Troppo spesso quando si ragiona di Internet e democrazia Invece di riflettere su casi concreti si tende a prefigurare scenari più o meno possibili. Come spesso accade quando si discute di innovazione tecnologica nel campo della comunicazione, apocalittici e integrati tendono a raffigurare a se stessi e agli altri quelli che Mauro Wolf chiamava i paradisi della comunicazione e i rispettivi inferni.
In questo intervento vogliamo affrontare il problema del rapporto fra nuove forme di comunicazione come Internet e nuove forme di parteciapazione politica partendo da un caso concretissimo: il progetto di democrazia elettronica nato a Bologna nell’ottobre 1998. Di questo progetto analizzeremo sia la struttura che i primi risultati che ha dato a cinque mesi dall’inizio della sperimentazione. Entrambi i punti ci serviranno per evidenziare alcuni dei problemi più immediati che si sorgono dal rapporto fra comunicazione mediata tramite computer e partecipazione politica. In conclusione riproporremo il concetto di sfera pubblica di Habermas come particolarmente pertinente per comprendere questo tipo di fenomeni.
Cominciamo con il presentare il progetto. Di democrazia elettronica a Bologna si inizia a parlare nel 1995, quando il Comune partecipa a un progetto nell’ambito della Comunità Europea da cui nasce Iperbole. Iperbole si configura immediatamente come strumento di partecipazione dei cittadini alla politica locale: l’accesso alla rete è gratuito e ciò che gli utenti trovano sono soprattutto informazioni sull’amministrazione. All’inizio l’accesso gratuito è infatti riservato solo alle aree di interesse pubblico della rete civica; in seguito l’accesso viene esteso a tutta la rete, senza esclusioni. Attualmente la politica degli accessi gratuiti continua e i cittadini solo di recente sono stati chiamati a versare una piccola somma una tantum al momento dell’attivazione del servizio, che comprende anche la posta elettronica e numerosi gruppi di discussione. Nel 1998, la giunta comunale propone di “proceduralizzare” la partecipazione politica dei cittadini che hanno accesso a Internet che, nel frattempo, sono diventati circa il 25% della popolazione. Proceduralizzare significa che vengono fissate delle regole per stabilire una procedura di partecipazione autentica. Da quest’idea nasce una delibera che in pratica estende agli utenti di Internet il sistema del parere consultivo dei Quartieri, per materie di particolare rilevanza territoriale, come il bilancio, la sanità, il traffico. Gli elementi principali della procedura sono tre: a) la possibilità di consultare tutta la documentazione relativa alle delibere in fase di presentazione al Consiglio Comunale, comprese anche delle sintesi, sul sito del comune; b) la possibilità di scrivere all’assessore competente al suo indirizzo di posta elettronica, oppure di partecipare a un forum pubblico di dibattito strutturato sul modello dei gruppi di discussione, ma completamente fruibile tramite il web; c) l’obbligo da parte dell’assessore competente di rispondere a tutti gli interventi, sia a quelli ricevuti tramite posta elettronica, che quelli presenti sul forum, pena la decadenza della delibera. I forum rimangono aperti quindici giorni e l’assessore di turno ha altri quindici giorni per far pervenire le proprie risposte.
Formalmente la procedura è l’esatta controparte su Internet del sistema dei pareri richiesti ai Consigli di Quartiere. Infatti, come sottolineato, i temi delle delibere presentate nei forum sono gli stessi previsti per i Quartieri. In questo senso la nuova procedura bon fa che applicare alla rete le forme del regolamento sul Decentramento (artt 10-11).
Per descrivere come sono strutturate le pagine che ospitano i forum e come i cittadini possono in pratica intervenire riportiamo quanto è possibile leggere sul manuale di istruzioni disponibile on-line nella pagina introduttiva del progetto sul sito del Comune:
Una volta entrati nel forum che vi interessa, trovate a seguire:
la presentazione del forum (l’oggetto della discussione),
l’abstract dell’atto a cui è dedicato lo spazio di discussione,
il periodo durante il quale è possibile mandare messaggi,
il nome del settore promotore e dell’assessore responsabile dell’atto,
lo spazio per i documenti,
le proposte di delibera,
le tabelle, e quant’altro serve per farsi un’opinione ragionata dell’argomento al centro del forum di “Democrazia Elettronica”.
Al termine di questa pagina si apre lo spazio interattivo, dove e’ possibile trovare i messaggi inviati al forum, organizzati in una struttura “ad albero” in cui sono ordinate i diversi “filoni” di discussione e le repliche.
