decenni soprattutto in seguito ad alcuni disastri ambientali avvenuti per causa umana.
Nel 1983, a seguito di una risoluzione dell’Assemblea Generale ONU, fu istituita la Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), con l’obiettivo di elaborare un’agenda globale per il cambiamento.
Il Rapporto Brundtland del 1987 (conosciuto anche come Our Common Future) è un documento pubblicato dal WCED in cui, per la prima volta, venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, definito come “uno sviluppo che soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”: tema sviluppato negli anni seguenti, tanto da essere ancora oggi un obiettivo da perseguire e raggiungere nei prossimi decenni.
Tale definizione fa riferimento al benessere delle persone in rapporto alla qualità ambientale, in nome della responsabilità etica da parte delle generazioni d’oggi nei confronti delle generazioni future. Tale principio tocca due aspetti centrali dell’ecosostenibilità: il mantenimento delle risorse e l’equilibrio ambientale del Pianeta.
Secondo il Rapporto, le attività produttive si possono considerare sostenibili quando non alterano l’ambiente e riescono a mantenersi vitali per un tempo indeterminato. Ciò tende a garantire la redditività del territorio nel lungo periodo con obiettivi di compatibilità ecologica, socioculturale ed economica.
Nel Rapporto si legge:
Ambiente e sviluppo non sono realtà separate, ma al contrario presentano una stretta connessione. Lo sviluppo non può infatti sussistere se le risorse ambientali sono in via di deterioramento, così come l’ambiente non può essere protetto se la crescita non considera l’importanza anche economica del fattore ambientale. Si tratta, in breve, di problemi reciprocamente legati in un complesso sistema di causa ed effetto, che non possono essere affrontati separatamente, da singole istituzioni e con politiche frammentarie. Un mondo in cui la povertà sia endemica sarà sempre esposto a catastrofi ecologiche d’altro genere. […] L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità di soddisfacimento dei bisogni di quelle future.
La seconda Conferenza ONU del 1992, svoltasi a Rio de Janeiro ed intitolata “Ambiente e sviluppo”, contribuì a costruire una serie di azioni politiche volte a mettere in atto concretamente il principio dello sviluppo sostenibile [10]. Tema centrale della Conferenza, fu il cambiamento climatico: nell’occasione, fu redatta la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), sottoscritta da 154 nazioni. L’obiettivo, seppur non vincolante, diventò quello di ridurre le concentrazioni atmosferiche dei gas serra per “prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre”. Tale obbligo era rivolto principalmente ai Paesi industrializzati, che dovevano riportare, entro il 2000, i valori dei gas serra al 5% in meno rispetto ai valori del 1990: poiché i Paesi firmatari hanno tassi di sviluppo industriale molto diversi tra loro, si stabilì che le responsabilità sono comuni, ma differenziate, con maggiori oneri per i Paesi più sviluppati (essendo anche i maggiori inquinatori), così come indicato nell'”Allegato I” dell’UNFCCC.
Dal 1994, le parti si sono riunite annualmente nella Conferenza delle Parti (COP) per monitorare i progressi del programma della Conferenza UNFCCC e per stabilire azioni giuridicamente vincolanti sempre più adatte allo stato dell’arte.
A Rio de Janeiro, i Paesi partecipanti hanno provveduto a stilare un documento molto importante, l’Agenda 21 [11], che enuncia 27 principi suddivisi in 40 capitoli, al fine di organizzare una pianificazione completa delle azioni governative di tutto il mondo per conseguire i risultati cui le Parti aspirano.
L’Agenda 21 conia linee-guida nuove che danno indicazioni su come svolgere questa grande opera di salvataggio della natura a livello globale.
La corresponsabilizzazione suggerisce che tutti gli interlocutori sociali (cittadini, amministrazioni, aziende e loro azionisti) debbano partecipare attivamente con il proprio contributo. Ciò implica che i Governi sono tenuti a sensibilizzare gli stakeholders citati, incentivando l’azione sinergica tra le diverse amministrazioni e gli utenti, nonché fra le aziende e i consumatori. Ognuno deve comprendere il proprio ruolo strategico, che non ha più una gerarchia, ma diventa un processo sempre più partecipativo e democratico (principio della governance orizzontale). Come indicato al capitolo 28, le autorità locali devono realizzare un’agenda locale ai fini della realizzazione degli obiettivi.
Oltre alla costruzione di una visione condivisa da parte della comunità globale, anche grazie al principio di sostenibilità che viene esteso a tutte le politiche di settore, l’Agenda 21 mira a creare partnership di ogni genere, fondate su un nuovo modo di intendere il rapporto pubblico-privato, per la concreta realizzazione di azioni concertate per lo sviluppo sostenibile. L’esecuzione da parte degli Stati membri resta volontaria.
Nei primi anni Novanta, Mathis Wackernagel e William Rees [12] dell’Università della British Columbia condussero uno studio per trovare un indicatore che consentisse di misurare la domanda di risorse naturali da parte dell’umanità, l’Impronta Ecologica. Essa misura quanta superficie terrestre e quanta acqua l’uomo necessita per produrre le risorse che consuma (anche tenuto conto della tecnologia che dispone) e il tasso di rigenerazione necessario a riassorbire poi i rifiuti prodotti. Secondo i loro studi, attualmente l’umanità usa l’equivalente di 1,3 pianeti ogni anno. In altre parole, le risorse utilizzate in un anno necessitano di 1 anno e 4 mesi per rigenerarsi. Se tale trend continua invariato, nel 2050 avremo bisogno dell’equivalente di due pianeti per soddisfare i nostri bisogni.
Nel 2000, il Premio Nobel per la Chimica Paul J. Crutzen e il biologo Eugene F. Stoermer suggerirono di definire l’era geologica presente con il termine di antropocene [13], sostenendo che l’impatto antropico sull’ambiente sta avendo effetti visibili che causano cambiamenti nell’equilibrio dell’ambiente e del clima.
Il Protocollo di Kyoto ritenne il problema dei cambiamenti climatici un’urgenza di carattere mondiale. Esso fu firmato da oltre 180 Paesi nel dicembre 1997 a Tokyo.
Assieme al Protocollo, fu adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).
La COP 25, precedentemente prevista nella città di Santiago del Cile nel dicembre 2019, fu spostata a Madrid in seguito ad una sommossa del popolo cileno nelle ore del summit. Nel 2019, alcuni milioni di cittadini sono scesi nelle piazze di tutto il mondo per chiedere ai governi risposte forti e immediate per l’emergenza climatica e per l’ingiustizia sociale che vivono quotidianamente, poiché tale crisi rischia di compromettere il futuro dei più giovani. Mobilitazioni e proteste hanno paralizzato soprattutto il Cile, dove era prevista la Conferenza. Grazie alla disponibilità del governo spagnolo, la COP25 si tenne infine a Madrid, importante prima concreta risposta dei Governi alla mobilitazione popolare e al crescente allarme del mondo scientifico.
L’Emissions Gap Report, pubblicato da UN-Environment pochi giorni prima dell’inizio della COP25, evidenzia l’urgenza di ridurre più velocemente le emissioni nei prossimi dieci anni, per poter contenere il surriscaldamento del Pianeta entro la soglia critica di 1,5°C. Per centrare questo obiettivo, i Governi (secondo il rapporto) devono aumentare di almeno cinque volte gli attuali impegni fissati al 2030. Il rapporto lo ritiene un impegno ambizioso, ma possibile soprattutto per i paesi del G20, responsabili di circa l’80% delle attuali emissioni globali.
La questione più spinosa è il ricorso ai meccanismi di mercato flessibili previsti dall’Accordo di Parigi del 2015.
Alla Conferenza, in relazione al sistema di aiuti (Warsaw International Mechanism for Loss and Damage, WIM), le comunità dei Paesi poveri colpite da disastri climatici hanno manifestato la necessità di un impegno chiaro e la disponibilità di denaro entro il 2022 per affrontare una rapida ricostruzione e una ripresa economica, evitando così anche il preoccupante aumento dei profughi climatici. Devono essere disposte altre risorse aggiuntive per attivare le azioni di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici, privilegiando le sovvenzioni rispetto al diffuso ricorso ai prestiti. Il meccanismo WIM tratta appunto dei trasferimenti di denaro che il Nord del mondo dovrà garantire ai Paesi più poveri, che erano già stati promessi a Copenaghen nel 2009.
La conferenza di Madrid si chiuse senza grandi accordi, ma soltanto alcuni rinvii, a causa della grande distanza tra governi, società civile e scienza.