Per scrivere un messaggio entrate nella HomePage del forum che vi interessa e procedete nel seguente modo:
“cliccare” sulla scritta “Scrivi messaggio” ;
scrivere il messaggio nell’apposita finestra;
cliccare il tasto “anteprima” per visualizzare il messaggio;
confermare “cliccando” sul tasto “invia messaggio”.
Nella pagina interattiva potrete definire i campi necessari al messaggio: il titolo o soggetto del messaggio, il corpo (che può essere scritto usando le TAG HTML o in testo semplice) ed alcune icone fra le quali scegliere per caratterizzare la comunicazione.
A questo bisogna aggiungere che l’interfaccia delle pagine sulla democrazia elettronica è arricchita da altre funzionalità: i cittadini possono registrarsi in un account, hanno a disposizione un’area virtuale per annotazioni, ecc.
Prima di vedere i risultati dei primi cinque mesi del progetto, vale la pena richiamare alcune delle critiche che in letteratura ricorrono a proposito delle sperimentazioni di partecipazione politica per mezzo di Internet e vedere che valore hanno in rapporto a questo caso concreto. Possiamo richiamare cinque argomentazioni dei detrattori della cosiddetta democrazia elettronica. Una prima critica viene mossa da coloro che contestano gli esiti di ogni forma di democrazia elettronica. Costoro hanno in mente le argomentazioni di coloro che vorrebbero trasformare le reti in una forma di democrazia diretta. La pietra di paragone è ovviamente la città stato della Grecia classica e, retoricamente, spesso, questa argomentazione si stabilisce in una similidudine fra gli spazi di partecipazione mediati da computer e l’antica agorà. Sulla base di questa prospettiva la democrazia elettronica viene criticata per portare sostanzialmente a una forma di plebiscito continuo, in cui i cittadini sono chiamati solo a pigiare un bottone e non hanno potere sulla definizione delle domande e dei temi da discutere.
La seconda critica alla democrazia elettronica si trova espressa molto lucidamente in un saggio di Maldonado (1997) e riguarda le modalità di partecipazione della comunità politica tramite Internet. Secondo Maldonado la regola della rete è l’anonimato. Questa forma di partecipazione viene quindi naturalmente applicata anche agli spazi di discussione politica con effetti, a parola dell’autore, deleteri. Infatti la mancanza dell’impegno della propria identità e della propria faccia porta alla perdita di responsabilità che è invece un prerequisito della politica. Di conseguenza la rete non sarebbe un mezzo serio ed efficace di partecipazione al dibattito politico.
Una terza critica si trova per esempio in un saggio di una sociologa della cultura, Diana Crane. Dibattendo di sfera pubblica e nuove tecnologie, l’autrice rileva che alcuni progetti di democrazia elettronica di cui ha notizia sono falliti per l’assenza dei leader politici nel dibattito. Nella comunità politiche ricordate dalla Crane (1995, 25) l’assenza dei protagonisti della scena pubblica è avvertita come un pesante freno al dibattito perché in questo modo la discussione all’interno della rete ha meno possibilità di avere delle conseguenze al suo esterno.
La quarta critica alla democrazia elettronica la desumiamo da un articolo di Hilgartner e Bosk (1988). I due autori discutendo del modo in cui i problemi sociali sono definiti all’interno delle cosidette arene pubbliche come i media o i parlamenti sottolineano come ogni arena pubblica sia caratterizzata da una certa capacità portante. La capacità portante è il numero di situazioni che possono essere trattate come un problema e discusse contemporaneamente in un’arena. Sulla base di questo concetto i due autori arrivano a concludere che la capacità portante delle arene è limitata e che per questo i problemi, essendo in numero proporzionalmente maggiore, sono in concorrenza fra loro, per conquistare un posto nelle arene. Ciò che ci interesse in questa sede del concetto di capacità portante è che da una parte Internet può ospitare un numero tendenzialmente infinito di temi in discussione. Non ci sono limiti cogenti rispetto allo spazio che si può ricavare negli spazi virtuali della rete. Le unità di memorizzazione sempre più potenti possono ospitare la documentazione e lo spazio per un elevatissimo numero di temi politici. Dall’altra parte però c’è il problema che la capacità cognitiva di coloro che seguono la discussione è limitato. Al limite possono essere discussi centinaia di temi, ma tutti a livello settoriale, mentre si pone l’esigenza di alimentare la partecipazione rispetto ad alcune tematiche di interesse più generale. Dunque bisogna saper valutare le dinamiche della discussone relative alla capacità portante del mezzo da una parte e del pubblico dall’altra, senza che l’una travolga l’altra. L’altro rischio di tutto questo è ovviamente il sovraccarico d’informazione nei confronti dei cittadini con il paradosso che l’eccesso di informazione ne impedisce l’utilizzo.
L’ultima critica che presentiamo è forse la più importante e riguarda il tema dell’esclusione. Fino a che punto la democrazia elettronica è una forma di autentica partecipazione piuttosto che di esclusione? Infatti le nuove tecnologie e le competenze per impiegarle non sono un dominio pubblico, ma sono per lo più confinate a un ristretto strato della popolazione, di estrazione medio elevata. A questo proposito gli studiosi di media hanno già elaborato da tempo la teoria dello scarto di conoscenza (knowledege gap, cfr. Wolf 1992). Secondo questa teoria le nuove tecnologie tendono ad allargare invece che a restringere le distanze sociali in termini di accesso all’informazione e conoscenza. Infatti coloro che sono già in una posizione sociale avanzata sono in possesso dei requisiti cognitivi ed economici per avvantaggiarsi dei nuovi mezzi, mentre coloro che si trovavano già in situazioni di esclusione, sono ulteriormente emarginati dall’accesso all’informazione. Il problema sollevato dalla teoria dello scarto di conoscenza riguardo l’accesso e l’uso dell’informazione si ripropone a proposito delle nuove forme di partecipazione politica. Il veicolo delle nuove tecnologie rischia di avvantaggiare chi è già in una posizione sociale vantaggiosa e di tenere ai margini gli altri.
Abbiamo visto queste cinque critiche relative ai problemi dell’esclusione sociale, della capacità portante delle arene, dell’efficacia del dibattito, della responsabilità dei partecipanti e della riduzione della partecipazione al semplice plebiscito. Ora vedremo come queste critiche astratte possono applicarsi al caso bolognese e come dal confronto fra questi principi generali e un caso specifico la discussione possa essere arricchita. Cominciamo proprio dal problema posto dalla possibilità di vedere la democrazia trasformata in un plebiscito continuo. A prima vista potremmo limitarci a dire che questa critica non è applicabile al nostro caso perché i cittadini non sono chiamati a deliberare, ma a esprimere pareri e a chiedere consigli. Volendo andare più a fondo, possiamo dimostrare che il nostro caso dimostra come sia infondato richiamarsi a concetti relativi a realtà sociali completamente diverse per ragionare delle nuove tecnologie. La tesi della democrazia diretta tramite Internet è giustamente criticata perché insostenibile. Tuttavia il fato che questa tesi estremista non sia sostenibile non implica che non sia possibile nessuna forma di democrazia elettronica tout court. Per questo ci teniamo a richiamare l’opinione di Rodotà (1997) che contrappone a questa idea il concetto più complesso di democrazia continua. In sintesi, secondo Rodotà, sono necessari dei concetti nuovi per pensare ai mutamenti in atto sul piano della partecipazione politica a seguito della diffusione delle nuove tecnologie. Uno di questi concetti è proprio quello di democrazia continua che serve per superare le concezioni di democrazia diretta applicate a Internet. Una democrazia continua sfrutta le reti per dare la possibilità ai cittadini di intervenire nella discussione stessa delle deliberazioni e non solo al momento del voto finale. Si tratta in sostanza di qualcosa di totalmente diverso dalla semplice espressione plebiscitaria di un assenso/dissenso rispetto alle alternative proposte dall’alto, come finivano per diventare le varie utopie di democrazia diretta applicata alla rete. Nel progetto di Bologna c’è prorpio una realizzazione di questo modello di democrazia continua in cui i cittadini sono chiamati a contribuire al flusso legislativo mentre si compie e non solo al momento finale della votazione. Il richiamo a Rodotà così ci è serve sia per illustrare in che senso si può parlare di democrazia elettronica nel caso di Bologna sia per mettere in guardia dall’articolazione di concetti fuori dal loro contesto originario.