Le regole sul nuovo meccanismo di scambio quote sono state rimandate alla prossima sessione, poiché l’Europa da sola non basta. Vi deve essere la collaborazione delle amministrazioni cinesi e USA. Molti governi (fra cui Brasile, Australia, Giappone e India) hanno ostacolato fortemente i negoziati, non essendo pronti a proporre nuovi NDC.
Cina e India attualmente sono responsabili di oltre un terzo delle emissioni mondiali di CO2.
Alla COP25 è stato approvato il Piano per l’azione di genere (Gender action plan, GAP), programma volontario dedicato alla promozione dei diritti delle donne e della loro rappresentazione e partecipazione nelle politiche climatiche, nonostante fosse stata rimossa la tutela dei diritti umani nel testo della bozza approvata alla COP24 di Katowice.
Le associazioni e le Organizzazioni Non Governative hanno chiesto di rendere vincolante il rispetto dei diritti umani e la possibilità di accedere direttamente al Green Climate Fund.
Nel maggio 2019, è nata la Rete Europea di informazione e osservazione in materia ambientale EIOnet (European Environment Information and Observation Network), frutto di partnership tra l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) e i suoi Paesi membri. Tramite la Rete EIOnet, l’AEA riunisce le informazioni ambientali dei singoli Stati, che si impegnano nella puntuale fornitura di dati ambientali pertinenti e attendibili [14]. Alla rete EIOnet collabora attivamente l’ISPRA, che rappresenta l’Italia in Europa.
Nel gennaio 2020, il Parlamento europeo ha approvato la nuova Strategia Climatica del Consiglio, il Green Deal, patto verde per l’Europa presentato dalla Commissione nel dicembre 2019 [15] e comprendente alcune raccomandazioni per il lungo termine, con l’obiettivo di realizzare un’Europa climate neutral entro il 2050 con zero emissioni, sulla base di alcune relazioni [16] pervenute da istituzioni scientifiche di alto livello.
Le stime attuali della Commissione ritengono possibile raggiungere una riduzione almeno del 45% delle emissioni di gas-serra. Ma tale obiettivo non risulta sufficiente: l’Europa può e deve ridurre drasticamente le sue emissioni per raggiungere zero emissioni nette in modo economicamente efficiente entro il 2040.
La Strategia climatica deve creare le necessarie condizioni politiche per accelerare la decarbonizzazione dell’economia europea. Il nuovo Green Deal Europeo dovrebbe essere inoltre supportato dalla prossima creazione di una Banca Europea per il Clima [17].
Il Green New Deal è un nuovo contratto sociale con i cittadini europei per avere un’Europa con economia circolare e libera da fonti fossili, con l’ulteriore obiettivo di ispirare l’azione degli altri Governi mondiali, dimostrando che il passaggio alla neutralità climatica non è solo imperativo, ma anche fattibile.
La Strategia è stata inoltrata alla UNFCCC, come previsto dall’accordo di Parigi. Il Consiglio ha invitato inoltre i singoli Stati membri a preparare le strategie nazionali da presentare all’UNFCCC entro il 2020.
In Italia, sulla nuova Strategia, si è espresso anche il Ministro dell’ambiente Sergio Costa, auspicando un sostegno finanziario per la decarbonizzazione dell’ex Ilva, che potrebbe puntare a nuove tecnologie, come quella dell’idrogeno e per la bonifica dei fanghi rossi del Sulcis [18].
Il Green New Deal contiene anche la Strategia per la biodiversità con obiettivi al 2030, intervenendo in tutti i settori politici con una transizione il più possibile equa e inclusiva. L’intenzione è quella di trasformare l’impegno politico in un obbligo giuridico e in un incentivo agli investimenti e alle partnership internazionali.
L’Unione intende sostenere finanziariamente ed assistere le persone, le imprese e le regioni più colpite dal passaggio all’economia verde.
La biodiversità e gli ecosistemi sono la fonte primaria alla base di tutte le attività umane, filtrano l’aria e l’acqua, contribuiscono all’equilibrio climatico, trasformano i rifiuti in nuove risorse, impollinano e fertilizzano le colture.
La natura fornisce posti di lavoro, soprattutto per ripristinare le foreste antiche, i suoli e le zone umide e creare spazi verdi nelle città e zone protette [19].