Vediamo ora i problemi sollevati dalle questioni della capacità portante delle arene, dell’efficacia del dibattito, della responsabilità dei partecipanti. Cominciamo da quest’ultimo punto. Nel progetto di Bologna la partecipazione è consentita in forma anonima; in più c’è perfino la possibilità di escludere la visibilità dei propri interventi dal forum pubblico inviano i messaggi direttamente all’assessore competente. È chiaro che in questo modo non possono essere esclusi dal dibattito interventi più o meno pilotati a favore o contro determinati provvedimenti. Allo stesso tempo non possono essere esclusi a monte fenomeni di flaming, ossia di attacco verbale violento nei confronti dei partecipanti al forum. Tuttavia riguardo al primo problema bisogna sottolineare che nonostante il valore formale di parere degli interventi dei cittadini, il progetto, a detta della giunta, dovrebbe servire piuttosto a dialogare con i cittadini con chiarimenti e risposte mirate. Pertanto i messaggi di semplice allineamento, del tipo “sono d’accordo” o “non sono d’accordo” (quelli che sono chiamati mee too message e che in alcuni newgroups sono proibiti dato il loro scarso valore informativo) non sono decisivi nel dibattito. Del resto questo tipo di pareri non hanno un valore rappresentativo. Quanto alla minaccia di flaming i moderatori dei forum si riservano il diritto di cancellare messaggi apertemente scorretti. Venendo alla questione della capacità portante, la limitazione dei temi in discussione a un numero sopportabile per la comunità virtuale dovrebbe essere garantito dal fatto che le delibere presentate per la discussione sono le stesse trasmesse per parere anche ai Consigli di Quartiere, ossia ad un’assemblea pubblica con tutti i limiti della comunicazione faccia a faccia. Attualmente le delibere presentate ai Quartieri sono circa 70 che dovrebbe essere un numero intuitivamente sopportabile anche per Internet. Rimane la questione dell’efficacia. È difficile valutare l’efficacia della discussione al di fuori dei forum. Modifiche alle delibere a seguito della discussione sono quantomeno improbabili perché di solito arrivano già a uno stato definitivo e perché sarebbero necessarie competenze tecnico-giuridiche avanzate per muovere appunti così puntuali da suggerire modifiche. D’altra parte i partecipanti al dibattito hanno la garanzia, fissata dalla delibera che ha varato questo progetto, che gli assessori competenti rispondano ai loro quesiti, pena addirittura la decandenza della delibera da presentare in Consiglio Comunale. Dunque la presenza degli amministratori è regolata e, entro certi limiti, sicura. Diciamo entro certi limiti, perché l’obbligo di dare delle risposte non implica l’obbligo di partecipare alla discussine con assiduità e costanza. È possibile, ed in effetti è accaduto, che un Assessore risponda a tutti i partecipanti uno stesso giorno, magari con testi standardizzati per quesiti simili.
Abbiamo volutamente lasciato alla fine la questione più spinosa quella dell’esclusione. Questo dispositivo può escludere chi Internet non la possiede e non la sa usare? Per rispondere bisogna premettere che il progetto nasce a Bologna dove Internet ha raggiunto una massa critica di utenti. I cittadini che hanno accesso alla rete sono calcolati in un 25% della popolazione e solo Iperbole, ossia la rete civica del Comune, conta quasi 18.000 abbonamenti. Lo stesso comune poi è impegnato in numerose iniziative di alfabetizzazione elettronica aventi il fine di diffondere sempre di più l’uso delle nuove forme di comunicazione. Naturalmente ciò non esclude il problema poiché comunque Internet è diffusa soprattutto fra certi strati socioeconomici della popolazione. Tuttavia bisogna ricordare che la procedura disponibile su Internet non è altro che la traduzione della formula dei pareri valida per i Consigli di Quartiere. Pertanto è un canale alternativo, o meglio aggiuntivo, e non esclusivo. Per quanto importante, il progetto di democrazia elettronica è solo un nuovo canale di partecipazione e non il solo canale. Pertanto il problema dell’esclusione è per lo meno attenuato da questa situazione.
Ma veniamo finalmente alla discussione dei risultati che, chiariamo subito, non sono per niente entusiasmanti. Infatti, a cinque mesi di distanza da varo dell’iniziativa, sono stati aperti sette forum, di cui tre attualmente giù chiusi, ma solo nel primo di questi sono stati registrai una trentina di interventi, contando anche le mail ricevute personalmente dall’assessore competente. Gli altri sei forum sono tutti deserti. È lecito interrogarsi su questo insuccesso, dal momento che è inserito in una realtà particolarmente all’avanguardia nel campo dell’innovazione come Bologna e soprattutto perché abbiamo evidenziato nei paragrafi precedenti come formalmente il progetto risponda molto bene alle diverse critiche che gli potrebbero essere addossate.
Le ragioni sono sicuramente molteplici. Ne possiamo accennare brevemente alcune: insufficiente comunicazione esterna, assenza di community leader e di una massa critica di interventi a cui i nuovi utenti possono aggregarsi, difficoltà di documentarsi sui temi trattati, e, infine, natura settoriale di alcuni di questi temi rivolti a gruppi poco propensi all’uso del compurter.
In questa sede non è nostra intenzione approfondire queste critiche. Ciò che vogliamo fare è allargare il discorso per trovare una possibile ragione più generale di questo insuccesso. Per questo ci dobbiamo interrogare sul tipo di valore che spazi come i forum che abbiamo descritto hanno per il dibattito politico. In parte abbiamo già risposto a questo interrogativo quando abbiamo parlato delle arene pubbliche di discorso. I forum sono prima di tutto arene pubbliche. Un concetto analogo è quello di spazio pubblico mediatizzato, introdotto da Wolton e ripreso da Wolf. Con l’espressione spazio pubblico mediatizzatosi intende “uno spazio simbolico nel quale si confrontano ed organizzano le opinioni, gli orientamenti, gli schieramenti su temi che sono stati resi di rilevanza pubblica” (Wolf 1996, 482). Una caratteristica di questo spazio è che l’informazione non resta fine a se stessa, ma dovrebbe servire come base per la riflessione e l’attuazione di scelte di interesse collettivo. Gli elementi che caratterizzano lo spazio pubblico mediatizzato ci portano al concetto ben più noto di sfera pubblica. Il concetto di sfera pubblica risale a un lavoro fondamentale di Habermas e indicava uno spazio in cui poteva avere luogo un dibattito razionale di circa temi di interesse pubblico. Come è noto Habermas si riferiva alle discussioni possibili nel XVIII secolo fra gli esponenti della borghesia. Sono soprattutto due le caratteristiche da sottolineare di questo spazio: a) lo scambio di informazione, che avveniva su basi razionali, poteva avere implicazioni pratiche per l’azione e le decisioni politiche; b) le discussioni si basavano su un particolare uso sociale: la lettura comune delle gazzette. Formalmente dunque la sfera pubblica si caratterizza per la presenza di un certo medium e di una certa modalità di partecipazione. Potremmo anche fermarci qui e mostrare le analogie fra i forum e la sfera pubblica così concepita. In realtà vogliamo andare oltre richiamandoci al saggio già ricordato della Crane (1995). Nel suo saggio l’autrice dimostra, che, contrariamente a quanto sosteneva Habermas, nel XX secolo la sfera pubblica non è finita, ma si è evoluta in nuove forme. Al centro dell’attenzione ci devono essere sempre i due elementi ricordati poco fa: lo scambio dell’informazione e l’uso sociale di un certo medium. La Crane dimostra che queste caratteristiche si possono trovare anche in alcune forme di talk show radiofonici con l’intervento telefonico degli ascoltatori e, soprattutto, nelle comunità di discussione basate su Internet.
Ora che abbiamo caratterizzato i forum del progetto di democrazia elettronica come una forma di sfera pubblica siamo pronti per avanzare un’ipotesi sull’insuccesso del progetto. Come ricordato la sfera pubblica nasce dall’interazione di un medium (il giornale) e una certa modalità di fruizione. Il medium da solo non basta a costituire la sfera pubblica. La rende possibile, rendendo possibile lo scambio di informazione, ma non la determina. Ciò che serve è anche un contesto sociale che si appropri del medium e ne sviluppi le potenzialità definendo un certo uso sociale dello stesso. Nel caso di Bologna abbiamo visto la costituzione del medium e di un’interfaccia per la democrazia elettronica. Ciò che è mancato è stato forse un contesto sociale pronto per recepire questa possibilità. Ciò può dipendere da svariate ragioni. La più importante probabilmente è che Internet non è ancora avvertita come un canale di partecipazione politica.
Concluderemo suggerendo che la tecnologia da sola non può forzare l’innovazione. Le invenzioni diventano innovazioni solo quando diventano oggetto di usi sociali. E perché questo accada è necessario che intorno alla tecnologia ci sia un contesto sociale in grado di recepirla.
Riferimenti bibliografici
Crane, Diana
1995 Reconceptualizing the Public Sphere: The Electronic Media and The Public, relazione presentata al Joint Congress of Swiss Societies for the Social Sciences, Univesity of Berne
Hilgartner, S e Bosk, C. L.
1988 “The Rise and Fall of Social Problems: A Public Arenas Model”, in American Journal of Sociology, vol. 94, pp. 53-78.
Maldonado, Tomàs
1997 Critica della ragione informatica, Milano, Feltrinelli
Rodotà, Stefano
1997 Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza
Wolf, Mauro
1992 Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani
1996 “Le discrete influenze”, in Problemi dell’informazione, n. 4, Bologna, Il Mulino, pp. 481-492
(PDF, 20 Kb)
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