Va ridotto l’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030 ed è basilare ripristinare almeno 25.000 chilometri di fiumi a scorrimento libero, piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030, con lo sblocco di circa 20 miliardi di euro l’anno fra fondi europei nazionali e privati.
La COP fissata per il 2021 tratterà prevalentemente i settori dell’agricoltura, dell’agroalimentare e della conservazione degli stock marini; verterà inoltre sul tema delle zone umide costiere, soprattutto per ciò che concerne la riduzione delle perdite dovute ai danni provocati dalle alluvioni. La rete di protezione Natura 2000 verrà estesa ai settori chimici e all’industria estrattiva, all’aviazione, al turismo, conducendo a benefici economici ed una qualità della vita migliori. La sicurezza alimentare mondiale potrebbe presto essere compromessa, considerato che oltre il 75% delle colture alimentari mondiali dipende dall’impollinazione animale.
Attualmente, la rete Natura 2000 sostiene circa 104.000 posti di lavoro diretti in attività di gestione e conservazione delle zone protette e altri 70.000 posti di lavoro nell’indotto. Si prevede che, in futuro, la biodiversità potrebbe generare fino a 500.000 nuovi posti di lavoro.
Note
1) AA.VV., Atlante di ecologia, Milano, 1996, p. 54; Nebbia, Piccioni (a cura di), “Breve storia della contestazione ecologica”, in Quaderni di Storia ecologica, n. 4, Milano, 1994, p. 123. [back]
2) Ernst Haeckel (1834-1919), biologo e filosofo darwiniano tedesco, utilizzò il termine nella sua opera più ambiziosa, Generelle Morphologie der Organismen del 1866. [back]
3) Nebbia, Piccioni, “Scritti di storia dell’ambiente e dell’ambientalismo 1970-2013”, in I quaderni di Altronovecento, n. 4, Brescia, 2014, pp. 243 e ss. [back]
4) Marsh G. P., (1801-1882) Man and nature, 1864. Cfr. Nebbia, Piccioni, Scritti, cit., pp. 106 e ss. [back]
5) In questo contesto, nacquero le battaglie per la protezione degli animali, contro le pellicce, contro la caccia, per condizioni di vita meno violente negli allevamenti ed anche il complesso dibattito sulla sperimentazione su animali. Si tratta di lotte nate in gran parte in ambito radicale, che coinvolgono anche aspetti filosofici ed etici. Nebbia, Piccioni, Scritti, cit., pp. 19 ss. [back]
6) Nebbia, Piccioni, Scritti, cit., pp. 132 e ss. [back]
7) Purtroppo, manca una storia sistematica della Commissione per la conservazione della natura e delle sue risorse del CNR, negli anni Settanta importante fulcro delle proteste ecologiche. Manca peraltro una storia industriale italiana presso le Università. Al contrario, le principali associazioni straniere (negli Stati Uniti il Sierra Club, la Audubon Society e Greenpeace) hanno avuto cura di ricostruire le proprie storie. Cfr. Piccioni, Nebbia, Scritti, cit., pp. 132 e ss. [back]
8) In Italia, il tema è stato trattato da Italia Nostra e studiosi e scrittori come Antonio Cederna (1920-1996). Cfr. Nebbia, Piccioni, Scritti, cit., pp. 132 e ss. [back]
9) Nicholas Georgescu‐Roegen (1906‐1994) integrava la teoria economica e la visione meccanicistica classica con le scienze biologiche, fondando così la bioeconomia. Il suo pensiero rilevò che, poiché il sistema economico si basa su quello fisico‐naturale, è necessario tener conto delle sue leggi fisiche per comprendere in toto i processi economici. Di conseguenza, studiò i principi della termodinamica per inserirli nel quadro economico. Cfr. il suo libro Analisi economica e processo economico del 1978. [back]
10) Romano C., “La prima conferenza delle Parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, da Rio a Kyoto via Berlino”, in Riv. giur. ambiente, 1996, 1, pp. 163 e ss. [back]
11) La cifra 21 che fa da attributo alla parola Agenda si riferisce al XXI secolo, in quanto temi prioritari di questo programma sono le sfide climatico-ambientali e socioeconomiche del Terzo Millennio. [back]
12) Cfr. Wackernagel M., Rees W., Our ecological footprint: reducing human impact on the Earth, Gabriola Island, 1996. [back]
13) Crutzen P. J., Stoermer E. F., “The ‘Anthropocene'”, in Global change newsletter, n. 41, maggio 2000. [back]
14) www.eionet.europa.eu/ [back]
15) Comunicazione della Commissione 2019/640/COM, Il Green Deal europeo. [back]
16) In particolare, sulla base della relazione speciale del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico sugli impatti di un riscaldamento globale di 1,5ºC rispetto ai livelli preindustriali del 2019 (cfr. “Commissioners Miguel Arias Cañete and Carlos Moedas welcome the UN climate change report on 1.5 °C global warming limit”, in www.ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/STATEMENT_18_6043), e della relazione speciale dell’IPCC in materia di cambiamenti climatici, desertificazione, degrado del suolo, gestione sostenibile del suolo, sicurezza alimentare e flussi dei gas serra negli ecosistemi terrestri e la relazione speciale dell’IPCC in materia di oceani e criosfera nell’era dei cambiamenti climatici. www.eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52018DC0773&from=EN [back]
17) www.ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_it [back]
18) www.rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/06/04/news/il_ministro_costa_salviamo_l_ambiente_incentivando_il_passaggio_all_elettrico_-258408168/ [back]
19) www.ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/actions-being-taken-eu/eu-biodiversity-strategy-2030_it [back]
At the present time, environmental issues are undoubtedly one of the most interesting arguments concerning the human being and the link with the carrying capacity of the territory. The world landscape is rapidly changing, considering that it will probably be necessary to establish new and different balances compared to previous ones.
Media and institutions are very concerned about environmental issues, which are at the centre of the public agenda all around the world, related to the problems of environmental pollution, global warming, climate and geological change, waste collection and the protection of the various wildlife and biodiversity at risk of extinction (mostly consequence of the drastic morphological change of entire areas of the planet due to fires, deforestation and other human interventions).
Among the environmental issues that afflict the planet, climate change is certainly one of the most complex to tackle and also the most recent in chronological terms. Phenomena such as the alteration of the cycles of the seasons, the limitation of water resources, the multiplication of devastating fires, the increasingly massive reduction of glaciers and the great human migrations due to wars or environmental reasons, give an idea of the urgency to articulate the related studies and policies. A well-articulated and deep analysis of the governmental actions taken so far by the various countries (especially after the major environmental disasters which led to the adoption of protocols guaranteeing global public health) can provide a general indication to build long-term global politics.
Common techniques could emerge for the improvement of the quality of life of human beings on their territory, and for the protection of Nature itself.
Despite the flourishing of informal local and sectorial initiatives, civil society is struggling to give meaning, organicity and legal basis to the necessary transformations of lifestyles in order to achieve a better balance on the Planet; industries are struggling to accept more correct paradigms to reduce the consumption of raw materials to quickly move to new models of real circular economy within a truly sustainable development.
But it is necessary to understand some basic concepts: e.g. the difference between ecology and ecologism (or environmentalism).
The object of ecology is the relationship between man and the rest of the natural world (animals, plants and minerals), where the ecosystem is defined as “a complete structure of living beings in relation to each other and their inorganic environment, which is completely open, capable of a certain degree of self-regulation” [1] and studies the environmental damage that can be caused by human factors (e.g. the introduction into the environment of organic or inorganic residues from consumption and production activities, the modification of the characteristics of natural species), with the consequent loss of existing biodiversity. It is a scientific discipline that has often pushed and collected the popular voice, informally denouncing many of the violations carried out by large multinationals in the name of progress, despite of the healthiness of the environment.
The first pages of the history of ecological debate were written by 18th century economics scholars, whose ancestors were Thomas Malthus (1766-1834), John Stuart Mill (1806-1873) and William Stanley Jevons (1835-1882). This discussion mainly concerned the concept of the “limit of the Earth and its resources” [2]. Malthus suggested to decrease births among the lower social classes by reducing state subsidies, since in the future the increase of the world population would determine an insufficient availability of food [3].
In 1864, from the geographical observations of G.P. Marsh [4], one of the very first studies on how human action can cause remarkable alterations on the environment was born.
But ecology as it is currently understood, is a scientific discipline of a naturalistic type, born in the second half of the last century (the invention of the name is attributed to the German biologist Ernst Haeckel who used it for the first time in one of his books in 1866) that studies the relationships between living beings and the surrounding physical environment, which involves the analysis of the natural cycles of food chains (producers – consumers – decomposers) and the dynamics between plant and animal populations in relation to environmental changes.
The ecological challenge, also called environmentalism or ecologism is instead a current theory in a humanistic dimension, whose object is the same (how human activity conditions and interferes with the environment), but essentially in a political sense and born from the observation of environmental damage and exploitation of nature resulting from purely capitalist speculation.
The autarkic practices of ancient times were later widely re-evaluated, as they led to the development of intermediate recovery techniques that are still useful today, especially in developing countries. For example, during the first oil crisis in 1974-1984, the United States government prompted some of its scholars to review the archives taken in Nazi Germany to find information on the production of synthetic gasoline from coal; the production of scrap iron led to the creation of processes to produce steel from scrap; in the steel industry ingenious processes (the Cowper towers) were invented to recover heat from fumes, i.e. for today’s energy savings; the production of paper from old fabrics is another method borrowed from the past.
In the mid-sixties, the history of nature conservation [5] was animated by experts in ecology, who were the real promoters of laws to protect nature, for the establishment of conservation parks of various ecosystems of particular rarity and naturalistic value, for the protection of endangered animals and wetlands.
The movements for the conservation of nature became soon associations (WWF, Club di Roma, then Greenpeace and others) mobilized for the recognition of new rights, such as the right to clean air. But these initiatives immediately clashed with the economic interests of tourist, oil and mining companies and those interested in timber cutting.
Investigating the history of these associations is not easy, because not all of them stored documents and archives.
Ecology in its scientific meaning investigates the ecosystem, including biology and earth sciences, while environmentalism is a political protest movement against unsustainable capitalism.
Because of their content, these disciplines together gave rise to a number of other relatively new scientific areas born during the 20th century, such as landscape ecology, history of conservation of historical and cultural heritage, ecological economics, environmental history (a kind of history of geography and landscape intertwined with the history of agriculture, forestry and land use) and many other less known disciplines, such as the history of urban ecosystem analysis or bioeconomy.
All these areas concerning nature are part of the Environmental Sciences, a large academic field recently created, whose main characteristic is interdisciplinarity: including physical and social sciences, it provides solutions to environmental problems with an integrated approach.
Ecological or environmentalist thinking has developed in recent decades mainly as a result of some huge environmental disasters that have occurred for human cause.
In the period from 1987 to 1993 there was an intense international legislative production, beginning with the Brundtland Report, which coined the concept of sustainable development, still a goal to be achieved in the coming decades and the backbone of the entire world intergovernmental activity, with the aim of developing a global agenda for change.
The Brundtland Report (also known as Our Common Future) contained, for the first time, the concept of sustainable development defined as “development that meets the needs of the present generation without compromising the ability of future generations to meet their own needs”.
This definition refers to the well-being of people in relation to environmental quality, in the name of the present generations’ ethical responsibility towards future generations. This principle touches two central aspects of eco-sustainability: the conservation of resources and the environmental balance of the Planet.
According to the Report, production activities can be considered sustainable when they do not alter the environment and remain viable for an indefinite time. This tends to guarantee the long-term profitability of the territory with an ecological, social, cultural and economic compatibility.
The Report states:
Environment and development are not separate realities, but on the contrary are closely connected. Development cannot exist if environmental resources are deteriorating, just as the environment cannot be protected if growth does not consider the economic importance of the environmental factor. These are, in short, mutually linked problems in a complex system of cause and effect, which cannot be tackled separately, by individual institutions and with fragmented policies. A world where poverty is endemic will always be exposed to ecological disasters of another kinds. […] Humanity can turn development in sustainable, i.e. ensuring the needs of the present generations without compromising the needs of future generations.
The UN Conference held in Rio de Janeiro in 1992 and entitled “Environment and Development”, helped to build a series of political actions to put the principle of sustainable development into practice.
The central theme of the Conference was climate change: in the meantime, United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) was drafted and signed by 154 nations. The goal was to reduce atmospheric concentrations of CO2 to “prevent dangerous anthropogenic interference with the Earth’s climate system”. This rule was mainly addressed to industrialized countries, which had to reduce their values: since the signatory countries have very different rates of industrial development, it was established that responsibilities are common, but differentiated, with greater burdens for the more developed countries (being also the major polluters), as indicated in Annex I of the UNFCCC.
Since 1994, Parties have met annually at the Conference of the Parties (COP) to monitor progress of the UNFCCC agenda and to establish legally binding actions that are increasingly appropriate.
In Rio de Janeiro, the participating countries drew up a very important document, Agenda 21 [6] which sets out 27 principles divided into 40 chapters, in order to organize a comprehensive plan of governmental actions around the world to achieve the fixed goals.
Agenda 21 coined new guidelines which give indications to carry out this great work of saving nature on a global level.
Co-responsibility implies that all social partners (citizens, administrations, companies and their shareholders) must actively participate with their contributions.
This implies that Governments are required to raise awareness among the stakeholders mentioned above, encouraging synergistic action between different administrations and users, as well as between companies and consumers. Everyone must understand his strategic role, which no longer has a hierarchy, but becomes an increasingly participatory and democratic process (principle of horizontal governance). As stated in chapter 28, local authorities must implement a local agenda in order to achieve the goals. In addition to the construction of a shared vision by a global community, also thanks to the extension of the principle of sustainability to all sector policies, Agenda 21 aims to create partnerships of all kinds, based on a new way of understanding the public-private relationship, for the concrete implementation of concerted actions for sustainable development. Implementation by the Member States remains voluntary.
In the early 1990s, Mathis Wackernagel and William Rees [7] of the University of British Columbia conducted a study to find an indicator to measure humanity’s demand for natural resources, the Ecological Footprint: it measures how wide land areas have to be and how much water mankind needs to produce the resources it consumes (considering the available technology, too) and the rate of regeneration needed to reabsorb the waste produced. According to their studies, humanity currently uses the equivalent of 1.3 planets each year. In other words, the resources used in a year need 1 year and 4 months to regenerate. If this trend continues unchanged, in 2050 we will need the equivalent of two planets to meet our needs.
In 2000, the Nobel Prize for Chemistry Paul J. Crutzen and the biologist Eugene F. Stoermer suggested to define the present geological era with the term anthropocene [8], arguing that the anthropic impact on the environment is having visible effects on the balance of the environment and climate.
The Kyoto Protocol considered climate change a global emergency. It was signed by over 180 countries in December 1997 in Tokyo. In the same occasion, the United Nations adopted the UN Framework Convention on Climate Change (UNFCCC).
Recently, the COP25, previously scheduled to take place in the city of Santiago de Chile in December 2019, was moved to Madrid because of a riot by the Chilean people just before the summit. But actually, in 2019, several million citizens took the streets all over the world to ask governments for strong and immediate responses to the climate emergency and social injustice that they experience on a daily basis, as this crisis risks to compromise the future of the youngest people. Mobilisations and protests have paralysed especially Chile, where the Conference was scheduled. Thanks to the Spanish government, the COP25 was finally held in Madrid, important first concrete response of the Governments to the popular mobilization and the growing alarm of the scientific world.
The Emissions Gap Report, published by UN-Environment a few days before the COP25, highlights the urgent need to reduce emissions faster in the next ten years, in order to contain the overheating of the planet within the critical threshold of 1.5°C. To achieve this goal, Governments (according to the report) must increase their current commitments drastically. The report considers this goal ambitious, but possible, especially in the G20 countries, which are responsible for about 80% of the current global emissions.
The most difficult issue is the use of the flexible market mechanisms provided by the Paris Agreement held in 2015.
During the COP25, with regard to the revision of the aid system (Warsaw International Mechanism for Loss and Damage, WIM), communities in poor countries affected by climate disasters need a clear commitment and the availability of money by 2022 to tackle rapid reconstruction and economic recovery, thus also to avoid the worrying increase in climate refugees. Additional resources must be available to activate the climate change mitigation and adaptation actions needed.
The WIM mechanism deals with the money transfers that the North of the world will have to guarantee to the poorest countries, which had already been promised in Copenhagen in 2009.
The Madrid conference closed without major agreements, but only a few postponements, due to the great distance between governments, civil society and science.
The rules on the New Quota Trading Mechanism have been postponed until the next session, because Europe alone is not enough. There must be cooperation between the Chinese and US administrations. Many governments (including Brazil, Australia, Japan and India) have severely hampered the negotiations, not being ready to propose new NDCs.
China and India are currently responsible for more than a third of the world’s CO2 emissions.
The Gender Action Plan (GAP), a voluntary programme dedicated to the promotion of women’s rights and their representation and participation in climate policy, was approved at COP25 despite the removal of human rights protection from the draft text approved at COP24 in Katowice. Associations and Non-Governmental Organizations have called for respect for human rights and asked for the possibility to directly access the Green Climate Fund.
In May 2019, the European Environment Information and Observation Network (EIOnet) was born, the result of a partnership between the European Environment Agency (EEA) and its member countries. Through the EIOnet, the EEA brings together the environmental relevant and targeted information coming from each country [9]. ISPRA, which represents Italy in Europe, is actively involved in the EIOnet network.
In January 2020, the European Parliament approved the Council’s new Climate Strategy, the Green Deal, a pact for Europe that includes some recommendations for the long term to achieve a neutral climate in Europe by 2050 with zero emissions.
The Union must make a formal commitment to increase the current European target.
The Commission currently estimates that a reduction of at least 45% of CO2 emissions can be achieved. But this target is not sufficient: Europe can and must reduce its emissions much more. The Climate Strategy should create the necessary political conditions to accelerate the decarbonisation of the European economy.
Besides, the new European Green Deal should be supported by the forthcoming creation of a European Climate Bank [10].
The Green New Deal is the new social contract with the European citizens to reach a circular and fossil-free economy, with the further aim of inspiring the action of other world governments, showing that the transition to climate neutrality is not only imperative, but also feasible.
The Strategy has been forwarded to the UNFCCC, as required by the Paris Agreement. The Council also invited individual member states to prepare national strategies.
The Green New Deal also contains the Biodiversity Strategy with targets to 2030 for all policy areas with a fair and inclusive transition. The intention is to turn political commitment into a legal obligation and an incentive for investments and international partnerships.
The Union intends to financially support and assist people, businesses and regions affected by the transition to the green economy.
Biodiversity and ecosystems are the primary source of all human activities, they filter air and water, contribute to climate balance, transform waste into new resources, pollinate and fertilize crops.
Nature provides new businesses, for example to restore ancient forests, soils and wetlands and create green spaces in cities and protected areas [11].
The use of pesticides must be reduced by 50% by 2030 and it is essential to restore at least 25,000 kilometres of free-flowing rivers, plant 3 billion trees, with the release of around €20 billion a year between national and private funds.
Next Conference of the Parties set for 2021 will deal mainly with food and agriculture sectors and the conservation of marine stocks; it will also deal with coastal wetlands, especially for the reduction of the losses due to flood damage. Natura 2000 protection network will be extended to mining and chemical sectors, aviation and tourism to achieve better economic benefits and a better quality of life, or world food security will be compromised, given that over 75% of the world’s food crops depend on animal pollination.
Currently, the Natura 2000 network provides about 104,000 direct jobs in protected area management and conservation activities and 70,000 jobs in related industries. It is expected that biodiversity could generate up to 500,000 new jobs in the future.
Notes
1) AA.VV., Atlante di ecologia, Milan, 1996, p. 54; Nebbia, Piccioni (ed.), “Breve storia della contestazione ecologica”, in Quaderni di Storia ecologica, n. 4, Milan, 1994, p. 123. [back]
2) Ernst Haeckel (1834-1919), German darwinian biologist and philosopher, used the term in his most ambitious work, Generelle Morphologie der Organismen, 1866. [back]
3) Nebbia, Piccioni, “Scritti di storia dell’ambiente e dell’ambientalismo 1970-2013”, in I quaderni di Altronovecento, n. 4, Brescia, 2014, pp. 243 et seq. [back]
4) Marsh G. P., (1801-1882) Man and nature, 1864.Cfr. Nebbia, Piccioni, Scritti, cit., pp. 106 et seq. [back]
5) Nebbia, Piccioni, Scritti, cit., pp. 19 et seq. [back]
6) The number 21 refers to the 21st century, as the priority themes of this programme are the climate, environmental and socio-economic challenges of the third millennium. [back]
7) Cfr. Wackernagel M., Rees W., Our ecological footprint: reducing human impact on the Earth, Gabriola Island, 1996. [back]
8) Crutzen P. J., Stoermer E. F., “The ‘Anthropocene'”, in Global change newsletter, no. 41, May 2000. [back]
9) www.eionet.europa.eu/ [back]
10) www.ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_it [back]
11) www.ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/actions-being-taken-eu/eu-biodiversity-strategy-2030_it [back]
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